20. He was waiting to die

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Renegades; X Ambassadors.

1 anno prima
«Blake... perché non esci un po' fuori con noi? C'è un sole meraviglioso!» esclamò mia madre con il suo solito sorriso in volto.

Ero rinchiuso sempre in camera mia.

Frequentavo la scuola telematica visto che, tre anni prima, mio padre aveva deciso di coronare il suo sogno comprando una barca per girare il mondo, facendomi perdere un anno di scuola.

E, nel frattempo, aspettava di morire.

Gli era stato diagnosticato il linfoma di Hodgkin e, dopo aver provato mille cure inutili, aveva deciso di voler vivere il tempo che gli restava al massimo in compagnia di coloro che amava: me e mia madre.

Non lo biasimavo, ma avrei preferito che decidesse di non intraprendere un viaggio del genere, allontanandomi dalla mia vita.

La sua malattia mi aveva destabilizzato a dir poco e spesso e volentieri, durante l'ultimo periodo sulla terra ferma, mi ero comportato da stronzo con persone a cui tenevo.

Mi ero comportato da stronzo con lei.

Sin dall'età di sei anni, dal giorno in cui ci eravamo conosciuti, Blue era stata una costante e, poiché non volevo la pena di nessuno, avevo chiesto ai miei genitori di non divulgare la notizia della malattia di papà. E così era stato fatto.

Probabilmente, se avessi detto a Blue, o in generale a tutti, che mio padre stava morendo, sarei stato giustificato per molte mie azioni, ma la verità è che sentivo il bisogno di essere odiato.

E Blue mi odiava.

Aveva sopportato i miei comportamenti da stronzo e mi era rimasta vicina pur non sapendo cosa la mia famiglia stava passando. Ma io avevo deciso comunque di ferirla, fregandomene completamente di lei.

Mi sollevai dal letto e seguii mia madre. Negli ultimi due giorni il tempo era stato da lupi, tanto da aver temuto per la nostra incolumità, ma ora il sole era alto nel cielo e mio padre, con indosso un costume in cui ormai affondava dentro, stava seduto su una sdraio a godersi il bel tempo.

Non voleva che i medici lo controllassero quando attraccavamo in vari porti per fare provviste, ma sapevo che mancava poco.

L'unica a non essersene ancora resa conto era Sylvie, mia madre, che continuava a sorridere per tutti noi e a rallegrarci le giornate.

Era anche l'unica a mantenere i contatti con qualcuno, non sapevo chi: ogni volta che eravamo sulla terraferma lei era l'unica a scendere e inviava una lettera dopo aver comprato da mangiare.

Nel frattempo, mio padre si riposava, sempre troppo stanco, ma amava uscire la sera, quando il sole non lo avrebbe infastidito troppo, per girare per i luoghi da lui scelti.

Sapevo che, nonostante tutto, era felice.

Ma non ero certo che fosse giusto che io e mia madre sacrificassimo la nostra vita per lui. Era tutto molto esagerato.

Mi infastidiva il fatto che non si accontentasse di niente, che non gli andasse mai bene nulla: non stavamo mai abbastanza in un posto, non riuscivamo a vedere più luoghi, ciò che la mamma cucinava non lo mangiava perché diceva che, visto che stava morendo, voleva mangiare pietanze mai assaggiate; la verità era che spesso gli mancava l'appetito a causa della malattia.

Insomma, mio padre voleva godersi la vita e, al contempo, rovinare la nostra.

Ma nessuno diceva niente. Lui stava morendo e noi saremmo stati due stronzi.

E, guardandolo, mi resi conto che mancava davvero poco.

Sarei tornato a vivere una vita normale, a non dover fingere sempre di sorridere anche quando non mi andava pur di non incappare nella sua ira.

«Vuoi per caso rovinarmi i miei ultimi giorni di vita?» mi diceva sempre. Ma ormai erano passati cinque anni da quando gli avevano diagnosticato la malattia ed era ancora vivo.

La verità è che volevo solo che finisse presto.

Ormai mi ero abituato all'idea che sarei stato orfano di padre e avevo capito di dover far pace con me stesso: non sarei stato l'unico ragazzo senza un genitore.

Guardai mia madre, che si era messa in bikini ed era pronta ad un bagno nell'oceano, la sua attività preferita.

Lei mi avrebbe mandato avanti. Sapevo che ero perso solo senza di lei. Sapevo che potevo vivere senza mio padre, ma non senza mia madre.

«Dai Blake! Accompagnami!» Risi quando mise su un'espressione imbronciata e le chiesi di aspettarmi.

Corsi in camera ad indossare il costume e tornai sul ponte.

«La devi smettere di mandare quelle stupide lettere» sentii dire a mio padre. «Non ne ho motivo» replicò lei, senza perdere il suo solito entusiasmo, come se non potesse essere scalfita da niente. «Non è giusto ciò che fai Sylv-»

Si interruppe quando mi vide. «Blake, puoi portarmi un succo?» chiese lui, probabilmente per mandarmi via e terminare la discussione.

Era malato e io dovevo essere gentile.

Così andai nella piccola cucina che si trovava nella stiva e aprii il frigorifero, dove presi un succo alla mela, il suo preferito. Attesi per minuti interminabili, non volevo ritrovarmi a origliare di nuovo la loro conversazione.

«Blake! Ma dove sei finito?» gridò papà. Dunque mi concessi di tornare da loro e, dopo avergli dato il suo maledetto succo, mi tuffai con mia madre.

«Di cosa parlava?» domandai quando non fummo più a portata d'ascolto. «Sai com'è tuo padre...» disse lei immergendosi, come se bastasse a distrarmi. «Sì, ma di cosa parlava?»

La mamma mi sorrise flebilmente, «Non gli piace che io abbia rapporti con le persone del passato, ecco tutto.» Aggrottai la fronte, «A chi mandi quelle lettere?»

La mamma sospirò, mettendosi a morto per guardare il cielo azzurro, io la imitai.

«A Gemma Williams.»

La mamma di Blue.

La testa mi sprofondò e bevvi un po' d'acqua. Riemersi tossicchiando e nuotai fino alla scaletta. «Blake!» Mi voltai verso mia madre, rimasta ferma dov'eravamo prima. «Puoi parlare con chi vuoi» le dissi solo, prima di tornare sul ponte.

Mio padre mi porse la bottiglietta vuota e fui seriamente tentato di tirargliela in testa.

Quando sarebbe finita quella tortura? Quando io e mia madre saremmo stati liberi di comportarci come volevamo senza il suo continuo giudizio?

Mi sentivo una persona tremenda, ma speravo che la morte lo prendesse in fretta con sé.

Io e mia madre avremmo avuto di nuovo una vita normale, non ci saremmo più dovuti annullare del tutto per lui.

Avevo lasciato la scuola, i miei amici, il mio futuro, solo per lui. E lei aveva lasciato il lavoro, la stabilità. Tutto per venire a vivere su una maledetta barca che detestavo con tutto me stesso, solo per farlo felice.

Mi feci una doccia e mi misi a letto, intenzionato a saltare la cena.

Non avevo affatto voglia di condividere del tempo con mio padre; in più sapevo che quella sera la mamma avrebbe preparato il suo delizioso pasticcio di granchio, che io adoravo, ma sapevo che mio padre si sarebbe lamentato. L'avevamo mangiato la settimana scorsa.

Mi ritrovai con il volto premuto contro il cuscino e le lacrime a bagnarne la federa. Volevo solo che tutto finisse, volevo solo vedere la terra ferma per più di una stupida gita. Volevo tornare a casa mia.

Mi alzai solo a tarda notte, quando fui certo che i miei genitori dormissero. Presi il pacchetto di sigarette che tenevo nascosto sotto il letto e uscii fuori.

Da un po' avevo preso il vizio di comprarle di nascosto quando attraccavamo. Fumare mi calmava.

Non mi faceva pensare a tutto lo schifo che mi circondava. In più, sapevo che mi avrebbe accorciato la vita e la cosa mi faceva provare sollievo.

Quasi speravo di morire prima di mio padre, pur di non sentirlo più lamentarsi, pur di non sentirmi addossare la colpa della sua malattia.

«Per anni mi sono spaccato la schiena per farvi vivere agiatamente, mi sono ammalato e ora voi non volete darmi niente in cambio?»

E così, io e mia madre, avevamo mollato tutto.

Fumai tre sigarette di seguito, la giornata era stata pesante, e pensai che mancava poco.

Poco. Poco. Poco.

Buongiorno a tutti e bentornati nel nostro appuntamento del sabato. Come state? Spero che le vostre vacanze stiano andando per il meglio.
In questo capitolo vi offro uno scorcio del viaggio di Blake, principalmente dell'ultima parte. Cosa ne pensate?
In quest'occasione avete la possibilità di conoscere i genitori di Blake e quindi vi chiedo le vostre prime impressioni.
Vi ringrazio se siete arrivati fino a questo punto e vi chiedo di lasciare una stellina e un commento se il capitolo vi è piaciuto (o se volete lasciare critiche e correzioni) in modo da sostenermi.
Vi mando un enorme abbraccio e ci vediamo sabato prossimo🫂

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