SIAMO "A TERRA"

Premessa per i lettori del presente.

Se non sopportate le citazioni, questo non è un capitolo per voi.

Neanche io sono un grande appassionato del rifarsi alle parole altrui, ma se funzionali ad un tema come questo allora sono necessarie.

Prendero' in prestito, quindi, le sagge parole di chi aveva capito tutto in anticipo, ma non è stato mai ascoltato abbastanza.

Premessa per i lettori del futuro.

Non è il massimo come video d'apertura, cari nipoti dei nipoti dei nipoti dei miei nipoti,  vero?

Ma era necessario per trattare l'argomento Terra: il nostro bistrattato pianeta del quale non abbiamo avuto la giusta cura e considerazione.

Ne abbiamo affogato d'inquinamento il mare, evirato il cuore verde togliendo respiro all'aria, annullando dignità e rispetto per gli altri esseri viventi.
E poi, per giunta, ci siamo lamentati dell'inevitabile risposta difensiva della natura.

"Non è l'uomo che deve battersi contro una natura ostile, ma è la natura indifesa che è vittima dell'umanità."

Lo ripeteva Jacques Cousteau.
Chi era?
Un grande esploratore.

Una missione più che una professione.

"Esplorare" è un verbo che si accoppia perfettamente con una vita vissuta veramente in simbiosi con la Terra.

Non ci si chiede a noi comuni viventi di essere grandi esploratori come lo era lui: si può avere la stessa emozione nell'esplorare ogni filo d'erba che compongono i verdi prati e i loro fiori che sbocciando si trasformano o nell'apprezzare ogni cambio di gradazione dei colori del mare o del tramonto.

Un verbo, "esplorare", più affascinante e gratificante a lungo termine di "sfruttare", purtroppo maggiormente usato dagli uomini.

Avevano capito tutto in anticipo già quelli che venivano chiamati selvaggi per la non simpatica abitudine di tagliare lo scalpo come trofeo di guerra.

I nativi d'America sono stati un popolo a cui hanno espropriato, con la forza militare prima e culturale poi, la terra in cui vivevano e seppellivano i loro morti.

Li ho studiati con attenzione, curiosità e interesse e ho fatto la tesi di laurea sulla loro cultura recandomi sul posto in vari stati americani per assistere ai loro Pow Wow: raduni in cui la gente si incontra per danzare, cantare e socializzare in onore di se stessi.

Ricordo con piacevole nostalgia il rapidissimo momento in cui li ho visti lasciare tutti insieme gli abiti che si indossano quotidianamente, cambiarsi e indossare quelli tradizionali. All'improvviso ho avuto la sensazione che si fosse aperto un libro di storia e i loro visi hanno immediatamente richiamato alla memoria quelli dei grandi capi indiani.  

Con meno piacere ricordo il momento in cui appresi che la mia relatrice non trovava più le diapositive che le avevo consegnato, ma questa è un'altra storia.

I nativi d'America trattavano il luogo in cui vivevano come un familiare a cui si vuol bene.

Avremmo dovuto avere con il nostro pianeta un rapporto intenso di rispetto come l'avevano il popolo dei nativi d'America: un meraviglioso e antico proverbio degli indiani navajo, ad esempio, ricorda che "Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli".

Capriolo Zoppo, un capo indiano, invece disse: "Non è stato l'uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo. Qualunque cosa faccia alla tela, la fa a se stesso."

Non si può dire che abbiamo seguito questi comportamenti, anzi.
Della "tela" ce ne siamo fregati, fino a quando non è stato troppo tardi.

Perché, immagino, che voi bimbi del futuro non mi stiate leggendo dal pianeta Terra che, ormai, non ci sarà più.

Qualche generazione precedente a voi sarà sicuramente scappata, non so in che numero, in che modo e verso dove.

Chi è nato, come voi, nel nuovo luogo che vi ospita, si chiederà come è potuto succedere che abbiamo rovinato un pianeta così bello.

Perché la Terra era davvero bella.

"Potrei sopravvivere alla scomparsa di tutte le cattedrali del mondo, non potrei mai sopravvivere alla scomparsa del bosco che vedo ogni mattina dalla mia finestra." 

Parole del nostro regista, scomparso da poco, Ermanno Olmi.

Tutto ciò che è antropico, seppur grandioso nella struttura e ricco di inventiva come solo l'uomo è capace di fare, è replicabile.
Non è lo stesso per la natura: lo stupore non si può replicare, al massimo si può rimanere a bocca aperta per due meraviglie della Terra diverse.

E' una sensazione che non dovrebbe andar persa.

Una considerazione che fa il paio con quella poetica di George Byron: "C'è una gioia nei boschi inesplorati, c'è un'estasi sulla spiaggia solitaria, c'è vita dove nessuno arriva vicino al mare profondo e c'è musica nel suo boato. Io non amo l'uomo di meno, ma la Natura di più."

Non solo al romantico barone londinese che amava la vita a vene aperte (...forse anche troppo, si diceva), pare incolmabile la superiorità della bellezza della natura nei confronti della imperfezione umana.

Forse un pò tutti, in fondo in fondo, lo pensiamo da sempre.

Eppure l'uomo ha pensato di essere più creativo della creazione.

E ci siamo persi nel tunnel dell'onnipotenza:
- ci penso io, posso fare tutto!

E invece, dovevamo fare il meno possibile.

"Avere la Terra e non rovinarla è la più bella forma d'arte che si possa desiderare".

Così diceva Andy Warhol che di comunicazione attraverso l'arte se ne intendeva un pochino...

Frase che meriterebbe apprezzamento a prescindere dal suo autore, ma che ne acquista ancor più valore se a sostenerla è stato un interventista nell'arte per definizione: un pittore, scultore e fotografo della Pop Art che vedeva la comunicazione come modifica dell'elemento rappresentato.

Uno come lui che non riusciva a frenare la propria vena creativa, si fermava però di fronte al concetto dell'immodificabilità dell'opera d'arte più sublime che era la Terra.

Ma non abbiamo saputo apprezzare ciò.
Non importa come ci era arrivato questo mondo tra le mani - Big Bang o Dio- , ma avevamo un dono incommensurabile tra le mani e non ne abbiamo goduto guardando al futuro, ma solo spremendolo per il presente.

"Il mondo è un bel libro, ma poco serve a chi non sa leggere."

In una sola battuta del drammaturgo Carlo Goldoni c'è tutta la mancanza di fiducia verso l'uomo.
Non verso tutti gli uomini.

Del resto egli stesso, nel suo campo d'azione professionale, riformò il teatro sul concetto che il mondo popolare, pieno di purezza incontaminata e vitalità creativa, trasmettesse valori che non aveva la borghesia.

Sarebbe bastato rifarsi a quest'idea di purezza d'animo per sentirsi come uno dei servi delle sue commedie e non tra i padroni del pianeta.

"Inquilini della terra, non è carino che ci diamo tante arie di proprietari".

Mi vergogno un pò a citare Gesualdo Bufalino.
Vi spiego il perché.

Ricordo con nostalgia la redazione del quotidiano della mia città, in cui lavoravo, che prestava fax, telefoni e un tetto per far scrivere i propri giovani collaboratori.

Ricordo con pudore che parlai per telefono con lui per un'intervista e quasi mi chiuse il telefono perché lo avevo chiamato senza conoscerlo.

Non aveva torto.
Mi ero sentito proprietario della sua privacy.
E' lo stesso concetto che ribadisce in quella frase nel rapporto uomo-Terra: non chiediamo mai permesso e scardiniamo ogni regola naturale.

E così facendo siamo andati sempre più contro noi stessi.
Ci siamo fatti male da soli.

"Solo due cose sono infinite, l'universo e la stupidità umana, e non sono sicuro della prima."

Ad occhio e croce, non mi è sembrato un complimento questo aforisma scritto da Albert Einstein, considerato probabilmente lo scienziato più famoso di tutti i tempi e sicuramente uno dei più importanti studiosi e pensatori del XX secolo.

Non tutti possiamo mirare alle altezze costituite dal mix di teorie fisiche e logiche filosofiche del suo pensiero, ma nemmeno possiamo restare ancorati alla banalità che abbiamo vissuto nel quotidiano.
Sarebbe stata augurabile magari una via di mezzo. 

E invece, persi tra una legge elettorale del cavolo e l'altra o ripiegati sullo spread e il debito pubblico, non abbiamo capito che la vera politica era ridurre l'emissione dei gas nocivi, abbandonare l'era della plastica e risparmiare sui consumi dei beni primari.

E così abbiamo continuato a prendere l'auto per fare ridicoli spostamenti da tartaruga; intestarditi ad avvolgere frutta, ortaggi e alimenti vari in confezioni da modalità prigionia; lasciato rubinetti aperti, luci e computer accesi senza un vero bisogno.

Votare per questo partito, quel movimento o l'altra coalizione non ha spostato di molto la nostra coscienza politica: non ci siamo resi conto che è la difesa della nostra casa terrena che ci ospita la vera emergenza.

Si fa veramente politica o meno se ci fermiamo a chiudere quel rubinetto lasciato aperto incautamente da qualcuno o se, al contrario, tiriamo dritto perché abbiamo fretta.

"Perché un ecologista venga eletto presidente, bisogna che gli alberi votino."

Naturalmente non solo pensatori di primo piano possono aprirci le porte della riflessione.
A volte, addirittura, penso che nessuno meglio di un comico possa riuscire a condensare in una piccola battuta una grande verità.
E quella citata dall'italo-francese Coluche mi pare molto pertinente per esprimere tale mia convinzione.

Perché siamo ancora in tempo a salvare questa terra.
Ma dobbiamo fare in fretta, tenendo conto del seguente concetto: il futuro non deve ancora avvenire, e' ormai alle nostre spalle: ce lo siamo ormai giocato.

Ma nulla è perduto: il nostro vero futuro e' il passato, nel senso che dobbiamo tornare a fare scelte legate alla difesa del pianeta verso cui un tempo l'uomo aveva più rispetto.

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