L'IMMAGINE CHE NON SI IMMAGINA PIU'

Per Cartier-Bresson, forse il fotografo più noto di tutti i tempi, era come disegnare.
L'immaginazione immortalata come un tratto di matita nero sul foglio bianco da riempire.

Sappiate, miei cari posteri piccini, che anche questo vostro avo che oggi qui vi scrive è sempre stato un appassionato di fotografia.

Fin dalla prima Diana in plastica 16 pose, che gli regalarono i genitori quando aveva poco più di una decina d'anni.

Pur essendo una vera e propria macchina-giocattolo nata ad Hong Kong, ebbe un discreto seguito nel decennio del 1970 ed avviò alla doppia possibilità i suoi piccoli acquirenti: ci giocavi e la smontavi distruggendola dopo pochi giorni o leggevi con attenzione il suo libretto d'istruzioni e ti faceva nascere il germe della futura passione fotografica.
Io presi la seconda strada, ma allora non lo sapevo.

Allora la tecnologia all'avanguardia era la nascente Polaroid che invidiavo a mio fratello maggiore!
Mi sembrava incredibile che lui potesse avere una piccola foto un attimo dopo lo scatto!
La vedevi uscire lentamente dalla macchina lateralmente.
Poi dovevi aspettare che si asciugasse un pò et voilà: agli occhi del bambino, la magia era compiuta.

Ancora oggi, poche cose mi danno più brividi di un profilo in silhouette che si staglia contro uno sfondo colorato di un acceso rosso o si confronta con l'immensità dell'azzurro.

Per riprovare queste sensazioni vado da una vita a caccia.
No, tranquilli: senza armi.
Non ce l'ho con gli animali, al massimo uccido la noia: sparo immaginazione a salve, per catturare immagini che mi diano in cambio un'emozione in più utile ad essere contento di stare in questo bel mondo.

Non è questo il luogo ove far transitare le mie esperienze fotografiche di appassionato: qui è ha diritto di cittadinanza solo la "Nostalgia Canaglia" citata nel titolo.

Perché il tempo, ovviamente, cambia anche in quest'ambito.
Mi permetterete un piccolo flash back.

Prima dell'avvento della nuova tecnologia, in vacanza portavo tutta la mia borsa degli attrezzi: macchina reflex con obiettivi vari, zoom, macro e grandangoli, filtri di tutti i tipi e rullini a non finire.

Non c'erano effetti da aggiungere dopo perché l'immagine veniva direttamente impressa dalla tua creatività alla pellicola.

Gli scatti dovevi anche selezionarli in quantità accuratamente perché non avevi pose infinite da poter sfruttare, rispetto ai duemila scatti al secondo che adesso si realizzano.

In gruppo, forse, ero il più odiato per i tempi biblici che dedicavo, spesso, per cercare il miglior taglio per l'inquadratura e la luce che rendesse unica la mia foto.
Poi, però, ero il più amato alla fine della vacanza: c'era un'attesa spasmodica delle fotografie, per rivivere i bei momenti del viaggio fatto.

Fotografie che si organizzavano in appositi album o che si proiettavano sotto forma di diapositive, rimanendo a tua disposizione immediata ogni qual volta avevi voglia di riappropriarti di quei momenti magici, invece di rimanere prigionieri nella propria memoria digitale per essere poi cancellati per errore o per noia come capita, talvolta, adesso.

Se i rullini a colori li portavo al negozio, quelli in bianco e nero avevo imparato a stamparli a casa: ingranditore, bacinelle e liquidi montati nella mia stanza e via.

Tra l'altro, posso confidarlo perché tanto siamo tra amici, dovete sapere che anche voi, bimbi che mi state leggendo dal futuro, siete venuti al mondo proprio grazie a delle stampe in bianco e nero sviluppate nella mia stanza.

Quali?

Quelle di un "servizio fotografico" che feci ad un paio di amiche, con tanto di cambio d'abiti e pose di vario tipo.

Poi, una di queste ragazze partecipò alla fase dello sviluppo e, mentre nella bacinella del fissaggio c'era una sua foto in cui con la mano sinistra teneva il collo del cappotto alto e con quegli occhi scuri fissava il mio obiettivo e mi penetrava il petto, scattò un bacio improvviso.

Quella ragazza era la vostra futura bisbisbisbisbisbisbisnonna.

Un tranello fotografico che riuscì perfettamente e che "ha dato vita" (in tutti i sensi) alle generazioni successive fino a voi.

E oggi?
Tutto si è capovolto.

La globalizzazione dell'immagine è avvenuta perché il cellulare è macchina fotografica: tutti l'abbiamo sempre a disposizione.

Geloso della nuova tecnologia?
Non è questo.
Anche Cartier-Bresson l'avrebbe usata e, moooolto più modestamente, anch'io lo faccio.

Credo, però, che l'apoteosi del paradosso fotografico è che per avere un'immagine da riversare immediatamente online non ci si gode più l'attimo: non si è più attori dell'evento che si vive, ma osservatori di se stessi mentre l'evento si compie.

Trionfa il selfie!

Ci fotografiamo e rifotografiamo continuamente da dentro il momento senza vivere il momento.

Persino lo storico autografo ha perso il confronto con lui!

Siamo nell'era del selfie, sempre e comunque.
Chiunque scatta: sportivi, artisti, intellettuali e gente comune.
Gli uni degli altri o tra di loro.

E poi si pubblica.

In attesa della successiva "fotografia" del secondo dopo...

Nella quantità, l'eccezionalità dell'emozione è divenuta un optional!

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