Capitolo 1
"Dubai"
Non è esattamente la parola che ci si aspetta di sentire la mattina presto, come risveglio.
"Siracusa" le rispondo, con il viso ancora infossato nelle coperte.
"Stanotte ho sognato Dubai" ripete, quasi come un mantra, mentre salta nel mio letto ancora in pigiama.
È il nostro gioco. Quando arriviamo in un posto nuovo ci risvegliamo ricordando le città che ci sono piaciute di più o che assomigliano un po' alla nostra nuova meta. Da quel poco che ho visto finora i grattacieli in centro ricordano sicuramente Dubai, ma ci sono angoli di mare in cui non si può che pensare alla calma di Siracusa.
"Eri uno scricciolo a Dubai" le sorrido come non faccio più con nessun altro.
"Ci possiamo tornare? Quando andiamo via da qui." Neanche lei è abituata a restare a lungo nello stesso posto. Non so ancora come spiegarle però che questa volta non si tratta solo di una breve tappa tra un viaggio e l'altro.
"Per ora restiamo qui, okay? Ora vai a prepararti, oggi inizia la scuola". Lo sguardo di Ilaria è a metà strada tra l'affranto e l'eccitato. Mentre la chioma castana di quella piccola peste di nove anni si allontana mi ricordo che oggi la scuola tocca anche a me. Purtroppo, avrei voglia di aggiungere.
Tornare a scuola dopo anni di lezioni private è già di per sé abbastanza difficile. Farlo a metà del penultimo anno di superiori è anche assurdo.
Scelgo una t-short azzurra con uno scollo in pizzo e un paio di jeans semplici. Impiego qualche manciata di minuti a prepararmi e quando vado a fare colazione stranamente trovo mia madre ancora in casa. "Ho deciso di restare a casa oggi, dato che tornate a scuola". Non mi spreco neanche di risponderle.
"Eleanor vado a scuola con te oggi?" Ilaria sorride a mia madre spalancando due occhioni da cucciolo a cui quasi nessuno riuscirebbe a dire di no. Non mi aspetto comunque che acconsenta. A me ripete già da giorni che per i trasporti potrò contare solo su Lucas, il nostro nuovo autista, ma dubito che ne approfitterò. Se il mio arrivo a scuola sarà già difficile non posso neanche immaginare come sarebbe se tutti mi vedessero arrivare su una Range Rover nuova di zecca con autista incorporato.
"Certo piccola"
"Io andrò a piedi" come se me lo avesse chiesto. So che sta cercando di lasciarmi i mie spazi, ma ogni tanto non mi farebbe male ricordare di avere una madre vera e non solo una tutrice legalmente obbligata ad assicurarsi che sopravviva alle giornate.
"Lucas potrebbe portarti, impiegheresti meno tempo" neanche lei crede in quelle parole, sa benissimo che non è nel mio stile accettare una proposta del genere.
"Preferisco passeggiare un po', anche per conoscere il quartiere".
Dopo una tazza di cereali al cioccolato vado in camera a recuperare i libri. Davanti allo specchio mi fermo a ripetere come una nenia, con un sorriso stampato sulla faccia, quelle due solite parole: "Sei bellissima". E ogni giorno ci credo un po' di più. Oggi però è una giornata speciale, così decido anche di scrivere sullo specchio, con un vecchio rossetto rosso che mi porto sempre dietro, quello che mi sforzo di ricordare ogni giorno per non sprecare altro tempo: "Vivi".
Impiego appena una ventina di minuti per arrivare a scuola. È un enorme edificio incolore, circondato da un cortile e da campi adibiti ai vari sport che si possono praticare qui. Per raggiungere la segreteria devo attraversare diverse ale della scuola e mi accorgo subito che i muri di ognuna sono dipinti di un colore diverso. Sembra un posto molto più accogliente di quello che credevo e la prima impressione è sicuramente ottima, ma resta il fatto che qui non conosco nessuno e che a dirla tutta non so neanche come funzioni per davvero una scuola superiore. Escludendo quello che si legge nei libri e si vede nei video su YouTube di teenager americani alla disperata ricerca del successo, non ho idea di cosa aspettarmi.
Per fortuna sono in largo anticipo perché c'è un bel gruppo di ragazzi che attende di poter parlare con la segreteria, o forse con il preside.
"Non ti ho mai vista qui" impiego un attimo a capire che sta parlando con me. "Sei nuova?". Dev'essere alto più di 1,90m e aggiungendo a questo il fisico atletico e l'abbigliamento di chi è pronto per allenarsi faccio poca fatica ad immaginare il suo ruolo qui. Considerano poi gli sguardi adoranti che una ragazzina, probabilmente del primo anno, gli sta rivolgendo credo che sia anche un rubacuori o qualcosa di simile. Non si può dire che non sia un bel ragazzo, tra il fisico, i lineamenti scolpiti e i capelli biondo cenere.
"Appena arrivata", rispondo, sostenendo il suo sguardo.
"Io sono Cameron, piacere di averti conosciuta..."
"Mackenzie" completo la sua frase, anche se con un piccolo sforzo.
"Davvero bel nome" mentre mi risponde noto il suo sguardo posarsi con un po' troppa insistenza sulla mi scollatura e confermo l'idea che mi ero già fatta di lui e dei tipi come lui.
"I miei occhi sono un po' più in alto, sai" è la mia unica risposta, mentre i suoi, verdi, si scuriscono un po'. Dubito sia abituato a risposte del genere.
"Jackson!" un uomo che suppongo sia il coach della scuola urla avvicinandosi al primo ragazzo che ho incontrato qui. "Cosa fai vestito così?"
"Sono pronto per gli allenamenti coach" come immaginavo, Cameron è un giocatore di football.
"Ne abbiamo già parlato, finché i tuoi voti non migliorano non potrai allenarti. Cambiati e vai in classe" il ragazzo che ho appena conosciuto si allontana imbronciato senza più dire nulla.
"Lei è la signorina Van Dyke?" la segretaria mi richiama all'attenzione e nel giro di appena un paio di minuti mi consegna i moduli da far firmare a mia madre e l'orario delle mie lezioni.
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