Si crede a ciò che si spera
«È soprattutto in prigione che
si crede a ciò che si spera»
Honoré de Balzac
«Ad Attila, re degli Unni
Nobile signore, spero che questa missiva vi trovi in buona salute e lieta disposizione d'animo, poiché ciò che devo chiedervi non è un'impresa esente da rischi.
Chi vi scrive è una donna che forse rammentate di aver visto a Costantinopoli dieci anni or sono. Se così non è, non fatevene un cruccio: ero solo una bambina all'epoca, ma già mio fratello e mia madre erano all'opera per separarmi dal resto del mondo, perciò le mie apparizioni alla corte d'Oriente furono rare e brevi.
Da allora mio padre è morto, mio fratello Valentiniano siede sul trono di Ravenna e la mia prigionia si è fatta di anno in anno più severa e crudele. Nessun uomo poté corteggiarmi o chiedermi la mano quando ero ancora in età da marito: nessun estraneo doveva essere introdotto in famiglia, anche perché – come di certo saprete – il mio nobile fratello ha difficoltà a produrre un erede maschio per l'Impero.
Mi consolo al pensiero che questa sia la punizione del nostro buon Dio per la sua crudeltà.
Confinata nella più lontana e isolata delle nostre proprietà, commisi un errore imperdonabile: mi innamorai del nostro custode, Eugenio.
Immagino che un uomo avvezzo alla realtà della guerra abbia poco interesse nel sentir narrare della dolcezza del nostro amore, perciò non mi dilungherò su questo. Sappiate solo che dalla nostra follia nacque un bambino e allora la mia colpa non poté più restare nascosta. Eugenio fu mandato a morte e io scampai alla stessa sorte solo grazie all'intercessione di mia madre – tanto grande è l'odio e il sospetto che Valentiniano cova nei miei confronti. Ma avrei potuto perdonargli l'uccisione dell'unico uomo che abbia mai amato, e i lunghi anni di nubilato e solitudine, e il disprezzo che mi ha sempre dimostrato. Avrei potuto perdonare ogni cosa, con l'aiuto di Nostro Signore, se non mi avesse portato via il mio solo figlio.
Ebbi appena il tempo di vederlo in viso, appena nato, prima che mi fosse strappato dalle braccia per andare incontro a un terribile destino, ucciso per ordine di un uomo che ha il suo stesso sangue. Come se tale sventura non fosse abbastanza, mi ha anche fidanzata a un senatore suo alleato, un uomo imbelle e indegno della carica che ricopre.
Da un anno risiedo a Costantinopoli, ospite e prigioniera di mio cugino, l'Imperatore Teodosio, e da un anno medito la mia vendetta. E per quanto l'odio bruci con ardore nel mio petto, so di non poterla ottenere da sola.
Perciò vi invio questa lettera per chiedervi soccorso. L'anello che vi mando reca il sigillo della mia casata ed è un pegno della mia buona fede: liberatemi, e avrete tutto ciò che desiderate.
Nella speranza di incontrarvi presto, libera dal giogo della mia famiglia,
Valete
Augusta Giusta Grata Onoria
Costantinopoli, 30 Marzo dell'anno del Signore 450»
~
«All'augusta Giusta Grata Onoria,
La vostra storia sembra una di quelle che i nostri anziani raccontano attorno al fuoco quando cala la notte. Sarei curioso di sentirvela narrare di persona, ma il mio aiuto ha un prezzo e un anello non basta a pagarlo. In verità, non sono sicuro che voi possiate fare tali promesse così alla leggera e devo perciò rifiutare la vostra allettante offerta.
Attila, re degli Unni»
~
«Ad Attila, re degli Unni,
Volete ricchezze? Le casse della mia casa traboccano d'oro.
Volete il potere? Sono figlia e sorella di Imperatori. Non vorrete figli, spero, dato che non sono più una fertile giovinetta; del resto so che ne avete già messi al mondo diversi dalle molte donne che avete preso in moglie.
Forse volete delle terre.
Ebbene, nulla vi impedisce di venirle a conquistare: il vostro esercito e le vostre temibili macchine da guerra fanno tremare i bastioni di qualsiasi città del mondo conosciuto al solo sentirle nominare. Venite a prendermi, nobile Attila, e io vi darò l'autorità necessaria per regnare su tutto l'Impero dei Romani.
Augusta Giusta Grata Onoria
Costantinopoli, 16 Maggio dell'anno del Signore 450»
~
«All'augusta Giusta Grata Onoria,
Ho molte mogli, è vero, e molte donne con cui giaccio ogni notte senza averle mai prese in sposa – ma nessuna di esse si era mai offerta di adagiare un impero ai miei piedi. State conducendo un gioco pericoloso, venerabile Onoria, e vostro fratello Valentiniano e il suo generale, Ezio, non sono nemici da sfidare alla leggera. Se accetterò la vostra proposta, voglio che mi portiate in dote tutta la penisola italica.
Attila, re degli Unni»
~
«Ad Attila, re degli Unni,
Ogni vostra missiva è più vaga della precedente. Non tollererò oltre di essere derisa da voi. Se volete le vostre terre, dovrete prima liberare me da questa prigione; se non siete in grado di farlo, ebbene, cercherò un altro campione. Vi sono molti abili guerrieri, tra i Visigoti, gli Ostrogoti e i Vandali, che verserebbero fiumi di sangue per ottenere la mia mano.
Augusta Giusta Grata Onoria
Costantinopoli, 23 Giugno dell'anno del Signore 450»
~
«All'augusta Giusta Grata Onoria,
Cercate pure tra i Vandali, gli Ostrogoti e gli Sciiti, non troverete un re più potente e temerario del sottoscritto.
Voi mi incuriosite. Nessuna delle signore romane che ho conosciuto gioirebbe alla prospettiva di battaglie e massacri compiuti in suo nome. Forse qualcosa dello spirito di vostra madre, che per tanti anni visse tra i Visigoti, è sopravvissuto in voi.
E io non posso di certo lasciarmi sfuggire la possibilità di possedere una donna così fiera e sanguinaria.
Sto venendo a prendervi, moglie.
Attila, re degli Unni»
~
«A Valentiniano, augusto dell'Impero Romano d'Occidente,
Mio nobile cugino, Onoria non può più restare alla corte di Costantinopoli.
Ha infatti perso prima il senno e poi ogni senso della decenza, vendendosi a un barbaro tramite un vile commercio avvenuto per lettera. Mi duole informarvi di una tale, devastante notizia poco dopo aver appreso della morte del fanciullo appena messo al mondo da vostra moglie, ma Attila, re degli Unni, afferma di poter vantare dei diritti su vostra sorella. La promessa che si sono scambiati non equivale certo a un matrimonio, ma potrebbe essere valida sul piano legale e la questione va sistemata al più presto. Dopo avervi inviato questa lettera provvederò a far partire Onoria alla volta di Ravenna, sperando che gli Unni desistano dal folle proposito di invadere l'Impero. Se così non fosse, accettate un consiglio fraterno: maritatela a quel barbaro a cui dobbiamo diverso denaro. Con una ricca dote, infatti, risolverete tutti i nostri problemi.
Teodosio, Augusto dell'Impero Romano d'Oriente
Costantinopoli, 6 Luglio dell'anno del Signore 450»
~
«Ad Attila, re degli Unni,
Sono venuto a conoscenza del fatto che la mia disgraziata sorella vi abbia scritto lettere di dubbia moralità, arrivando a offrirsi di sposarvi. Arrivata a Ravenna, mi ha confessato di avervi promesso in dote la metà del mio regno, un'offerta ridicola, che ella non aveva alcun diritto di proporre.
Confesso che, nell'apprendere del suo misfatto, solo la fede cristiana e le suppliche della mia buona madre mi hanno trattenuto dall'alzare la spada verso di lei: Onoria è una donna dissennata e ribelle, di cui non c'è da fidarsi.
Confido quindi nel fatto che non abbiate prestato ascolto alle sue sconclusionate missive e che possiate dimenticarvi presto di questa incresciosa faccenda.
Valete
Valentiniano, Augusto dell'Impero Romano d'Occidente
Ravenna, 26 Agosto dell'anno del Signore 450»
~
«A Valentiniano, augusto dell'Impero Romano d'Occidente,
L'unica disgrazia della venerabile Onoria è aver ottenuto in sorte un fratello come voi e la sua unica colpa, se così si può definire, è stata quella di aver cercato di sottrarsi a un'esistenza di prigionia. Se mai le farete del male, non attirerete sul vostro capo solo l'ira del vostro Dio, ma anche la mia. E vi assicuro che la mia rabbia sarà molto più devastante di qualsiasi castigo divino.
Io e vostra sorella abbiamo stretto un patto vincolante, legale e dal quale lei non si è ancora tirata indietro; e qualora lo facesse, so che sareste voi a guidare la sua mano sulla pergamena. Quanto a me, verrò presto a reclamare ciò che mio: Onoria, le terre e i tributi che il vostro defunto cugino Teodosio ha mancato di versare quest'anno.
Attila, re degli Unni»
~
«A Valentiniano, augusto dell'Impero Romano d'Occidente,
Dunque scegliete la guerra. E sia.
Attila, re degli Unni»
~
«A Emilia,
Mia cara amica, spero che questa mia lettera non ti arrechi troppa angoscia. Non è da tutti ricevere lettere dai morti, giusto? Ma a te che sei stata l'unica compagnia negli anni solitari della mia gioventù, a te che mi sei sempre stata accanto nella fortuna e nella disgrazia e che mi hai sempre servito con devozione, a te sentivo di dovere una spiegazione.
Ricordo bene l'ultima volta che ti vidi, china sul pozzo della villa in cui mi avevano esiliato, credendo di avermi sconfitto: Attila si era ritirato, forse per le malattie, forse per l'intercessione del Papa, e non era mai giunto a salvarmi. Avrei dovuto trascorrere gli ultimi anni della mia vita in questo mondo a scontare la mia penitenza lontano dallo sguardo del fratello che avevo offeso e della madre che avevo così profondamente deluso.
Tu sei sempre stata buona con me, Emilia, e mi seguisti anche laggiù senza che te lo chiedessi. A volte, in questi anni, mi sono rammaricata di non averti portato con me quando fuggii; perdonami, ma all'epoca non ero sicura di cosa ne sarebbe stato di me e ho tentato di proteggerti, tenendoti all'oscuro del mio piccolo intrigo.
Quando scappai dall'Italia, non avevo che un cavallo e una borsa piena di monete d'oro: è stata la grazia del Signore a guidarmi attraverso territori sconosciuti, proteggendomi da briganti, assassini e altre calamità. Giunsi all'accampamento degli Unni sul finire dell'anno del Signore 452 e finalmente incontrai Attila.
Che strano uomo, amica mia!
Piccolo e tarchiato a vedersi, con una corta barba sottile e brizzolata e una piccola testa su un torace ampio. Scuro di carnagione, con terribili occhi allungati alla maniera dei barbari, sembrava un torello sgraziato. Ma quale arguzia, quale spirito si celavano dietro le sembianze di quest'uomo che molti, nell'Impero, chiamano il flagello di Dio.
Quando udì il mio nome scoppiò a ridere e si scusò di non essere venuto a prendermi; insistette per restituirmi l'anello che gli avevo donato qualche anno addietro, dato che non era stato in grado di mantenere la promessa.
Mi accolse nella sua città di pelli e legno, dove ero nota come Krihmilda e nessuno conosceva il mio vero nome, dato che il rischio che tale informazione arrivasse alle orecchie di Valeriano era troppo alto. Appresi con gioia della rovina di mio fratello, tradito e ucciso dai suoi stessi soldati, dopo che lui stesso aveva massacrato l'unico generale che gli era ancora fedele.
Nel frattempo io e Attila diventammo amici, poi amanti, poi sposi; ma poche settimane dopo il nostro matrimonio lui perì durante un banchetto e io mi trovai di nuovo sola.
Eppure, amica mia, ti confido che non sono mai stata così libera. Ho viaggiato a lungo, in questi ultimi anni, e ora che sento la vecchiaia avvicinarsi posso dirti con sicurezza che non tornerò mai a Ravenna: non c'è più nulla, lì, per me, se non il ricordo di una vita ormai perduta e che preferisco dimenticare.
Sarai sempre nei miei pensieri, e nel mio cuore,
Vale
Giusta Grata Onoria,
Terre oltre il Danubio, anno del Signore 460»
~
Cosa c'è di vero:
Più o meno tutto quello che è scritto nelle lettere, tranne per l'ultima.
Onoria, una principessa romana, chiese davvero aiuto ad Attila — tra tutti i possibili campioni! — per farsi venire a salvare e questo fu il pretesto, sbandierato in lungo e in largo, che Attila usò per scendere in Italia, seminando distruzione lungo il suo cammino.
E Teodosio, che morì nell'estate del 450, doveva davvero molti tributi agli Unni: era una sorta di "pizzo" con cui Attila si impegnava a non invadere l'Impero Romano.
Valentiniano fu invece ucciso dai suoi stessi soldati dopo aver condannato a morte Ezio, il generale che sconfisse Attila ai Campi Catalunici e che era sempre stato il suo più fedele difensore (e alla fine anche l'unico rimastogli).
Cosa c'è di falso:
Dopo essersi ritirato dall'Italia senza aver ricevuto Onoria in cambio — la leggenda dice perché incontrò il Papa, ma probabilmente fu a causa della peste che dilagava nel suo esercito — Attila tornò in Pannonia e morì il 16 Marzo 453, dopo aver sposato la sua ultima moglie, Krihmilda. Le fonti dicono che sia morto soffocato/sia stato ucciso da un'altra sua moglie.
Che Krihmilda (un'ungherese di cui non si conosce nulla oltre che il nome) fosse Onoria sfuggita alla prigionia è totalmente una mia invenzione: ho preso spunto dal fatto che, dopo questa sua ennesima ribellione, la sorella di Valentiniano venne mandata in esilio e di lei non si seppe più nulla.
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