• capitolo 2 •


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Tess' pov


Cammino su e giù per la stanza mentre Silvia e Dylan non fanno altro che guardarmi con espressione incredula per ciò che hanno sentito.

Appena sono arrivata a casa ho chiamato subito loro due per raccontargli l'ennesima scenata di Peter.

Si sono catapultati nella mia stanza in cinque minuti.

«Lui ha rotto le palle.» sussurra dopo secondi di silenzio Dylan.
E dentro di me, penso di non esser mai stata più d'accordo con lui in vita mia.

«Sarà l'ennesima volta che te lo dico, ma parla con tua madre.»
Silvia mi prende la mano e la stringe alla sua.

«Rimarrebbe troppo delusa, e l'ultima cosa che voglio è vederla soffrire.» dico buttandomi sul letto.

Quando se n'è andato papà, mamma ha sofferto per un po' di depressione.

Associa sempre un grande valore all'amore e dona tutto il suo cuore per ciò e per chi ama.

Ma la sua stessa cura le si è voltata contro.

Per alcuni mesi, nella sua mente ha vissuto in una gabbia di lame di spada, che riflettevano il suo dolore raddoppiandolo.

Il dolore le faceva male.

Non ci fu nessun miracolo alla fine; l'unica qualità di Peter è la bellezza, il resto sono solo bugie dette per compiacere.

Ma gli occhi di mia madre sono rimasti oscurati per così tanto, che alla prima luce vista ha voluto cambiare.

Crede che Peter sia una stella, mentre è solo una lampadina di scarsa qualità.

«Ci penserò.» dico mentre mi stropiccio gli occhi stanchi.

E lo faccio sempre, questa non è una bugia, ma rimango sempre sulla mia posizione.

Fa male a me, ma almeno a mamma no.

Mi siedo con le gambe incrociate stropicciando la morbida coperta mentre i miei migliori amici si alzano per andarsene.

«A domani.» dico sbuffando.

«A scuola.» aggiunge Dylan lasciandomi un bacio sulla fronte.

«Se hai bisogno io e Dylan ci siamo, ricordatelo.»

Sorrido e aspetto che se escano dalla stanza per chiudere la porta a chiave.

Apro il cassetto del comó di legno scuro e ci estraggo un album di fotografie.

La prima foto che ci è incollata è stata scattata il giorno in cui sono nata, mentre l'ultima è stata scattata un mese fa.

Ritrae me, mamma e... Peter.
Lei è così felice.
È seduta sul divano mentre in una mano tiene la sua rivista di moda preferita e nell'altra una tazza fumante di tè.

Io sono seduta affianco a lei, sotto la coperta, mentre leggo un libro.

Peter ha scattato il selfie, ed era seduto dall'altro lato di mamma.

Dovrebbe essere una scena felice in famiglia, se non fosse per lui.

Sento il naso pizzicare e gli occhi bruciare un po', sia per la stanchezza che per le lacrime che chiedono di uscire.

Ma io le respingo, non ho voglia di piangere.

Avete presente quando piangete così tanto, in continuazione, che ad un certo punto vi crea dolore piangere ancora?

È così che mi sento.

Non che io sia depressa o cose simili, ma lui mi crea tristezza.

Strappo la foto dalla pagina e la stropiccio per buttarla nel cestino della spazzatura.

Mi porto la testa tra le mani e sento il cuore martellarmi pesante contro il petto, come se improvvisamente fosse diventato di metallo.

Sento bussare alla porta e cerco di ricompormi, sperando che non sia Peter -altrimenti sarei costretta a dargli uno schiaffo- .

«Tess sono mamma.»
Sentire la sua voce mi fa istintivamente sorridere.

Vado ad aprire la porta e lei entra sorridente.

«Guarda mamma... » le dico indicando l'album e portandola al comó.
« ...dovremmo farci altre foto da aggiungerci, come quelle in cui eravamo travestite per Halloween.»

Le vedo illuminarsi gli occhi appena vede le nostre foto di quando avevo nove anni e ci eravamo travestite da pop star.

Accarezza con le dita il foglio bianco dell'album e mi guarda.

«Sai che c'è... hai proprio ragione, dovremmo farlo... »

Prende un paio di occhiali dal mio porta gioielli e li indossa; le stanno davvero male, ma è buffa e fa ridere.

«Non è un vestito per Halloween ma faccio paura comunque, vero?»

«Abbastanza.» dico ridendo e mettendomi un vecchio foulard leopardato - a dir poco osceno - .

«Prendi il telefono mostro!»
Mamma fa finta di ruggire e si butta sul letto riempendo la stanza di risate.

La seguo a ruota imitandola, e lascio alla mia mente il tempo di godersi questo piccolo ma felice momento.

*

Mi guardo per l'ultima volta allo specchio prima di uscire di casa per andare a scuola.

Mi sistemo la folta chioma di capelli biondi ed esco di casa.

Questa mattina l'aria è un po' più fresca del solito, così mi tiro la zip della felpa fino al mento e mi strofino le mani per riscaldarle.

È proprio in momenti come questi che si desidera solo una tazza di cioccolata calda tra le mani, seduti su una poltrona a guardare la propria serie tv preferita.

Ma quando ciò non è possibile, mi limito ad osservare le foglie dalle sfumature autunnali cadere, oscillando lentamente, per poi posarsi sulla strada bagnata dalla rugiada.

Le nuvole grigie e basse coprono tutto il cielo, creando un bellissimo contrasto con il rosso mattone del tetto delle abitazioni.

Rivolgo il naso all'insù e sento una goccia di pioggia cadermi sulla punta del naso.

Accelero il passo mentre le prime macchine che si dirigono a scuola, sfrecciano sulla strada schizzando qualche goccia d'acqua.

Inspiro profondamente l'odore del cemento bagnato; non piace a tutti, ma io lo adoro, perché è caratteristico.

Quando mi invade le narici penso subito all'autunno, al debole sole che sorge alle sei del mattino, all'aria fresca che mi punzecchia la gola.

Sento altre gocce di pioggia cadere ma che non minacciano molto e, dato questo e poiché sono in anticipo, decido di fermarmi ad un bar vicino la scuola.

Apro la porta e il dolce profumo di cornetti appena sfornati mi apre piacevolmente lo stomaco.

Controllo le tasche.

Evvai Tess, cinque dollari.

Mi avvicino al bancone e chiedo alla cameriera se gentilmente puó portarmi un cappuccino ed un cornetto.

Lei mi sorride e mi chiede di aspettare qualche minuto.

In questo bar ci venivo spesso quand'ero piccola con mio papà.

Mi comprava sempre due cornetti con la Nutella dentro, ma senza dirlo a mamma altrimenti si sarebbe arrabbiata.

Mentre aspetto le mie ordinazioni i miei occhi di falco scorgono una chioma mora all'entrata del bar.

Allungo il collo e vedo che si avvicina al bancone.

Lo riconosco solo quand'è affianco a me -beh in fondo l'ho visto solo una volta- .

«Ehy Chris!» lo saluto amichevolmente, sperando di non aver esagerato troppo.

Lui mi guarda, ma non come volevo che lo facesse.

I suoi occhi viaggiano da una parte e dall'altra del mio viso, quasi inespressivi.
Come se non gli scaturissi nulla.

«Cosa vuoi?» mi risponde con un tono di voce che mai mi sarei aspettata e che non avevo sentito ieri.
È scocciato, scorbutico, nervoso.

Se al nostro primo incontro è stato piacevole trascorrere del tempo con lui, oggi vorrei solo sparire dalla faccia della Terra.

«Ieri hai detto che potevamo vederci... » dico smezzando la frase tra tutte le parole.

«Beh ho cambiato idea.»
Voce piatta.
Veloce.
Nessuna espressione facciale.
Come se fosse un'altra persona.

Prende un cornetto e se ne va, senza rivolgermi nemmeno una veloce occhiata.

Rimango impassibile finché non mi arriva il cappuccino e il cornetto, e mi alzo per andare a scuola.

Ma non ho più fame, lo stomaco si è attorcigliato.

Non so esattamente perché i suoi gesti mi abbiano ferita così tanto; forse perché nemmeno ventiquattro ore prima aveva cercato di aiutarmi, mentre appena un minuto fa si è comportato come se fossi invisibile.

Sembrava diverso.
E invece indossava solo una maschera.

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