• capitolo 1 •


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Tess' pov


Stringo più forte l'orlo della tovaglia bianca tra le mie dita intrecciate e sudate, mentre il mio sguardo è rivolto sul piatto vuoto di ceramica.

L'aria fresca di ottobre passa tra i miei capelli alzando qualche ciuffo selvaggio.

Il lieve tintinnio della forchetta sul bicchiere mi distoglie dai miei pensieri.

Peter mi guarda costruendo un sorriso sulle sue labbra carnose.

Cerco di riproporgli lo stesso gesto ma con scarsi, anzi pessimi, risultati.
Non sono mai stata brava a sorridere con uno schiocco delle dita.

Tra l'altro non capisco perché io debba farlo, se in realtà non è ciò che rappresenta le mie emozioni.

«Volevo ringraziarvi di essere quí, nonostante questa non sia casa mia».

Le persone presenti creano una leggera risata d'accompagnamento alle sue parole.
Io resto impassibile.

«Sono orgoglioso di annunciarvi che il progetto a cui sto lavorando è ormai concluso»
Peter alza il bicchiere del vino in alto gonfiando il petto.

Si crea un brusio di applausi e volti compiaciuti tra la gente.

«Tra due settimane, potremo iniziare i lavori!»

Applaudono ancora.
Più forte.

Peter mi sorride ancora ed io lo guardo con disprezzo.
Scosto la sedia con violenza e mi reco dentro la villa correndo, lasciandomi alle spalle quei volti curiosi quanto perfidi.

«Tessa! Vieni subito quí!» mi urla Peter, ma io non lo ascolto.

Non mi verrà a cercare, ne sono più che sicura; non gliene importa nulla di me.

Chiudo la porta d'ingresso e vado in cucina per prendere un fazzoletto con cui pulirmi le guance dal mascara colato.

Mi guardo le mani. Tremano.
Il mascara continua a creare righe nere sul mio volto.

Mi siedo su uno sgabello e cerco di calmarmi, prendendo grossi respiri.
Cerco di concentrarmi sulla stanza: ampia, luminosa, dipinta da colori neutri in contrasto con il divano rosso scarlatto.

Ma il mio intento di concentrarmi viene interrotto da una voce maschile, non così bassa da essere adulta.

«Sei Tessa, la figlia di Peter?»

Non mi giro per vedere chi sia; non mi interessa, e inoltre ho un aspetto ridicolo.

«Lui non è mio padre ma il marito di mia madre.» puntualizzo con una nota amara nella bocca.

«Okay, e perché piangi?» lo sento avvicinarsi a me e decido di girarmi per vedere chi sia, non m'importa cosa penserà di me.

È lí, appoggiato sullo schienale dello strano divano.
Il suo ciuffo moro è sistemato selvaggiamente in mezzo alla folta chioma di capelli.

Il suo viso è formato da lineamenti perfetti, così tanto da sembrare scolpiti su marmo.

Le sue labbra sono semplicemente... labbra, ma hanno un qualcosa che le rende uniche.

E i suoi occhi... Dio i suoi occhi.

Due iridi quasi verdi, contornate dallo stesso colore della chioma degli alberi di un bosco; sembrano fatte apposta per incantare la gente.

Sono il mare in tempesta, che con il suo viso formano un quadro perfetto.

Il suo corpo non si può definire molto muscoloso, ma la sua rigiditá dà la sensazione di essere molto forte.

Con le dita cerco di togliere dell'altro mascara dai miei occhi e lui fa una piccola risata.

«Lascia stare, peggiori solo il tuo aspetto così, sta tranquilla.»

Le sue labbra formano un sorriso consolidatorio ed io lo ricambio subito.

«Vieni, puoi sfogarti un po' se vuoi.»

Si accomoda sul divano e con la mano mi fa gesto di sedermi accanto a lui.

Esito alcuni secondi; è un ragazzo che ho appena conosciuto, tra l'altro non in casa mia.

Cosa dovrei fare?

La sua voce dà la risposta al mio pensiero: «Non sono un molestatore.»

Rido e mi accomodo, come offerto da lui.

Mi guarda.
I suoi occhi profondi mi scrutano dall'alto in basso.
Mi ricordano quelli di un lupo selvatico.

«Allora? Perché sei così triste?»

Il modo semplice e veloce in cui me lo chiede mi fa prestare l'attenzione su di lui, sulla sua voce, sul suo modo di fare.

Non mi ha dato l'impressione di esser stato scorbutico, niente affatto; mi ha colpito come lui non si imbarazzasse di vedermi così, come se fosse una cosa normale.

Perché in effetti è cosi: piangere, provare emozioni, è umano.

«C'entra il suo progetto?»

«No no, vuole solo costruire nuove zone di edifici, semplicemente odio il suo falso comportamento contro di me, solo per farsi compiacere da mia madre.»

«Non credo t'importi molto di lui, quindi lo dico tranquillamente: che bastardo

Sorrido tristemente.
Lui si gira un po' verso di me per avere una conversazione migliore.

«Peter ha preso il posto di lavoro di tuo padre, giusto?»

«Sì, esatto.»
Confermo la sua domanda retorica e faccio un sospiro rassegnato.

«Due anni fa i miei genitori si sono separati, lui è andato via da Brooklyn e quindi Peter ha preso il posto di vice titolare dell'azienda.» continuo.

C'è qualche secondo di silenzio tra noi, rotto poi dalla mia domanda: «E tu sei il figlio del capo di Peter, giusto?»

«Esatto.»

«E non ti ha costretto ad unirti a questa stupida cena?»

«Ti dico solo che sono in punizione.»

Gli sorrido e lui fa lo stesso con me. È davvero piacevole stare insieme a lui.

«In tutto questo non ci siamo ancora presentati!» esclamo, come risvegliata.

«Sono Tessa, ma preferisco essere chiama Tess.» aggiungo.

«Io sono Christian, ma preferisco essere chiamato Chris.»

«Bene... Chris, quanti anni hai?»

Lui mi guarda e scoppia a ridere.
Lo guardo con un sopracciglio alzato in modo interrogativo.

«Scusami, ma mi ricordo che l'ultima volta che me l'hanno chiesto avevo otto anni.»

Scoppio a ridere anch'io, rendendomi conto dell'assurda domanda fatta.

«Comunque ne ho diciassette, tu?»

Sul mio volto compare un espressione sorpresa; non credevo potesse avere solo diciassette anni, ne dimostra minimo diciannove.

Comunque, per evitare altre figuracce non gradite, rispondo solo con: «Anch'io ne ho diciassette.»

Sento aprirsi la porta d'ingresso della villa e sento le suole di mocassino di Peter avvicinarsi a noi. Il suo passo è fastidiosamente inconfondibile.

Mi alzo dal divano, già pronta ad andarmene per evitare di guardarlo in faccia.

«Tessa, mi hai fatto preoccupare.»

Si para davanti a me fingendo un espressione preoccupata sul suo volto.
Indossa di continuo delle maschere quand'è con me.

«Se lo fossi davvero probabilmente adesso ti chiamerei papà, caro Peter.»

Alza le sopracciglia incredulo; non perché sia sorpreso delle mie parole, ma perché l'ho detto ad alta voce.

Sa ciò che io penso di lui.

Lo oltrepasso per uscire dalla villa mentre lui è ancora immobile lì.

Sto per richiudere la porta quando la voce di Chris mi chiama: «Ci vediamo in giro»

Mi giro verso di lui e sorrido.
Poi regalo a Peter uno sguardo di sfida ed esco.

- Spazio autrice -

Sinceramente, non vedevo l'ora di pubblicare questa storia.
Come vedete, non c'entra nulla con Riverdale o con i Bughead.
Avevo voglia di cambiare, capitemi: dopo tre storie incentrate su quello dovevo fare una svolta.
Ed eccomi quí.
Cercherò di pubblicare tutti i giorni, e se non sarà così un giorno sì ed uno no.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo  :)

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