Sigaretta

Stavo girando del tabacco in una cartina. Nei corridoi vuoti della scuola. Sentivo le urla provenire dalle classi. Ho sempre odiato il frastuono, ma amavo sentire le urla in lontananza attutite dalle porte chiuse. La vita è sempre stata così per me. Mi piace osservare l'umanità, ma sempre a distanza. Quelle urla da lontano erano per me come possedere un telescopio con cui osservare il nostro pianeta da lontano. Non potevo sapere che avrei invece desiderato da lì a poco passare ogni singolo momento della mia vita con un terrestre. Perché io mi sentivo un alieno. E non sapevo a che specie appartenevo e nemmeno cercavo altri che come l'appartenevano. Sentii il cigolio di una porta che si apriva. Quel rumore lieve ma fastidioso stava spezzando il silenzio. Assieme alla mia quiete. Mi voltai per sincerarmi che non fosse un professore. A casa conoscevano la mia abitudine di fumare tabacco, ma vigeva il patto del silenzio fra noi. Loro fingevano di non sapere e io fingevo che non sapessero. Quel patto rischiava di essere spezzato se il preside urlante avesse chiamato i miei. Non lo riconobbi subito; mi accorsi solo dal vestiario e dalla camminata scanzonata che quel terrestre che si stava avvicinando, non era un professore.
«fumi tabacco» era ancora distante quando pronunciò quelle parole. Mi stupì che fosse riuscito a scorgere cosa stavano girando le mie dita.
Gli feci segno di abbassare la voce.
«te ne faccio uno se non urli»
Sorrise.
«getta quella cosa e prendi una di queste» dalla tasca estrasse un pacchetto stropicciato di Marlboro morbide. Quella che mi porse era leggermente piegata verso destra. Sembrava un pene che stava passando dall'essere floscio all'erezione.
«non mi piacciono quelle già rollate, sono da checche.» mi sentivo irrigidito dalla sua presenza. Mi dicevo che era un fighettino. Mi dicevo che era quel classico figlio di papà che aveva tutto dalla vita. Che non aveva bisogno di nessuna fatica per ottenere quello che voleva. Che era stato pure fortunato a nascere etero, mentre io ero costretto a nascondere la mia condizione. Mi stavo mentendo, lo trovavo solo affascinante. Ma non volevo ammetterlo. Non amavo l'idea di non avere nessuna possibilità con lui. Non amavo perdere. Nonostante la mia condizione di perdente. Non mi ci ero abituato in quasi diciotto anni di vita. Non mi ci sono mai abituato del tutto.
«fa un po' come vuoi» la poggiò fra le labbra. Quelle labbra che in seguito avrei scoperto sapere di ciliegia.
Si avviò verso il bagno. Chiusi rapidamente la cartina. Leccando il lato della colla, strofinando l'indice per pressarlo sull'altro.
E iniziai a seguirlo. Non avrei più smesso di farlo. Nemmeno quando la sua anima avrebbe lasciato il suo corpo.

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