Decisioni affrettate
Premessa generale:
Questa storia, scritta da me quattro anni e poco più fa, è stata pubblicata come romanzo dalla Herald Editore, ed è disponibile all'acquisto da febbraio duemilasedici. La qui presente è solamente una parte dell'opera, pubblicata su Wattpad con il solo intento di farvi capire di cosa si tratti, nel caso vogliate acquistarla. Troverete a fine capitolo le informazioni per comprarla, se poi vorrete e vi avrà incuriosito.
P.S. Questo è il quarto capitolo della storia, quindi, se vi sembrerà tutto un po' confusionario, il motivo è quello ;)
"Beh, facciamo tutti fatica a vivere,
ma poi ci sono i bei momenti".
- Charles Bukowski
Un timido raggio di sole filtra tramite le tapparelle della finestra della mia camera da letto e mi colpisce in pieno viso. Mugolo qualcosa di incomprensibile, prima di socchiudere un occhio per dare uno sguardo all'orologio digitale che ho sul comodino. Sono appena le sei e dieci di mattina, ed il mio corpo non ha la minima intenzione di obbedire ai comandi del mio cervello ed alzarsi dal letto. Affondo la testa nel cuscino, prima di tastare la superficie del materasso al mio fianco e rendermi conto che è vuoto, e che sono sola. Riesco, finalmente, a mettermi seduta, a stiracchiarmi un po' ed a stropicciarmi gli occhi, e mi do un'occhiata intorno. Nuvola è seduta ai piedi del letto e mi osserva speranzosa. Okay, lo ammetto: potrei anche essermi affezionata a lei. Un delizioso profumino di caffè mi pervade i sensi, assieme ad un dolce odore di cornetti, e distoglie, momentaneamente, la mia attenzione dalla mia gattina. Mi ci vuole un po', prima di realizzare che Cole sta preparando la colazione. Va avanti così da tre giorni, ormai, ma devo ancora abituarmici del tutto. Indosso la sua camicia, impregnata del suo profumo. Semplicemente, adoro indossare i suoi indumenti, le mattine che seguono le nostre nottate insieme. Una piccola parte di me cerca di convincere quella maggiore che Cole non è Mark, e che sarà tutto diverso, ma sono ancora terribilmente convinta che gli uomini siano tutti uguali, e che, quindi, prima o poi, in un modo o nell'altro, ti deludano sempre. Sbadiglio e mi alzo, un po' troppo velocemente, dal letto, guadagnandomi un giramento di testa e qualche attimo di cecità. Mi rimetto rapidamente in sesto e percorro la superficie fredda del parquet fino a raggiungere Cole in cucina. Nuvola mi segue a ruota, prevedibilmente. Cole sembra molto concentrato, mentre osserva il forno, aspettando che i cornetti surgelati - dei quali ho fatto grandi scorte in questi ultimi giorni - lievitino completamente e siano pronti. È in boxer, con il dorso completamente nudo, ma non mi stupisco particolarmente: dice sempre che si sente a suo agio, cucinando conciato così, ed io non ho, ovviamente, nulla da ridire a riguardo. Mi è anche capitato di dover alzare notevolmente la temperatura del termostato, ultimamente, a causa di queste sue abitudini alquanto... ambigue.
"Buongiorno!" esclama, quando si accorge di me, dopo che gli ho poggiato le mani sulle spalle ed ho iniziato a massaggiargliele.
Mi riserva anche uno splendido sorriso ed un piccolo 'bacio del buongiorno', quando si gira verso di me, dando le spalle al forno.
"'Giorno" rispondo, ricambiando il sorriso, con la voce ancora impastata dal sonno.
Sono così stanca! Se potessi, non andrei nemmeno a lavoro. Ma oggi non posso per nulla assentarmi. Oggi è il grande giorno. Oggi tutti i miei sogni si avvereranno... o si disfaranno in un batter di ciglia. Sono incredibilmente nervosa ed ansiosa. Jenna è capace di tutto, ma sa benissimo che ho bisogno di quell'incarico. Davvero, davvero tanto bisogno. Tutti quanti l'hanno capito in quell'ufficio! Persino quella papera di Melanie, che - a dirla tutta - si è impegnata moltissimo affinché potessimo primeggiare. Mi è sembrata tutt'altra persona. Si è dimostrata assennata, costante, ferma, e decisa... Quando mai si è visto prima?
"Andrà tutto bene, vedrai. Non ci sarà anima viva che non ti invidierà, in quella stanza, quando quell'arpia farà il tuo nome" mi rassicura Cole.
Deve aver percepito la mia tensione. È un ragazzo così premuroso... Mamma lo adorerebbe di sicuro, se dovesse conoscerlo. Ma questo non è di certo il momento adatto per presentarglielo. Primo, perché lo frequento solo da pochi giorni, e secondo perché, almeno per un po', è meglio che mia madre resti fuori dalla mia vita sentimentale. Soprattutto visto che per me è già abbastanza difficile nasconderle la verità su ciò che è veramente successo con Mark. Mi ha stupita, però: non credevo fosse tanto ingenua dal bersi la balla del "Non eravamo fatti l'uno per l'altra".
"Non penso sarà così semplice... Jenna mi odia, e - se potesse - farebbe di tutto, pur di impedirmi di andarci. Aspetta, lei può" gli faccio notare, con un pizzico di sarcasmo, provando sia a dissuadere lui, che ad autoconvincere me del fatto che non andrò a Boston.
Oramai ne sono più che sicura. C'è soltanto un minimo venti percento di probabilità che mi ci spedisca, ma sono perfettamente consapevole del fatto che non lo farà. Mi sono semplicemente rassegnata all'idea che mi reputa molto capace, ma allo stesso tempo troppo giovane, per un impiego simile. Cole mi abbraccia teneramente, attirandomi a sé e stringendomi forte, lasciando dei baci lungo tutta la linea del mio collo. Niente. Nemmeno degli scontatissimi brividi. Sono abituata a non provare nulla, però, per cui non mi scandalizzo più di tanto. Il suono di un timer mi fa sobbalzare, ma lui rimane calmo e si stacca da me per spegnere il forno e tirare accuratamente fuori - con delle presine - i cornetti. Hanno un aspetto meraviglioso, e non mi stupirei se fossero anche squisiti. Li poggia a raffreddare sui fornelli e si disfa dei guanti da cucina, per dirigersi alla macchinetta del caffè e spegnerla a sua volta. Oramai si muove come se fosse di casa, qui dentro. Prende due tazze dallo scolapiatti e le riempie, porgendomene una. Mi siedo su uno sgabello alla lunga tavola che è situata sotto l'enorme finestra che ho in cucina, ed comincio a sorseggiare la calda bevanda, osservando come, pian piano, New York prenda vita assieme al cielo, che inizia a tingersi dei colori di una tipica mattinata soleggiata. Forse oggi non nevicherà. Forse questo è il presagio di una giornata che potrebbe andare a buon fine. Cole mi si siede a fianco, dopo avermi consegnato un piattino sul quale ha posizionato il mio cornetto caldo, ed inizia a scrutare a sua volta l'orizzonte.
***
Trascino il trolley con me per qualche ulteriore metro, poi mi fermo. C'è una fila enormemente esagerata al check-in, e la signorina al bancone non accenna minimamente a spicciarsi. Meraviglioso. Perderò il volo. La riunione con il signor Lanchester è tra due giorni, e non ho intenzione di partire domani ed arrivare lì di sera e tutto trafelato. Già l'idea di trascorrere più di tre ore e mezza su un aereo di dimensioni ridotte mi dà la nausea. Ho sempre avuto le vertigini e la claustrofobia, e non so se sarò in grado di resistere. Ho da poco iniziato a cercare degli hotel economici sul mio cellulare, quando vedo, con la coda dell'occhio, un uomo avvicinarsi ed arrestarsi a pochi centimetri da me. Magari non ha idea di come ci si metta in fila. Ma sono costretto a cambiare pensiero, quando mi rivolge la parola.
"Mi scusi, lei è il signor Rogers?" mi domanda, con voce profonda e possente.
Lo osservo con circospezione, mentre annuisco. È... immenso. Non sto scherzando. È molto più alto di me, ed ha una massa di muscoli infinitamente grande, al posto del torace e delle braccia. Per giunta, indossa anche degli occhiali da sole che impediscono la vista dei suoi occhi. Per cui, anche se dovessi conoscerlo, non lo riconoscerei. È altamente improbabile, però, che io conosca un tipo del genere. Deglutisco a fatica, e spero che non voglia fare storie per fregarmi il posto in coda.
"Devo chiederle di seguirmi, cortesemente" aggiunge, dopo avermi fissato intensamente, o almeno credo.
Quegli occhiali mi consentono solo di vedere a stento il mio riflesso. Che faccio? Se dovessi andargli dietro, perderei il posto in fila, e - di conseguenza - molto probabilmente il volo. Se non dovessi obbedire, però, credo proprio che non ci penserebbe due volte, prima di pestarmi a sangue. Tiro su il manico della valigia e lo stringo saldamente, prima di incamminarmi al suo seguito. Giro la testa in tutte le direzioni possibili ed immaginabili, per trovare qualcuno a cui chiedere aiuto, nel caso dovessi averne bisogno, ma non vedo altri che una signora anziana che siede, con le mani congiunte in grembo, in sala d'aspetto. Beh, se non altro, potrebbe prendere questo bestione a borsate... Che vorrà da me? È un agente segreto della CIA? Il bodyguard di qualche celebrità internazionale? Il boss di un gruppo di malviventi? Una serie di possibilità si accalcano nella mia mente, mentre l'omone mi conduce in un corridoio, che, inizialmente, mi sembra quasi interminabile. Dopo un certo numero di passi - incerti da parte mia, e sicuri da parte sua - finiamo per ritrovarci a bordo di un jet privato.
"Suo padre mi ha incaricato di riferirle che il jet è a sua completa disposizione, e che una camera per lei al Mandarin Oriental Hotel, dove alloggerà anche Mr Lanchester, è stata già prenotata. Posso fare altro per lei?" mi chiede, cordialmente, dopo essersi girato verso di me.
Sono a dir poco allibito: mio padre che mi concede il suo jet privato? Deve assolutamente trattarsi di uno scherzo, perché non lo ritengo possibile. Quando mai mi ha rivolto attenzioni di questo tipo? Nego con la testa, ancora sconvolto, nella direzione del gigante, che, intanto, si è tolto gli occhiali, e mi osserva sorridente. Un'hostess mi si avvicina lentamente, spingendo un carrello con del ghiaccio e dello champagne sopra. Me ne versa un bicchiere ed io lo bevo senza esitazioni, ancora confuso ed incapace di formulare frasi concrete. Una camera al Mandarin Oriental Hotel. È un albergo talmente prestigioso... che non mi sarei potuto permettere nemmeno con lo stipendio di una vita. Non capisco perché mio padre mi abbia riservato tutte queste accortezze. Evidentemente, vorrà con tutte le sue forze che io porti l'affare a buon fine. Rimarrà molto deluso quando otterrò il contratto ma lo sfrutterò per liberarmi, una volta e per tutte, dalla sua morsa d'acciaio.
***
Controllo per l'ennesima volta l'orario sul mio orologio da polso, mentre mi avvio, affaticata ed affannata, verso la fermata dei taxi. Non ho idea del perché io abbia impiegato molto più tempo del solito a scegliere il mio abbigliamento per questa giornata. Così come non capisco perché i miei capelli non ne vogliano sapere di rimanere al loro posto e non smettano di svolazzare in libertà. Okay, sarò sincera: sono alquanto incapace di fare uno chignon decente. Soprattutto quando sono nervosa o in ritardo. Ovvero, tutti i giorni, a tutte le ore della mia vita. Sono davvero rarissime le occasioni in cui riesco ad arrivare in tempo ai miei appuntamenti. Allungo la mano oltre il marciapiede, con il pollice all'insù, e, ringraziando il cielo, un tassista si ferma. Apro la portiera ed entro velocemente in auto, comunicando all'uomo l'indirizzo della mia azienda. Sono tutta accaldata per la corsa che ho fatto prima dal mio palazzo alla fermata, perciò mi faccio aria sventolando, a mo' di ventaglio, una mano davanti al viso.
"Posso anche accendere l'aria condizionata, se vuole" propone gentilmente il guidatore.
"Oh, no, la ringrazio. Non mi sembra opportuno, con il freddo che c'è lì fuori" convengo, sorridendogli educatamente.
Annuisce, accennando ad un sorriso, e continua ad osservare la strada davanti a sé.
"Al massimo potrei abbassare il livello del riscaldamento" fa un altro tentativo, guardandomi dallo specchietto retrovisore ad intermittenza, mentre mantiene lo sguardo fisso sulla strada.
Acconsento, grata, e mi libero momentaneamente del giaccone, che fa di me un calorifero ambulante.
"Sono Joseph, per la cronaca. Ma tutti mi chiamano Jo" si presenta, dopo aver girato la manopola del riscaldamento.
Questa mi è nuova. Di solito non ho mai scambiato parole diverse da indirizzi, con i tassisti di New York, e sono sempre tutti molto burberi e scontrosi. Jo, invece, è un uomo robusto molto allegro e diverso dagli altri. Avrà all'incirca l'età di mio padre. Oh... mio padre. Chissà se mai si ripresenterà alla mia porta come l'altra sera... Ma chi voglio prendere in giro? Gli errori si commettono una sola volta per uno. Di sicuro era ubriaco, o, comunque, brillo, quella sera, e perciò è venuto da me. Ma figuriamoci se mai si rifarà vivo.
"Molto piacere, io sono Audrey" gli dico sorridendo.
Intanto siamo arrivati davanti all'imponente palazzo che è la mia azienda. Mi rinfilo il cappotto, apro lo sportello, e chiedo a Joseph quanto gli devo, ma lui scuote la testa e mi informa, sorridendo, che il viaggio è stato offerto dalla casa. Lo saluto, con i dovuti ringraziamenti, e lui ricambia, dicendo che spera di rincontrarmi presto. Anche io spero di rivederlo: non si incontrano tutti i giorni chauffeur come lui, ed il distacco dalla monotonia fa sempre bene. Fisso - per la prima volta intimidita - l'immensità della struttura, e poi entro. Saluto la ragazza alla reception - della quale non ricorderò mai il nome, perché è troppo complicato, visto che è straniera - e mi dirigo all'ascensore. Picchietto nervosamente la punta della scarpa sul pavimento, mentre salgo verso il mio piano. Finalmente, il *din* mi annuncia che sono arrivata a destinazione, e mi catapulto a tempo di record fuori. Raggiungo il mio ufficio, dove trovo Rosy già pronta con il mio secondo caffè giornaliero e la mia cartellina. La ringrazio, riconoscente, prendo tutto quello che mi serve, mi disfo di questo maledettamente superfluo giubbotto, e vado dritta in sala riunioni, con l'ansia alle stelle. C'è un posto libero: ovviamente sempre vicino ad Alexander. Mi sorride, ed io cerco di ricambiare alla meglio, pur sapendo di sembrare uno spaventapasseri appena uscito dal racconto di Lyman Frank Baum, soltanto più sconvolto.
"Tutto bene?" mi sussurra, ridacchiando.
Che ti ridi, deficiente? Sono nel bel mezzo di una crisi di nervi! Annuisco e faccio un gesto di sufficienza con la mano. Jenna entra nella stanza all'improvviso, aumentando il mio stato di ansia. Il ticchettio provocato dal contatto tra i suoi tacchi ed il pavimento è l'unico rumore che si sente, qui dentro. Poggia con tutta calma la propria roba sulla scrivania, e si siede lentamente. Ma lo fa apposta?
"Buongiorno a tutti. Oggi è un giorno molto importante, come ben saprete. L'incontro con il signor Lanchester è dopodomani, ed io ho già deciso chi di voi si recherà a Boston. Inizio col dire che preferirei che nessuno, tra coloro che non sono stati scelti, ci rimanga male. È una questione professionale, non prendetela sul personale. In ogni caso, essere arrivati fin qui è davvero un bel traguardo" si ferma un secondo per prendere fiato.
I battiti del mio cuore accelerano e mi rimbombano nelle orecchie con la probabilità di stordirmi.
"Detto questo, coloro che si sono dimostrati più capaci ed appropriati a svolgere tale incarico sono..." un'altra pausa.
Dio, che si muova! Non ce la faccio più.
"...Mark Steven ed Alexander Reed" conclude.
Il mio mondo si sgretola in un secondo. Il cuore ricomincia, lentamente, a battere regolarmente, e, per la prima volta dopo secoli, sento gli occhi pungermi, e minacciare di lasciare le lacrime libere di scorrere sul mio viso. Sono umana anch'io, in fondo! Oh, lo sapevo. L'ho sempre saputo. Perché ho voluto illudermi così? Perché, dannazione? Avrei dovuto immaginare che non mi avrebbe mai concesso quest'opportunità. Mi chiedo ancora che ci faccio qui. I due "eletti" iniziano a bisbigliare tra loro, ed io convengo che non reggerò a lungo questa situazione. Faccio forza con i piedi e spingo indietro la sedia, provocando un rumore assordante che fa voltare tutti nella mia direzione. Magnifico. Sospiro, frustrata, incapace di decidere cosa fare. Non voglio rimanere qui dentro, questo è poco ma sicuro.
"Tuttavia..." Jenna riprende a parlare come se non fosse successo niente, come se non mi avesse appena servito una pugnalata letale su un piatto d'argento.
Tutti riportano la loro attenzione su di lei, e nella stanza cala di nuovo un silenzio profondo che rischia di uccidermi. Un barlume di speranza, misto a mille dubbi, si fa nuovamente spazio nella mia mente.
Se il capitolo vi è piaciuto e vi ha intrigato, potrete acquistare il libro cartaceo sul sito della casa editrice: www.heraldeditore.it, effettuando l'ordine nella sezione: "Racconti, romanzi e storie vere". Le spese di spedizione sono a carico della Herald. Spero davvero tanto di aver stuzzicato il vostro interesse con questo piccolo pezzo della storia. E, che dire... Alla prossima, stelle x
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