Senza cuore
Siamo in un locale nascosto nel cuore di Beacon Hill, uno dei quartieri più suggestivi di Boston. La facciata esterna è modesta, con una piccola insegna che si illumina delicatamente al crepuscolo. Evan apre la porta e mi lascia passare per prima, poi cammina dietro di me mentre io mi guardo intorno. Nonostante l'agitazione di dover cenare con Evan Royden, questo posto riesce in qualche modo a trasmettermi una sensazione di calma e familiarità. Le pareti sono decorate con fotografie vintage della città e candele che emanano una rilassante luce soffusa.
I tavoli sono disposti in modo intimo, coperti da tovaglie di lino bianco e tulipani azzurri. Per non parlare dell'odore di squisite pietanze che aleggia nell'aria... Spero che Evan non stia sentendo il mio stomaco brontolare.
«Evan!», un uomo dal viso gentile si avvicina a noi con un sorriso sincero. «Che bello vederti».
Il capo dipartimento lo saluta con una pacca sulla spalla ed io sorrido in imbarazzo quando quello che credo sia il gestore di questo posto mi scruta attentamente: «Che bella ragazza. È molto più affascinante di quella che hai portato qui la settimana scorsa».
Ah. Schiudo le labbra e sia Evan che lo sconosciuto mi fissano con un sorrisetto fastidioso.
Credo di avere una faccia così sconvolta da essere divertente perché entrambi si mettono a ridere di me.
«Stavo scherzando», mi porge la mano e rilasso le spalle. «Sono Joe, piacere di conoscerti»
«Althea», sorrido di rimando.
«Dove volete sedervi?»
«I tavoli sul cortile sono liberi?», Evan fa un cenno verso una vetrata che conduce sul retro del locale e Joe annuisce.
«Seguitemi», inizia a camminare ed Evan poggia una mano sulla mia spalla per poi sussurrare. «Arrivo subito», poi sparisce dietro la porta che conduce in cucina.
Io seguo Joe, tesa come una corda di violino.
In cortile non c'è ancora nessuno e mormoro un grazie mentre prendo posto al tavolo più isolato di tutti.
«È andato a salutare mia moglie», spiega. «È la cuoca. Rischia di essere avvelenato se passa di qui senza salutarla»
«Dovrei passare a salutarla anch'io?», scherzo e Joe si lascia andare in una risata.
«Oh, tranquilla. Tu sei giustificata. Nessuno ti farà del male», mi rassicura. «Pensa a ciò che vuoi mangiare. Torno tra poco», si congeda con un ulteriore sorriso e sfoglio il menù fino a quando Evan non torna da me. Si toglie la giacca e prende posto davanti a me, i muscoli del torace cuciti sul maglioncino nero.
Sei bello.
Si accorge che lo sto fissando e mi scruta anche lui con i suoi occhi bui.
Solo Dio sa cosa nascondi dietro quegli occhi, Evan Royden.
«Che hai da guardare?», la domanda mi fa scottare le guance.
«Non stavo guardando te», mento. «Ero immersa in alcuni pensieri»
«Sai pensare, agente Kelley?», si finge sconvolto e alzo gli occhi al cielo.
«Pare di sì. Ogni tanto mi capita di pensare»
«E a cosa pensi?»
«Cose private».
Le sue labbra rosse si arricciano su un lato e lo trovo adorabile: «Abbiamo dei segreti, Darlene?»
«Perché mi chiami Darlene?», rispondo con un'altra domanda e poggio i gomiti sul tavolo per sporgermi verso di lui.
«È il tuo nome»
«Il mio primo nome è Althea»
«E il secondo è Darlene», sottolinea l'ovvio. Mi prende in giro.
«Non ti piace Althea?»
«Mi piacciono entrambi»
«Anche mia madre li usava entrambi», giocherello con il tovagliolo sul tavolo. «Alcuni giorni mi chiamava Althea, altre volte invece Darlene. Quando era arrabbiata soprattutto pronunciava il mio nome per intero», mi sfugge un sorriso amaro che non passa inosservato a Evan. «Diceva che avevano un bellissimo significato entrambi e che quindi mi avrebbe chiamata sempre con tutti e due i miei nomi. Scusa, non so perché te lo sto dicendo».
Nascondo la mia faccia imbarazzata dietro il menù e fingo di leggere i primi piatti fino a quando Evan non allunga il braccio verso di me e ruba il mio menù. Accidenti. Sono costretta a guardarlo.
«Qual è il significato di Althea?», non ha intenzione di togliermi dall'imbarazzo.
«Colei che guarisce», rispondo. «Mentre Darlene è associato a persone che portano gioia e amore. Significa...»
«Tesoro», finisce lui per me. «Amore», continua. «O piccola amata».
Sono a bocca aperta. «Giusto», sussurro, il cuore inizia a battere più veloce. «Come facevi a saperlo?»
Impiega qualche istante prima di rispondere, come se stesse valutando se dirmi la verità o meno: «Quando ho ricevuto la tua richiesta di trasferimento ho cercato anche il tuo nome su Internet e studiato i tuoi profili social. Mentre cercavo informazioni mi è comparso un sito che dava il significato del nome Darlene e ho dato un'occhiata».
Onesto.
«Siete pronti per ordinare?», Joe sembra apparire dal nulla e sussulto.
Evan mi restituisce il menù e scelgo una bistecca con contorno di patate. Evan prende la stessa cosa.
Quando Joe si allontana dal tavolo cala il silenzio.
«È carino qui», non so cosa dire e mi sento in imbarazzo.
«È proprietà dei genitori di Rafael», mi stupisce sentirlo parlare di informazioni private. Di solito non rivela niente della sua vita o di quelle altrui. «Joe è suo padre»
«Davvero? Non lo avrei mai detto»
«Somiglia più a sua madre», ammette. «Lei è in cucina»
«Rafael mi ha detto che siete amici da molto tempo»
«I suoi genitori erano molto amici di mia madre. Conosco Rafael da quando sono nato», mentre parla riempie i nostri bicchieri d'acqua. «Sono stati i miei tutori legali, dopo la morte di mia madre»
«Tutori legali?».
Mi sento emozionata. Forse troppo. Evan si sta aprendo e la me interiore si sente come una ragazzina alla prima cotta.
«Mio padre non era un tipo affidabile», taglia corto. «Avevo dodici anni e loro erano la cosa più vicina a dei parenti»
«Quindi Rafael è come...»
«Un fratello», finisce lui per me.
«È bello», commento.
«Cosa?»
«Il vostro rapporto», aggiungo.
Nel momento in cui Joe ci porta i piatti il mio stomaco brontola in modo rumoroso. Evan lo sente e sorride divertito.
«Qualcuno qui ha fame», commenta.
«Mi hai trovata sul pianerottolo a mangiare ciambelle», gli ricordo e il suo sorriso si allarga ancora di più. Qualcosa di fastidioso svolazza nella mia pancia.
Addento una patata e chiudo gli occhi mentre la mastico con gusto. Il mio cellulare emette un bip proprio in questo istante e riconosco la notifica associata ai messaggi di Matthew.
Evan legge nella mia espressione i miei pensieri: «Vediamo».
Tiro fuori lo smartphone dalla tasca della felpa e le mie guance si riscaldano di imbarazzo nel leggere il messaggio:
Ho ancora il tuo sapore sulle labbra. Quando ci vediamo?
Evan inarca un sopracciglio e aspetta che gli dica qualcosa. Gli mostro lo schermo e la sua faccia diventa ancora più severa mentre legge in fretta.
«Di solito non mi scrive», sussurro. «Sa che potrei essere con te. Perché mi ha mandato un messaggio? Ha trovato l'orecchino?», mi muovo nervosamente sulla sedia mentre il capo dipartimento scuote la testa.
«No», risponde. «Vuole che io scopra la vostra relazione»
«Vuole farci litigare?»
«Vuole che io ti lasci in modo da averti per sé»
«Dovrei lasciarti?»
«Non stiamo ancora insieme e vuoi già mollarmi, agente Kelley?», ghigna malefico davanti alla mia espressione sconvolta.
So di avere il viso rosso come un pomodoro.
«Dicevo per... Insomma, pensi sia meglio chiudere la nostra relazione per far proseguire la storia con Matthew?»
«No», tuona.
«Devo rispondergli?»
«No», ripete. «Gli dirai dopo che eri con me»
«Va bene»
«Domani andremo a teatro», si concede una pausa per mangiare un pezzo di carne. «Ci sarà anche Olivia»
«D'accordo»
«Ma adesso non parliamone», borbotta. «Finiamo di mangiare e andiamo via da qui»
«Non ve ne andrete senza aver mangiato il mio nuovo dolce», una bellissima donna esce in cortile con in mano due piatti e un grembiule colorato legato alla vita. I capelli dorati sono raccolti in uno chignon ordinato e mi basta osservare i lineamenti del suo volto per capire che si tratta della madre di Rafael.
Poggia i piattini contenenti due pezzi di dessert al cioccolato e sorride ancora: «Sono Charlotte», mi stringe la mano.
«Althea»
«Sei incantevole, Althea», e mentre lo dice si gira a strizzare l'occhio a Evan senza nascondersi troppo. Il capo dipartimento finge di non vederla e si massaggia le tempie con due dita.
«Oh, grazie»
«Provate questo dessert e datemi un vostro parere. Non so ancora se voglio inserirlo nel menù», poi parla con Evan, il tono più serio. «Hai sentito Rafael?».
Evan drizza le spalle: «No. È successo qualcosa?», cerca il cellulare in tasca e Charlotte lo blocca subito.
«Oh, non preoccuparti. Tranquillo. Oggi non l'ho sentito. Tutto qui. Lo chiamo dopo».
Ma Evan è già preoccupato e si allontana dal tavolo con il cellulare pressato nell'orecchio.
Charlotte lo segue con lo sguardo, poi sospira di sollievo nel vedere Evan parlare.
«Assaggia», mi incita ad assaggiare il dolce e faccio come mi dice. Lei torna a fissare Evan e sembra quasi volergli leggere il labiale. È agitata. Perché sono entrambi così in ansia? Comincio a spaventarmi anch'io.
«Va tutto bene?», azzardo.
«Spero di sì», si concede un respiro profondo mentre Evan torna da noi. Sorride a Charlotte e lei si rilassa del tutto.
«Sta bene. Ha promesso di chiamarti tra quindici minuti al massimo»
«E perché diavolo risponde solo alle tue chiamate? Io l'ho messo al mondo»
«Perché io lo chiamo raramente», confessa Evan. «Quindi crede che io sia in fin di vita o qualcosa del genere quando vede una mia chiamata»
«Quindi dovrei smettere di chiamarlo», borbotta Charlotte, poi torna a parlare con me: «Allora? Ti piace?»
«È ottimo», affermo con convinzione. Evan recupera una forchettina e ruba un pezzo del mio dessert, poi annuisce: «Concordo. Mettilo nel menù».
Schiocca un bacio sulla guancia di Charlotte e mi porge la mano per aiutarmi ad alzarmi dalla sedia: «Andiamo. Ti avevo promesso un conflitto a fuoco»
«Cosa?», Charlotte boccheggia e ci scruta mentre ci allontaniamo. «Tu e Rafael mi farete morire!», urla alle nostre spalle.
Evan le manda un altro bacio in risposta. Si è dimenticato di lasciare andare la mia mano.
Il capo dipartimento mi porta in mezzo al nulla. Nel buio. Un luogo ideale per un omicidio. Quando i fari della sua moto si spengono e rimaniamo immersi in mezzo ai rumori della natura e al fruscio delle foglie degli alberi la mia pelle rabbrividisce. C'è un cancello davanti a noi e su una collina non molto distante intravedo un capannone di legno. L'unica fonte di luce è un faro che si illumina quando rileva dei movimenti davanti al cancello che Evan sta aprendo con delle chiavi.
«Posso dire di avere paura?»
«No», Evan spinge con forza le grate di ferro e mi lascia passare per prima.
«Che cosa stiamo facendo?»
«Regola numero uno: mantenere la calma»
«Sono calma», sibilo.
«Non lo sei», preme una mano sulla mia schiena e mi guida, avanzando tra i ramoscelli e gli alberi. Altre luci con i sensori di movimento si illuminano al nostro passaggio.
«Numero due: trova un riparo. Se ti ritrovi nel mezzo di un conflitto a fuoco devi immediatamente trovare un luogo sicuro per proteggerti dai colpi. Trovalo», lancia un'occhiata al suo orologio per... Mi sta cronometrando? Ma cosa?
Mi guardo intorno, nel panico. «Siamo in mezzo al nulla», muovo alcuni passi avanti, poi indietro.
Sobbalzo quando qualcosa mi colpisce il petto. Evan mi sta puntando una pistola contro e abbasso gli occhi sulla mia felpa per vedere una macchia verde troneggiare sul mio cuore.
«Colpita», annuncia. «Sei lenta. Trova un riparo», mi incita ancora. Torna a cronometrarmi ed io inizio a correre. Sto per nascondermi dietro ad un cespuglio quando qualcosa mi colpisce alla schiena. Un'altra macchia di colore.
«È imbarazzante, agente Kelley», si prende gioco di me e adesso inizio ad irritarmi. «Trova un riparo».
Torno a muovermi e mi prendo altri due colpi prima di riuscire a trovare un riparo che a Evan vada bene: un albero.
Come ho fatto a non pensarci prima?
«Numero tre: mantieni la tua arma pronta»
«Non ho un'arma!».
Evan si avvicina con passo lento e si abbassa per prendere una cassetta di legno riposta ai piedi del tronco. Non l'avevo vista. E come faceva a sapere che mi sarei fermata proprio qui?
Tira fuori una pistola e me la porge: «Ora sei armata», mormora. «Tieni sempre l'arma puntata nella direzione del pericolo, con il dito fuori dal grilletto fino a quando non sei pronta a sparare».
Faccio come mi dice e lui continua: «Spara solo se necessario. Sparare deve essere la tua ultima risorsa»
«Sì, signore», la mia risposta spontanea lo fa sorridere.
«Evan», mi dice.
«Evan», ripeto io. Ancora stupide farfalle.
Muove due passi indietro per aumentare la distanza tra di noi. Non mi ero accorta fosse così vicino.
«Continua a studiare l'ambiente che ti circonda per individuare possibili minacce e altre vie di fuga»
«Va bene», i miei occhi vagano dagli alberi al capannone di legno. Potrei provare a raggiungerlo.
«Mantieni la precisione», continua. «Se devi sparare, prenditi il tempo necessario per mirare con precisione»
«D'accordo»
«Adesso iniziamo», annuncia. «Io sono il nemico. Camminerò nella direzione opposta alla tua e ti darò il tempo di nasconderti».
Inizio a correre prima che possa dire altro. Durante la corsa noto muri bassi e rovine di edifici. I tronchi d'albero e la vegetazione densa mi offrono la possibilità di nascondermi. Quando non riesco più a vedere Evan mi sistemo dietro un muretto e provo a riprendere fiato.
Impugno bene la pistola tra le mani e provo ad individuare Evan. Missione impossibile.
Sono senza speranze.
La cosa che non mi aspetto è che Evan non ha intenzione di nascondersi. Una palla di colore mi passa accanto alla testa e mi accuccio sull'erba per nascondermi. Mi sta attaccando. Ma da dove?
Come ha fatto a trovarmi così in fretta?
Provo a scovare il suo nascondiglio, ma ancora una volta mi spara addosso. Mi colpisce la spalla sinistra. Merda.
Provo a puntarlo con la pistola, ma qualcosa di metallico si poggia sulla mia nuca: «È stato un disastro».
Il commento di Evan mi fa sbuffare mentre mi rialzo e cerco di pulire i jeans dall'erbetta.
«Sono ancora piena di lividi. Non riesco ad essere veloce come vorrei»
«Non è una giustificazione, Darlene»
«Va bene», borbotto. «Riproviamo».
Evan mi spara addosso un'infinità di volte. Dopo mezz'ora io sono piena di macchie colorate e sembro un giardino fiorito mentre lui ha i vestiti puliti e nemmeno un po' sgualciti. È davvero imbarazzante.
Adesso sono dentro il capannone, nascosta dietro una colonna di legno. Evan è appena entrato e si sta guardando intorno per individuarmi nella penombra.
Sto trattenendo il fiato.
«So che sei qui», mi dice. «Ti sento respirare».
Lo odio.
Mi sporgo un po' per vedere la sua posizione ed Evan mi spara subito contro. Accidenti. È un fottuto segugio.
Non vorrei essere un criminale inseguito da lui.
Torno dietro alla colonna e questa volta scelgo di cambiare strategia: attacco. Al diavolo il mirare e sparare come ultima risorsa.
Sparo un po' alla ceca ed Evan si rifugia dietro una colonna. Sparo ancora e lui risponde allo stesso modo.
Corro verso un'altra colonna per avvicinarmi e lo sento ridere.
Il mio braccio sinistro si colora di giallo.
«Eri un cecchino nella tua vita precedente?»
«In questa!», urla in risposta. «Sono specializzato in tiro di precisione e tecniche di cecchinaggio. Quando ci libereremo di Matthew ti iscriverò ad un corso di formazione specifico»
«Hai già dei piani per il mio futuro? Pensavo non volessi più vedermi dopo tutti i miei errori!», sparo nella sua direzione. Non lo prendo. Maledetto.
«Non commetterne altri», la mia gamba destra viene colpita.
È ovvio che sarei già morta cento volte.
Premo la schiena contro la colonna e provo a ragionare. Devo colpirlo. Non può assolutamente andare via da qui senza nemmeno un puntino colorato addosso.
Tremo quando lo vedo avanzare verso di me. Si nasconde dietro un barile di alluminio.
Sta venendo a prendermi. Ancora.
Conto fino a tre e gli sparo mentre corre veloce verso di me. Lo colpisco alla spalla e mi lascio sfuggire un urlo euforico mentre lui mi atterra e mi priva dell'arma.
Mi ritrovo con la faccia a terra e le mani dietro la schiena.
«Okay, mi hai presa, ma ti ho sparato alla spalla», ridacchio, la guancia pressata contro il pavimento.
«Al tuo posto riderei di meno, agente Kelley. Sembri un albero di Natale».
Mi aiuta a rimettermi in piedi e non posso fare a meno di sorridere ancora mentre mi porge la pistola.
«Ti dona il giallo», lo prendo in giro, facendo un cenno verso la macchia di colore che sono riuscita a regalargli. Mi sento fiera.
Tira fuori dalla tasca il cellulare e schiudo le labbra quando mi fa una foto e me la mostra. Sembro davvero un albero di Natale.
Sono piena di macchie colorate. Ovunque. La fronte, i capelli, la felpa, i jeans, perfino le scarpe.
«Ti avrebbero ridotto come uno scolapasta», il suo tono è serio. «Dobbiamo allenarci di più. Chi era il tuo agente istruttore?»
«Era un tipo tranquillo», difendo subito l'agente che mi ha seguita durante il mio periodo da recluta. «Prossimo alla pensione», aggiungo.
«Scriverò un'e-mail al comandante Barrett»
«Per lamentarti di me?»
«Per lamentarmi del tuo agente istruttore», ribatte. «E di lui. Non si affida una giovane recluta ad un vecchietto prossimo al pensionamento»
«Anche lui è un vecchietto prossimo al pensionamento», borbotto e mi pento subito di quello che ho detto. È un mio superiore.
Evan sorride e scuote la testa: «Per oggi abbiamo finito», mi dice. «Ma torneremo qui altre volte»
«È stato umiliante», ammetto. «Ma anche divertente. Sarò felice di tornare», rigiro la pistola tra le dita e mi avvicino di più a Evan.
«La prossima volta non sarò così buono», mi avverte.
«Buono? Mi hai riempita di colore senza nessuna pietà!»
«Sono stato buono», conferma. «Te lo assicuro»
«Non vorrei mai essere la tua recluta»
«Non vorrei esserlo nemmeno io», commenta, muovendo un passo verso di me. Siamo vicini. Potrei approfittarne per...
«Non lo farai», afferra la mano che stringe la pistola e l'angolo delle sue labbra si arriccia in un modo irresistibile.
«Non stavo pensando di spararti», mento. Ignoro la sua mano calda stretta sulla mia.
«Non sai mentirmi, Darlene»
«Non voglio mentirti, Evan».
Il suo viso si avvicina al mio e deglutisco mentre una strana sensazione si fa largo nella mia pancia. Mi basterebbe spostarmi in avanti di qualche millimetro per baciarlo.
Fallo tu.
Avanti. Baciami.
Invece mi spara. Nel petto. E ride della mia espressione sconvolta.
«Mai abbassare la guardia, agente Kelley»
«Sei... Sei...»
«Sono?», continua a starmi vicino. Non sembra intenzionato a lasciarmi respirare.
«Crudele», ringhio. «E...», non trovo le parole.
«E?»
«Malefico», aggiungo. «Insensibile e...»
«Continua pure», mi incita.
«Senza cuore», concludo e la sua risata mi fa tremare le gambe.
«Hai finito?»
«No», ammetto, il cuore a mille. «Penso anche delle belle cose, ma le terrò per me»
«Penso anch'io delle cose su di te», muove un passo indietro e poi inizia a camminare, dandomi le spalle.
Impiego qualche istante di troppo prima di seguirlo: «Di me? Davvero?»
«Mmh-Mmh», annuisce.
«Potrei sentirne una?»
«No»
«Una soltanto», ho l'affanno. Perché cammina così veloce?
«No», ripete.
«Facciamo così: io dico una bella cosa che penso di te e tu ricambi allo stesso modo»
«No».
Rispondo con un sonoro sbuffo. Incrocio le braccia al petto e continuo a seguirlo verso il cancello. Le luci si illuminano ad ogni nostro movimento.
«Penso che sei un ottimo capo dipartimento», parlo e si blocca. «E un ottimo insegnante. Non sarei riuscita a difendermi da Dann se non mi fossi allenata insieme a te». Fisso la punta dei miei piedi perché non ho il coraggio di guardarlo. «E credo che tu sia una bella persona. Non staresti qui nel tuo tempo libero a simulare conflitti a fuoco per aiutarmi ad essere un'agente migliore, altrimenti».
Non risponde. Si limita ad ascoltare le mie confessioni.
«Mi trasmetti sicurezza», mormoro. «E fiducia. Se sei nei paraggi penso che non possa succedermi niente di brutto»
«Althea», mi blocca.
«Volevo solo dirtelo», aggiungo. «Ho finito».
Torno a camminare verso la moto, spingo il cancello e sussulto quando afferra il mio polso per fermare la mia camminata.
«È meglio che io non ti dica quello che penso di te», sussurra. «Per il bene di entrambi».
Il mio naso quasi sfiora il suo. Sto tremando.
«Sono cose brutte?», bisbiglio e lui accenna un sorriso amaro.
«No», ammette. «Ma vorrei che lo fossero».
«Posso fare una cosa avventata di cui sicuramente mi pentirò?», lo dico senza riflettere ed Evan sorride.
«Non pensarci nemmeno, agente Kelley», scuote la testa.
Forse mi legge il pensiero. Forse ha capito che vorrei tanto baciarlo ora.
«Perché no?»
«Perché no», afferma.
Allora muovo un paio di passi indietro e mi allontano da lui e dalle sue labbra rosse. Evan resta gelato nel punto in cui l'ho lasciato, poi mi raggiunge. Mi porge il casco e mi aiuta a sistemarlo sulla testa. Nessuno dei due osa dire una parola fino a quando non si ferma davanti al giardino di casa mia.
Ci liberiamo dei caschi entrambi e sorrido, lo stomaco sottosopra per la proposta un po' indecente che ho osato fare prima. A volte mi odio. Dovrei tapparmi la bocca con un nastro isolante.
«Allora... Buonanotte», lo saluto.
«Buonanotte, Darlene», sta per rimettersi il casco, ma qualcosa lo fa paralizzare per due secondi esatti. «Ci ho ripensato», scende dalla moto e corrugo la fronte quando mi prende la mano. C'è qualcosa che non va.
Camminiamo fino alla porta e se ne sta dietro di me, il corpo vicinissimo alla mia schiena mentre armeggio con le chiavi per aprire.
Si abbassa per lasciarmi un bacio sul collo: «C'è Matthew», sussurra e rabbrividisco nel percepire il suo fiato sulla pelle.
Ancora un altro bacio dietro l'orecchio e mi cadono le chiavi dalle mani. È lui a raccoglierle, dandomi giusto il tempo per abbassarmi e rimanere bloccata a mezz'aria perché quando si rialza si fionda sulle mie labbra, cogliendomi di sorpresa. Con una mano circonda la mia vita per aiutarmi a rimanere stabile sui miei piedi mentre con l'altra spinge la porta per farci entrare.
Non sto capendo niente. So solo che il braccio di Evan mi sorregge e che solo per questa motivazione io non sono crollata a terra.
Evan mi bacia in modo intenso, spietato. Mi sta annientando.
Se è una recita per Matthew, beh, complimenti: sta andando più che bene. Richiude la porta alle nostre spalle e mi aspetto un cambio di atteggiamento da parte sua; invece, mi spinge dolcemente contro la porta e si prende la mia bocca come un assetato. Ricambio allo stesso modo: come se non vedessi una goccia d'acqua da secoli. Mi manca il fiato.
Matthew non può più vederci: allora perché mi bacia ancora?
Le mie dita si intrecciano dietro al suo collo e lui mi stringe saldamente tra le braccia, come se volesse divorarmi e al tempo stesso proteggermi da ogni male. Ha questa dannata dote di farmi sentire al sicuro in qualsiasi situazione. Pure ora, mentre mi smaterializza con un lungo bacio, l'idea di Matthew ad aspettarmi davanti alla mia abitazione non mi spaventa.
Riesco a pensare solo alle mani di Evan, alle sue labbra, ai suoi capelli morbidi che mi solleticano la fronte.
Strozzo un urlo quando mi solleva e lascia intrecciare le mie gambe attorno alla sua vita. Non smette di baciarmi.
Ed il mio cervello si ritrova ad implorare: non smettere.
Passiamo davanti alla finestra e allungo il braccio per tirare le tende. Evan sorride sulla mia bocca e un potente e piacevole formicolio mi invade lo stomaco.
Interrompe il nostro bacio solo per sussurrare parole che poco fa ho pronunciato io: «Posso fare una cosa avventata di cui sicuramente mi pentirò?».
Sì.
Buon pomeriggio!
Come state?
Eccomi tornata con un capitolo non lungo, ma moooolto di più 😂😂
Di questo passo con il prossimo capitolo arriviamo direttamente alla fine della storia 😅 (scherzo, Evan e Althea ci terranno compagnia ancora per un po').
Alloraaaa 🤩🤩🤩 io fremo dalla voglia di sapere cosa pensate di questo capitolo 🫠🫠🫠
Io sotto un treno, non so voi.
Come andrà tra Evan e Althea?
Che cosa faceva Matthew davanti casa sua?
E non dimenticate che andremo anche a teatro 😈😈
Non siete pronti per i prossimi capitoli, vi avviso.
Aspetto i vostri commenti e intanto vado a rispondere a quelli del capitolo precedente.
Un bacio ❤️❤️❤️
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