Mai soli

Il mio cuore batte ad una velocità disumana e sto cercando di aggrapparmi con tutta me stessa al briciolo di lucidità che mi rimane. Interiormente sto avendo un attacco di panico.
Forse morirò.
Forse ho visto Evan per l'ultima volta e ci siamo salutati per sempre senza saperlo.
«Matthew», sussurro. «Pe-perché mi punti una pistola addosso?».
Le sue labbra si inarcano in un sorrisetto malvagio: «Sei proprio una brava attrice, agente Kelley»

«Agente?», sto morendo. Le mie mani tremano talmente tanto che le chiavi cadono a terra.
«Althea Darlene Kelley», ripete il mio nome per intero.
Ho paura.
«Che succede? Stai delirando», muovo un passo verso di lui e mi blocco quando scuote la mano per ricordarmi che ha con sé un'arma.
Okay. Ricevuto. Devo rimanere ferma.

«Sei così bella, Althea», si alza e deglutisco mentre avanza con passo lento verso di me. Mi sovrasta con la sua altezza e gli occhi mi si annebbiano quando solleva il mio mento con un dito per costringermi a guardarlo in faccia.
«Spero di non farti troppo male. Ti chiedo scusa», poi percepisco un colpo secco dietro la testa, seguito da un dolore improvviso e acuto.
Ed è tutto nero.
Tutto buio.
Spaventoso.

Mi risveglio con un mal di testa lancinante. L'aria è umida e fredda e c'è puzza di muffa. Ho la nausea.
Apro gli occhi lentamente e cerco di capire dove mi trovo. Ciò che mi circonda è una stanza scura e angusta, le pareti di cemento grezzo e una piccola finestra con delle sbarre dalla quale filtra solo un briciolo di luce.
Cerco di muovermi, ma le mie mani sono legate dietro la schiena con una corda robusta.
Panico.
Panico e confusione si mescolano nella mia mente e non mi consentono di ragionare lucidamente.
Dove sono? Mi troveranno? Morirò? Dov'è Matthew? Cosa vuole da me?

Una delle mie domande ottiene subito risposta perché una porta di ferro si apre con un cigolio e Matthew entra nella stanza, la pistola ancora in mano.
«Ben svegliata», mi sorride allegro. «Sei stata nel mondo dei sogni per un po'. Stai bene?», i suoi occhi guizzano veloci sulla mia testa e penso di essere davanti ad uno psicopatico.
Un folle.
Mi ha letteralmente sequestrata e mi chiede se sto bene?

«Dove siamo?», è tutto ciò che il mio cervello riesce ad elaborare. Una domanda stupida.
«Sei al sicuro. Nessuno verrà a cercarti qui».
Ora sì che mi sento tranquilla. Bene.
Una lacrima silenziosa mi riga la guancia e Matthew aggrotta la fronte: «Piangi?»
«No», ringhio.
«Se può consolarti, Darlene, il tuo fidanzato ha già sguinzagliato un esercito di agenti per cercarti. Stanno mettendo a soqquadro la città, sai?».

Recupera una sedia e prende posto proprio davanti a me, a poca distanza dal mio corpo. «Gli ho lasciato un piccolo indizio per fargli sapere che sei con me»
«Di cosa diavolo parli? Sei pazzo»
Poggia la schiena allo schienale, assumendo una posa del tutto rilassata. «Sai cosa ti ha fregata, agente Kelley?»
«Non sono un'agente»
«Il tuo orecchino», ignora palesemente i miei stupidi tentativi di negare l'evidenza. «Non riuscivo a capire, sai? Tanti miei amici sono stati arrestati in così poco tempo... Poi mi è venuto il sospetto che qualcuno stesse ascoltando le mie conversazioni e ho messo sotto sopra ogni mia proprietà. E poi eccolo lì. Il tuo splendido orecchino. L'ho lasciato sul bancone della cucina in modo da farlo trovare al signor Evan Royden. Trent'anni. Capo dipartimento contro la criminalità organizzata. Orfano. Apparentemente non ha nessuna debolezza a parte... Te»
«Non so di cosa tu stia parlando. Davvero, Matthew, mi stai terrorizzando».

Lui alza gli occhi al cielo, scocciato di sentire ulteriori bugie.
«Hai fame? Ti preparo uno spuntino mentre attraversi la tua fase della negazione? So tutto di te, agente Kelley. Non provare a prendermi in giro. Mi hai già ferito abbastanza, sai? Mi hai spezzato il cuore», e ghigna diabolico mentre parla.
Non gli ho spezzato un bel niente. Questo tizio forse non ce l'ha nemmeno un cuore.
Il ghigno di Matthew scava un solco profondo nella mia mente, come una lama che raschia sulla pelle e continua a graffiare anche quando non c'è più nulla da prendere. Cerco disperatamente di mantenere il controllo, di restare concentrata, ma la paura ha una morsa feroce sul mio cuore.

«Non capisco di cosa stai parlando», ripeto, la voce incrinata ma determinata. So che devo mantenere la calma, continuare a mentire, continuare a giocare il mio ruolo fino a che non trovo un modo per uscire da questo inferno.
Matthew sorride ancora, mi scruta come se stesse decidendo quale parte di me sezionare per prima, la sua testa inclinata da un lato, gli occhi scintillanti di una malvagità che ora non riesco più a ignorare. Le parole di Evan sul suo conto cominciano a diventare sempre più reali.
È un mostro.

«Althea, Althea...», sospira, come se stesse parlando ad una bambina che proprio non vuole capire. «Stai cercando di guadagnare tempo. Ma sai cosa? Non mi importa più delle tue bugie. Voglio solo una cosa da te adesso».
Il suo sguardo si fa più scuro, più minaccioso, e il mio cuore accelera di nuovo, la paura che si espande dentro di me come un veleno. «Cosa?» chiedo, con un filo di voce.
«Collaborazione», risponde lui, semplice, come se fosse la richiesta più ovvia del mondo. «Vedi, ho bisogno che tu mi dica esattamente cosa sa la polizia su di me. Voglio sapere quali mosse stanno preparando, quali agenti hanno coinvolto e dove pensano di colpire. E tu, mia cara Althea, sei la chiave per tutto questo».

Lo guardo incredula, cercando di trattenere le risposte che mi affollano la mente. Non posso dirgli niente. Non devo dirgli niente. Ma quanto tempo posso resistere? Quanto posso sopportare prima che decida di fare sul serio con quella pistola che ancora tiene nella mano destra?
«Matthew», dico, cercando di mantenere la voce ferma. «Non so nulla di quello che dici. Se ci fosse un'indagine, non mi avrebbero mai informata. Non ho questo tipo di accesso... Io sono solo un'infiltrata di basso livello.»

Lui scuote la testa, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi a me. Sento il suo respiro vicino alla mia guancia mentre si china leggermente. «Eppure», sussurra, «eri abbastanza importante da farti coinvolgere nelle mie operazioni. Abbastanza vicina da guadagnarti la mia fiducia».

Una risata senza gioia scivola fuori dalle sue labbra. «Ti piace giocare con il fuoco, Althea?».
Sento una fitta di rabbia, una sensazione che si mescola alla paura. Non posso permettermi di crollare. Non posso permettergli di vedere quanto mi sta distruggendo.
Evan mi ha insegnato che sono più forte di quel che credo. Decido di ribaltare il gioco, per quanto disperato possa sembrare. «Non credi di essere un po' presuntuoso, Matthew? Pensi davvero che tutta la polizia si stia concentrando su di te? Sei solo un piccolo pezzo in un puzzle molto più grande di quello che immagini. Sei un nulla nel loro radar».

La provocazione funziona. Vedo i suoi occhi scintillare di rabbia, la sua mascella serrarsi. Ma poi, sorprendentemente, ride. Una risata che mi fa venire i brividi. Ho già detto che è pazzo?
«È così che vuoi giocarla?» mi chiede, divertito. «Pensi davvero che non sappia dove mi trovo nella scala di priorità della polizia? Piccola Darlene, mi sottovaluti».
Si sposta indietro, guardandomi con un misto di compassione e derisione. «Non ti preoccupare. Non mi interessa davvero cosa sa o non sa la polizia. Quello che mi interessa sei tu, Althea. Tu sei il mio lasciapassare. Finché ti ho, posso controllare tutto il resto»
«Lasciapassare per cosa?» chiedo, cercando di non far tremare la voce.

«Per il carico», dice semplicemente. «Un carico molto prezioso che deve arrivare a destinazione senza intoppi. E tu sarai la mia garanzia. Con te qui, nessuno, nemmeno il tuo caro Evan, si metterà in mezzo».
«Non farlo, Matthew», imploro, lasciando cadere ogni pretesa. «Non ti servirà a niente. Evan non è stupido. Non si lascerà ricattare. E tu finirai male»
«Credi che non si lascerà ricattare?», ghigna, vagando a vuoto nella stanza. «Io dico di sì. E ne sono piuttosto certo, tesoro. Sei la sua spina nel fianco. Farebbe di tutto pur di proteggerti, non credi?»
«No», dico. «Ti sbagli. Non sono così importante. Ci conosciamo appena. Io sono solo... Sono solo una pedina».

Lui mi guarda per un momento, silenzioso, e poi scuote la testa con un sorriso amaro. «Vedi, Althea, tu sei più che una pedina. Ti sottovaluti. Sei l'ostaggio perfetto». Sta per aggiungere qualcosa, ma due colpi sul metallo arrugginito della porta lo interrompono.
«Entrate pure», dice, il tono allegro come quello di un bambino che ha appena ricevuto un nuovo gioco.
La porta si apre e due uomini robusti trascinano qualcuno all'interno della stanza. Gettano il corpo di un uomo svenuto sul pavimento e si limitano a fare un cenno al loro capo che si abbassa per guardare più da vicino il volto del suo nuovo ospite.

Il viso è ricoperto di lividi, gli occhi semichiusi, i tatuaggi... Il mio cuore ha un sussulto: è Rafael. No. Non può essere.
«Benvenuto», gli dice. «Spero che i miei amici ti abbiano trattato bene».
Rafael non risponde. Io non respiro. Temo di poter morire su questa sedia da un momento all'altro.
Matthew si rialza, gli occhi brillanti di una malizia pericolosa. Si volta verso di me, come se volesse condividere il suo trionfo personale. Il sangue mi pulsa nelle tempie mentre fisso il corpo di Rafael, immobile sul pavimento. La sua camicia è strappata, e i segni delle percosse sono evidenti anche sulle braccia. Nonostante la tensione, non posso fare a meno di sentire un brivido di speranza: Rafael è vivo. Anche se è sotto copertura come me, lui è qui, e forse c'è ancora una possibilità di far funzionare tutto.

Matthew si china leggermente su Rafael e gli schiocca due dita davanti al viso, cercando di farlo tornare cosciente. «Svegliati, amico», dice con tono quasi paterno, come se stesse aspettando che si svegliasse da una siesta e non da un pestaggio.
Rafael emette un gemito sommesso, aprendo lentamente gli occhi. Il suo sguardo vaga per la stanza prima di incontrare i miei occhi. In questo preciso momento, so che mi ha riconosciuta, anche se mantiene una faccia impassibile.

«Ah, eccoti qua», continua Matthew, visibilmente divertito. «Immagino che tu sappia già perché sei qui. I tuoi amici hanno provato a mettermi i bastoni tra le ruote. E da quel che ho capito tu sei uno degli Harbor più interessanti. Pensi che riusciranno a farmi la guerra anche senza di te? Posso portare qui tutti gli Harbor che vuoi».
Il volto di Rafael si contrae in un sorriso sarcastico. «Non so di cosa tu stia parlando», riesce a dire, la voce roca e spezzata. «Sono solo un... trasportatore». Matthew ride, un suono freddo e privo di umanità.

«Un trasportatore. Certo, certo», si raddrizza e si allontana di qualche passo, lasciando che il silenzio riempia la stanza per un momento. Poi si volta di nuovo verso di me, e i suoi occhi sembrano penetrarmi, come se volesse scoprire se nascondo qualcosa. «Tu cosa ne pensi, Darlene?», mi chiede, con un tono che suggerisce che non è davvero interessato alla mia opinione, ma piuttosto sta cercando di mettermi alla prova. «Pensi che il nostro amico qui ci stia dicendo la verità?».

Sento il sudore freddo scivolare lungo la schiena, ma mantengo la mia espressione neutra.
«I-io... Credo di sí».
Matthew mi fissa per un attimo, valutando le mie parole. Poi, senza preavviso, sferra un calcio violento al fianco di Rafael, che si contorce dal dolore ma riesce a non emettere alcun suono. Matthew sembra compiaciuto dalla resistenza di Rafael, come se fosse un gioco per lui vedere quanto possa sopportare.
«Vedi, Althea», dice, rivolgendosi di nuovo a me. «Il problema dei bugiardi è che alla fine crollano. Tutti crollano. E io ho tutto il tempo del mondo per farlo crollare».
E poi un calcio. Ancora un altro. E un altro ancora.

Ed io mi ritrovo ad urlare per fermarlo: «Lascialo stare!», strillo, cercando di apparire il meno coinvolta possibile.
Matthew rimane bloccato con un piede a mezz'aria, si allarga il colletto della camicia con due dita e muove un passo indietro.
Mi ha ascoltata.
«Prenditi una pausa di riflessione», dice a Rafael. «Mi auguro di trovarti più collaborativo tra poco».
E finalmente esce dalla stanza, richiudendo a chiave la porta dietro di sé.

Il rumore della serratura che scatta dietro Matthew risuona nella stanza come un colpo di martello. Per un istante, il silenzio è assordante, spezzato solo dal mio respiro affannoso e dai gemiti soffocati di Rafael. Ho ancora la testa che mi pulsa, il dolore che si irradia dal colpo che ho subito dietro la nuca, ma cerco di ignorarlo mentre cerco di riprendere il controllo. Devo restare lucida, devo trovare un modo per uscire da questa situazione.

«Ehi», sussurro, la voce che mi trema nonostante i miei sforzi di mantenerla salda. Lo vedo aprire gli occhi, ancora annebbiati dal dolore, e il suo sguardo si fissa su di me. Ci scambiamo un'occhiata lunga, silenziosa, piena di significato. Siamo in trappola, entrambi, e la consapevolezza che dobbiamo fare affidamento l'uno sull'altra è pesante come una catena.
«St-stai bene?», mormora, il respiro spezzato dal dolore.
«Sì», mento, la bocca bagnata dalle lacrime.
«Non hai una bella cera», sussurra, un sorriso stanco che non raggiunge i suoi occhi.
Sentire la sua voce, anche se così debole, mi conforta.

Non solo sola.
Non siamo soli.
Evan è lì fuori. Ci troverà.

Rafael emette un gemito basso, doloroso. La sua resistenza è ammirevole, ma vedo quanto gli sta costando. Vorrei potergli parlare, rassicurarlo, ma so che ogni parola, in questo momento, potrebbe essere un passo falso. Mi muovo leggermente sulla sedia, cercando di alleviare la pressione sui polsi legati. Il dolore è costante, una presenza che mi riporta alla realtà, che mi ricorda che devo restare concentrata. Non posso permettermi di crollare.

Chiudo gli occhi un attimo, cercando di ricordare gli addestramenti, le tecniche per mantenere la lucidità anche nelle situazioni più disperate. Ma la paura continua a insinuarsi, come un veleno lento che avvelena i pensieri. Rafael geme leggermente, e il suono mi riporta alla realtà. Ogni respiro che esce dalle sue labbra sembra essere una conquista.
«Non siamo...», respira, geme. «Mai soli».

Dice solo questo e non so se sia un suo modo di rassicurarmi o una frase in codice per farmi capire che qualcuno ci sta spiando.
Piombiamo nuovamente nel silenzio che è interrotto dal rumore delle gocce d'acqua che cadono dal soffitto. Il suono è quasi ipnotico, scandisce i secondi che sembrano trasformarsi in eternità. Ogni goccia che colpisce il pavimento sembra rimbombare nelle mie orecchie, un ticchettio che segna il passare inesorabile del tempo. Mi aggrappo a quel suono per non perdere la presa sulla realtà.

Ogni secondo sembra pesare come un'ora. Mi concentro sulla mia respirazione, cercando di mantenerla regolare, ignorando il dolore che pulsa nella mia testa e nelle mie mani legate. Rafael chiude gli occhi per un momento, e io trattengo il respiro, temendo che possa perdere conoscenza di nuovo. Ma poi li riapre, e il suo sguardo si fissa sul mio, intenso e risoluto.

Il suono della serratura che si gira mi fa sobbalzare. Matthew ritorna nella stanza, ma questa volta non è solo. Due dei suoi scagnozzi lo seguono, uno di loro porta una borsa di cuoio nero che posano sul tavolo accanto alla parete. Matthew non ci degna nemmeno di uno sguardo mentre si avvicina al tavolo, aprendo la borsa con una lentezza esasperante.

Il mio stomaco si attorciglia mentre vedo gli strumenti all'interno: pinze, coltelli, qualcosa che sembra una siringa. Matthew li osserva con cura, quasi con affetto, prima di prendere la sedia e sistemarla davanti a Rafael. Si siede, e per un lungo momento, il silenzio è l'unica cosa che ci circonda.

«Mi dispiace per questo», dice infine, senza nemmeno guardare Rafael. La sua voce è calma, quasi dolce, ma il significato delle sue parole è agghiacciante. «Ma abbiamo un lavoro da finire. Allora: vuoi dirmi dove si nascondono i tuoi amici?».

Rafael non risponde. I suoi occhi sono chiusi, ma posso vedere la tensione nei suoi muscoli, la sua lotta per mantenere il controllo. Matthew si china in avanti, studiandolo come si farebbe con un animale in gabbia, un sorriso soddisfatto che si allarga sul suo volto.
«Vuoi raccontarmi qualcosa dei loro piani? Mh? Vuoi dirmi cosa hanno intenzione di fare per infastidirmi?».
Nessuna risposta.

Anzi, sì.
Rafael gli sputa in faccia ed io tremo perché Matthew diventa una belva mostruosa. Gli assesta un fortissimo pugno in faccia e la testa di Rafael viene sbalzata su un lato. Del sangue mi schizza sul collo e mi ritrovo a tremare forte.
La mente mi urla di reagire, di fare qualcosa, ma il corpo non risponde. Sono letteralmente paralizzata.

«Ti rifaccio la domanda: qual è il piano degli Harbor?».
Rafael sembra tentare il suicidio: «Pisciarti in testa», dice.
E Matthew afferra un bastone di ferro per colpirlo un'altra volta. Adesso Rafael non riesce a contenere un urlo di dolore.
E mentre lui viene torturato io tremo.
Chiudo gli occhi e prego.

Buona seraaaa 🫠🫠🫠
Capitolo leggero, eh? 😂
Qualcosa di simpatico dopo la lunga attesa 💀
Come state?
Spero che vi stiate godendo le vacanze.
Scusate se gli aggiornamenti sono meno frequenti, ma in estate torno a casa della mia famiglia e sembra tipo impossibile ritagliarsi lo spazio per scrivere due righe 😂
C'è sempre qualcosa da fare 🧚‍♂️⛱
Sarà tutto più regolare quando tornerò alla mia routine 🫠
Per il momento mi godo questi ultimi giorni d'estate.
Spero che abbiate passato un bel ferragosto, comunque. Cosa avete fatto di bello?
Fatemi sapere poi cosa ne pensate del capitolo e... Attenzione, forse (ripeto FORSE) il prossimo sarà un pov di Evan.
Non ne sono sicura.
Vi piacerebbe leggerlo?
Ci sentiamo su Instagram (mi trovate sempre come lovewillkillus_) e qui sui commenti.
Un bacio grandissimo e grazie ❤️

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