Il mio posto preferito
«Ho un piano», scrivo cose senza senso su un quadernetto mentre nello schermo del mio computer sono riuniti tutti i miei cari: mia sorella, mia nonna, Mia e Sarah. Mancano le mie nipotine, ma non posso parlare di lavoro con loro presenti.
I bambini hanno il brutto vizio di spifferare tutto in giro.
In realtà non potrei parlare di lavoro nemmeno con i miei parenti, ma ehi, sono un essere umano fragile e confuso.
«Devo scoprire cosa nasconde Evan Royden»
«Dovresti farti gli affari tuoi», suggerisce mia nonna.
Ha ragione. «Sono stata mandata qui per questo», borbotto. «Devo capire da dove proviene la fuga di informazioni e scommetto che il signor Royden è coinvolto in qualcosa»
«Sentiamo il piano», Mia sgranocchia dei popcorn, entusiasta della piega avventurosa che sta prendendo la mia vita a Boston. Sarah lo è un po' meno. Molto meno. Infatti si rifiuta di ascoltarmi, invitandomi a stare tranquilla nel mio archivio a mangiare sandwich con il signor Smith.
«Prima facciamo un piccolo riassunto», lo faccio più per fare chiarezza nella mia testa. Loro in realtà sono già stufe di ascoltare i miei riassunti, dato che è il quinto nel giro di un'ora.
«Penso che il signor Royden sia un informatore. È lui la talpa. Alla festa è andato a dare informazioni a dei malviventi, poi è stato costretto a portarmi con sé perché aveva paura che quei tizi si avvicinassero a me»
«Raccontaci ancora di come ti ha baciato la fronte per poi prenderti per mano», Mia perde il filo del discorso. È troppo romantica. Scuoto la testa e la ignoro, tornando al mio riepilogo: «Poi due brutti uomini ci hanno inseguito, probabilmente suoi nemici criminali. Poi, dato che aveva organizzato di nascosto un'azione di polizia è stato costretto a portarmi al Luna Park contro la sua volontà»
«Tutto questo non ha un senso», Sarah parla dopo minuti di silenzio assoluto. «Forse quelli con cui ha parlato, al contrario, sono informatori e gli hanno dato delle informazioni importanti per incastrare chiunque stesse cercando al Luna Park. E non ha coinvolto nessuno perché non si fida abbastanza della sua squadra. Non lo trovi più logico?».
Seguono istanti in cui assottiglio gli occhi per riflettere, poi io e Mia parliamo all'unisono: «No. È sicuramente una spia».
Sarah abbandona la videochiamata di gruppo, esasperata. Sia io che Mia scoppiamo a ridere mentre mia sorella scuote la testa: «Parlaci di questo maledetto piano»
«Sì, uhm, ecco: devo seguirlo»
«E poi?»
«Fine».
Mia nonna camuffa una risata con un finto colpo di tosse.
«Forse dovrei iscrivermi a un corso intensivo di spionaggio e imparare cose tipo camminare senza fare rumore, sparire dietro le porte senza essere notata... E forse dovrei stare più attenta durante le lezioni di difesa a mani nude, potrebbe essermi utile, giusto nel caso in cui venissi scoperta e il signor Royden cercasse di sequestrarmi e rinchiudermi in una cantina»
«Oh, Signore», nonna si porta una mano sulla fronte, sconvolta e impaurita.
«Non temere», la rassicuro. «So difendermi».
La voce nella mia testa mi ride in faccia. Se Evan tentasse di aggredirmi non avrei via di scampo, ma qualcosa dentro di me suggerisce che non mi sfiorerebbe nemmeno con un dito.
Quando l'ho aggredito qui in casa non mi ha fatto male nemmeno per un secondo. Mai.
Sbuffo e lancio un'occhiata distratta all'orologio, poi sgrano gli occhi: il turno di lavoro del signor Royden sta per finire. Ho appuntato sul mio quaderno tutti i suoi orari e, se tutto procede secondo i piani, dovrebbe lasciare la centrale di polizia tra circa trentasei minuti. «Devo andare», lascio strisciare la sedia sul pavimento mentre mi alzo. «Devo pedinare il signor Royden», termino la chiamata senza aggiungere altro.
Sono pazza.
Sto decisamente perdendo la sanità mentale, ma dopo gli ultimi avvenimenti ho bisogno di scavare a fondo per trovare la verità. Indugio davanti al mio armadio, contemplando le scelte di vestiario. È una serata serena e non c'è particolarmente freddo, per cui opto per un vestito nero un po' aderente e un paio di scarpe basse e confortevoli. Così avrò l'aria di una ragazza che è semplicemente uscita a fare una passeggiata. Completo il mio outfit con un cappotto beige che mi conferirà un'aria da cittadina comune. Sì. Non desterò nessun sospetto.
Non c'è motivo di dubitare di me.
Mentre mi avvio verso l'uscita, l'adrenalina scorre veloce nelle mie vene. Con il cuore che batte all'unisono con il ticchettio dell'orologio, percorro la strada per la centrale e mi sembra infinita. Mi fermo ad una distanza strategica, nascosta dietro un venditore ambulante di hot dog.
Il mio cuore inizia a battere più forte quando noto Evan uscire dalla porta principale, l'aria indifferente e distaccata come sempre. Mi tremano le mani.
Si muove nel parcheggio con calma e mi batto una mano sulla fronte quando sale sul suo fuoristrada. Sono scema. Non avevo previsto che usasse la macchina.
Cavolo.
Devo fare qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Pensa, Althea. Pensa.
E mentre penso lo osservo immettersi nel traffico. Si ferma a un semaforo rosso ed il sangue pulsa sulle mie gote mentre il cervello cerca una soluzione a questo stupido inconveniente.
Okay. Cambio di programma. Questa sera non pedinerò nessuno, ma passerò la serata con Evan Royden. Costi quel che costi.
Cammino con fin troppa sicurezza verso la sua auto, facendo lo slalom tra le macchine in fila in attesa che il semaforo diventi verde. Trattengo il fiato e busso contro il finestrino dai vetri oscurati che, per mia fortuna, si abbassa subito dopo.
Gli occhi scuri di Evan mi regalano un'occhiata impassibile e interrogatoria.
«Signor Royden», ho il fiatone. «Potrebbe darmi un passaggio? Stavo facendo una passeggiata e ho preso una brutta storta. Mi scuso se le sto arrecando disturbo, ma mi sono sentita davvero sollevata quando ho riconosciuto la sua auto in mezzo al traffico», sfoggio gli occhioni più dolci che riesco a fare. Mi appello a quel briciolo di fascino che credo di avere per convincerlo in qualche modo ad essere gentile con me. Evan inarca un sopracciglio e si prende del tempo per valutare le mie parole. Non mi crede. Non mi crede mai.
Ce l'ha scritto in faccia quello che pensa: tu, cara Darlene, nascondi qualcosa.
Però allunga il braccio e apre la portiera, invitandomi silenziosamente a raggiungerlo dentro l'abitacolo.
Lo spazio ristretto della macchina e la vicinanza con il suo corpo mi provoca un brivido involontario. Impongo a me stessa di ignorare queste stupide sensazioni.
«Grazie», mormoro.
«Vuoi che ti porti al pronto soccorso?», la luce verde del semaforo illumina i suoi lineamenti duri mentre la macchina torna a camminare.
«Non è necessario», gesticolo con una mano. «Basterà un po' di ghiaccio e tornerò come nuova, presumo».
Sospira e fa un cenno del capo in direzione del portaoggetti: «Dovrebbe esserci del ghiaccio istantaneo lì dentro». Lo prendo come un permesso per frugare nella sua auto. La mia missione di spionaggio sta andando bene. Credo. Apro il cruscotto e tutto ciò che trovo sono dei documenti, una busta di ghiaccio monouso e una boccetta di profumo maschile. Davvero? Tutto qui?
Afferro il ghiaccio e lo colpisco, cercando di assumere un'espressione poco scocciata. Mi sfilo la scarpa e sollevo il piede per poggiarlo sul sedile; premo il ghiaccio sulla finta caviglia indolenzita e sbuffo. Devo farmi venire in mente qualcosa al più presto.
«Vive a Boston da tanto tempo?», chiedo.
«Non sono in vena di socializzare, agente Kelley».
Ma che stronzo.
«Lei non è mai in vena di socializzare», borbotto spontaneamente.
«Appunto», conclude e questa volta mi dedica un'occhiata. Per un attimo fissa le mie gambe lasciate in vista dal vestitino, ma prima che io possa decifrare la sua espressione torna a concentrarsi sulla guida. Dopo un breve silenzio, decido di non abbattermi e tornare all'attacco: «Vorrei conoscere meglio questa città. Sono qui da un pezzo e non ho ancora dedicato del tempo per vedere ciò che c'è di bello in questo posto. Ha dei consigli da darmi? Qualcosa da vedere? Ha un posto preferito?»
«È una città come le altre», la conversazione svanisce ancora una volta nel vuoto.
Non mi arrendo.
«È appassionato di qualcosa, signor Royden? Ha un hobby?», provo a chiedere, cercando di trovare un terreno comune. Giuro, parlare con lui dovrebbe rientrare nella categoria degli sport estremi.
Alza un sopracciglio, quasi confuso dalle mie domande. «Non ho molto tempo per gli hobby»
«Giusto», mi schiarisco la voce e cambio posizione sul sedile, abbandonando il ghiaccio da qualche parte sul tappetino. Basta. Non so cosa dire. Non mi viene in mente nulla, quindi preferisco incrociare le braccia al petto e guardare scorrere le luci della città. Come fa ad avere degli amici quest'uomo? Non comunica. Forse non gli hanno insegnato a socializzare da bambino e per questo è così.
«Sto migliorando nella lotta a mani nude», lo informo poi, in un ultimo tentativo disperato di fare conversazione. «Ieri mi sono liberata dalla presa di Colin più volte».
L'angolo delle sue labbra si alza in un accenno di sorriso e il mio stomaco si ribalta. «Colin non ha nemmeno provato a tenerti ferma»
«Sì invece»
«No», ribatte.
«Mi teneva con tutta la sua forza», mento palesemente.
«Credi a quello che ti pare», dice. «Ma non sarai in grado di affrontare una lotta corpo a corpo nemmeno tra dieci anni, se continui così»
«Così come, scusi?»
«Senza impegno»
«Mi sto impegnando», sento la rabbia montare e infiammarmi la faccia.
«Non abbastanza».
Al diavolo.
Non parlo più.
Questa volta sul serio.
Che pallone gonfiato. Insopportabile. La persona più odiosa che io abbia mai incontrato. Spero di arrivare a casa il prima possibile, ma più passa il tempo e più mi rendo conto che non siamo per niente vicini al mio quartiere. Ci stiamo forse allontanando?
Lancio delle occhiate a Evan per capire le sue intenzioni, ma ha l'espressione talmente seria da non far mai trapelare niente.
«Dove stiamo andando?», mi allarmo.
«Ti mostro il mio posto preferito», un ghigno diabolico prende possesso della sua bocca. «Così, se tu hai finito con il tuo interrogatorio, posso iniziare io con il mio»
«Co-cosa?»
«Spero che la tua caviglia sia già guarita», dice. «Anche se dubito che sia mai stata ferita. Mi stavi aspettando, vero?».
Voglio morire. La macchina rallenta mentre ci addentriamo in un parcheggio a piani.
«Io stavo solo... Stavo solo facendo una passeggiata»
«Bene», sorride. Un sorriso furbo, divertito, spaventoso. «Continueremo insieme la tua passeggiata, Darlene. Mi hai fatto venire voglia di socializzare».
E adesso ho paura.
Buonasera! ❤️❤️
Rieccomi prestissimo. Volevo farmi perdonare l'attesa per lo scorso capitolo.
Quindi... Adesso che succede? 😂😂
Althea si sta mettendo nei guai... E di Evan che mi dite? Cosa pensate possa accadere nel prossimo capitolo?
Questi due finiranno per uccidersi? 😂
Intanto spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Fatemi sapere.
Un bacione.
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