Capitolo Sette.


'Ehi amico che succede?'
Gordon si fa spazio all'interno della mia stanza rivolgendomi il nostro saluto con le mani.
'Io ho bisogno di una mano. È per una ragazza.' inizio io, lanciandogli una pallina blu in gomma che lui afferra prontamente per poi rilanciarmi rispondendo 'Spara.' incitandomi con lo sguardo nel momento in cui riprendo la pallina.

È più forte di noi, ci conosciamo da una vita e ogni volta che dobbiamo parlare di qualcosa di importante quella maledetta pallina passa da uno all'altro, accompagnata da domande e consigli, credo sia una sorta di antistress per noi.
Ho chiamato Gordon non appena sono tornato a casa dopo la confessione di Summer, deve aver capito subito che qualcosa non andava, effettivamente ero e sono tuttora alquanto scosso, così si è precipitato a casa mia e ora è qui ma non so esattamente se devo dirgli tutto o rimanere sul vago.

'Hai presente la ragazza della festa? Quella da Damon?' gli chiedo lanciando la pallina un po' troppo in alto e costringendolo a impegnarsi di più nella recezione del tiro che nella domanda.
'Intendi l'amica di Anne? Non dirmi che te la sei portato a letto, se lo sa Anne mi uccide.' ribatte tutto d'un fiato.

'Si si lei, non è successo niente tra noi, è tutto parecchio più complicato.'
'Dai spiega, non farmi stare sulle spine.' ricevo la pallina e la lancio in un angolo prima di gettarmi non troppo delicatamente sul letto alle mie spalle.

Gordon mi segue a ruota stendendosi dall'altro lato del letto, che però è talmente grande da mantenerci ad una distanza enorme.
'Lei ha, diciamo che ha qualche problema. Non nel senso di problema mentale, solo ha una vita un po' incasinata, ecco.'
Gordon mi sprona a continuare con un cenno del mento 'L'hai vista, è sexy e insomma, alla festa, mi sono "avvicinato" a lei con un certo intento, volevo solo portarmela a letto, non so nemmeno io come ho fatto ma sono finito in mezzo ad un casino assurdo.'

'Un casino in che senso? Se non riesci a portartela a letto c'è sempre Cristine, non è l'unica ragazza nel mondo.' mi fa notare cercando di capire dove voglio arrivare.
'Si ma il problema è che ci sono uscito assieme e ha avuto una sottospecie di crisi, si è fatta male con uno specchio e mi ha chiesto di restare da lei e sono rimasto ma abbiamo solo dormito, non è successo niente e poi mi ha raccontato che non mangiava ma era grassa, che si era già fatta male o qualcosa del genere e che odia gli specchi e-'

'Frena Justin, non sto capendo un cazzo.' mi interrompe Gordon.
'Datti una calmata e cerca di parlare come Dio comanda o non ho idea di come aiutarti.'
Devo essermi incasinato un po' con le parole, forse è meglio se ricomincio da capo, gli racconto ogni cosa, dal primo incontro al bar, alla festa, al nostro "appuntamento", se così si può chiamare, a quando l'ho trovata a terra che piangeva e a tutto quello che mi ha raccontato stamattina.

Gordon ora è scioccato quasi quanto me, si alza dal letto e seguo i suoi movimenti mentre recupera la pallina e inizia a giocarci per scaricare lo stress.
'Bel casino amico, ti sei fottuto per bene.' non posso che dargli ragione, non mi sembra nemmeno reale tutto questo casino.
'Che hai intenzione di fare? Te ne tiri fuori?' mi chiede e istintivamente gli rispondo di no, ma mi correggo quasi subito.

'In realtà non lo so, inizialmente le ho detto che l'avrei aiutata ma non ne sono poi così sicuro, insomma mi conosci, mi interessa solo divertirmi e non mi sembra la ragazza più adatta ad una botta e via. Tu che mi consigli?'
'Io penso che non dovresti lasciarla da sola, insomma mi sembra che ne abbia passate anche troppe e da come ne parlavi mentre mi raccontavi di lei credo che non ti sia del tutto indifferente. Devi scegliere tu comunque, pensaci però perché comunque non potrai continuare per sempre a fare il coglione con tutte, forse potrebbe aiutarti a mettere la testa a posto.' mi stupisco un po' di questo discorso uscito dalla bocca di Gordon.

'Cazzo amico mi sembri mia madre' ridacchio per allentare la tensione dentro di me.
'Mi sento una fottuta ragazza, non ci credo che ho detto quelle robe, ti conviene ricordartele bene perché non credo che la donna dentro di me prenderà ancora il soppravvento, almeno per un po.' conclude e non posso fare a meno di sorridere, perché so che Gordon ha parlato col cuore e mi ha detto quello che pensava davvero.

Ora sono io a dover decidere.
È lei che ha bisogno di me, o sono io che ho bisogno di lei?

SUMMER POV.

La ferita sul braccio si sta rimarginando, ormai sono passati cinque giorni esatti da quando me la sono procurata e non ho più rivisto Justin, penso che sia meglio così, si sarà preso un po' di tempo per riflettere e mi sembra la cosa migliore per lui, anche se non credo che sia la cosa migliore di me.

Restare da sola non mi aiuta per niente a stare meglio e sento la mancanza di John e delle sue braccia, sempre pronte a darmi conforto.
Ma John non è qui e anche se vorrei che lo fosse non ho nessuna intenzione di chiedergli di venire da me, non voglio fare l'egoista, di nuovo.

In questi giorni, mi capita un po' troppo spesso di perdermi a pensare, non sono più uscita di casa, ho marinato la scuola e pure il lavoro e ne ho approfittato per dedicarmi un po' a mia madre. Credo che stia migliorando, ora si muove già di più, o per lo meno fa qualcosa e non devo prendermi particolarmente cura di lei.

Ogni tanto mi guarda, mi fissa negli occhi, forse per capire cosa stia succedendo, o forse solo perché non sa dove altro posare lo sguardo, ma mi fa comunque piacere poter incontrare i suoi occhi e vederli normali, non persi nel vuoto o intenti a fissare il muro in uno sguardo che di spontaneo ha davvero poco.
Il dottore aveva detto che ci sarebbe voluto un po' ma che poi sarebbe tornato tutto alla normalità quando gli avevo mostrato mia madre qualche settimana dopo la scomparsa di papà.

Non ho più visto quel dottore e non penso lo vedrò ancora, è troppo costoso e non potrei permetterlo nemmeno se lavorassi giorno e notte al bar.
Comunque sono passati quasi due anni, un anno e sette mesi per l'esattezza, in cui mia madre non mi ha rivolto nemmeno una parola e penso che si stia lentamente riprendendo da tutto ciò.

Sono fiduciosa che tra un po' ricomincerà a parlare, ho talmente tante cose da dirle, da chiederle, vorrei sapere se si rende conto di quello che le succede attorno ma non può agire, se non vuole agire oppure ancora se non sa nemmeno di essere viva.

Mi riprendo dai miei pensieri e distolgo lo sguardo dagli occhi azzurri di mia madre, decido di smetterla di restare chiusa qui dentro, prendo la borsa, il cellulare e mi chiudo la porta alle spalle.
Mentre scendo le scale dell'appartamento, scorro la rubrica fino a trovare il numero di Anne e la chiamo.

-Pronto?- risponde la voce acuta di Anne resa metallica e quasi fastidiosa dal telefono.
-Ehi Ans, sono Summer, ti va di uscire? Vorrei parlarti.-
-Sum? Sei ancora viva? Sei sparita dalla faccia della terra per quasi una settimana. Troviamoci da Starbucks tra dieci minuti!-non mi lascia nemmeno il tempo di replicare e mi chiude la telefonata in faccia, è tipico di Anne, mi sembra di vederla mentre corre per la casa a cercare qualcosa da mettere per correre fuori e raggiungermi da Starbucks.

Ripongo il cellulare in borsa e salgo sul primo autobus che passa per raggiungere il centro.
Dopo circa tre fermate un ragazzo sale in autobus e si siede pochi posti più avanti a me, mi soffermo a fissarlo e la mia mente riconduce la sua figura ad una ben più precisa nella mia mente, Justin.

Cerco di vedere meglio il volto del ragazzo, forse sperando che sia Justin ma quando riesco finalmente a scorgerlo noto che non è poi così somigliante come sembrava. Porta i capelli come Justin ma guardando meglio mi accorgo che sono più scuri, più tendenti al castano scuro e al posto dei luminosi occhi di Justin si trovano due occhi quasi neri, alquanto insignificanti.

Continuo a fissarlo e trovo sempre più differenze, forse non sono più molto lucida e qualcosa ha preso il sopravvento sulla mia mente, o forse semplicemente ho voglia di rivedere Justin.
Il ragazzo misterioso si alza, mi rivolge un sorriso, probabilmente avendo notato il mio interesse e scende dall'autobus.

Mi guardo attorno, l'autobus è quasi vuoto, solamente una coppia di anziani discutono animatamente qualche posto più lontano da me, rivolgo lo sguardo all'esterno, cercando di capire dove mi trovo e mi rendo conto di aver perso la fermata già da parecchio.
Scendo appena possibile e attraverso la strada, giusto in tempo per salire sull'autobus diretto verso il centro.

Stavolta sto più attenta e, raggiunta la meta, scendo e mi incammino verso Starbucks.
La porta si apre con un tintinnio che precede il mio ingresso, il locale è pieno, come al solito e in un tavolo un po' appartato Anne si mangia nervosamente le unghie, rovinando nuovamente lo smalto rosso.

Quando raggiungo il tavolo, solleva lo sguardo e mi saluta con un cenno del capo. Non appena mi siedo, una pacca mi colpisce la spalla e il suo sguardo mi incendia.
'Stranamente in ritardo, Sum.' afferma sarcastica 'Sono 40 minuti che ti aspetto, stavo per perdere le speranze, e non voglio sentire scuse, tanto sei costantemente in ritardo. Piuttosto, che hai fatto in questi giorni? Perché sei sparita così? E soprattutto, chi cazzo ti ha fatto quel taglio?' mi tempesta di domande, alludendo al taglio sul mio braccio destro, non del tutto rimarginato.

'Una cosa per volta.' comincio io 'Intanto, io avrei sete.' attiro l'attenzione di un cameriere su di me e ordino due cappuccini, uno per me, e uno per la mia amica.
Poi riprendo a parlare 'Veramente non so bene da dove cominciare.' ammetto un po' titubante, con sempre meno entusiasmo all'idea di dover raccontarle della mia crisi, ma prima o poi lo dovrei fare quindi faccio un respiro profondo e inizio a raccontare.

'Hai presente la mia..crisi?' lo sguardo di Anne si fa subito preoccupato e abbandona il suo fare sarcastico per annuire velocemente incoraggiandomi a continuare.
'L'ho riavuta, più o meno, insomma non esattamente come l'altra volta ma qualcosa del genere. Ma stavolta al posto di John c'era Justin.'
Mi correggo, prima non poteva essere preoccupata o adesso sarebbe già morta dato lo sguardo che mi rivolge.

'Justin? E che è successo? Come ha reagito? Non gli hai raccontato del tuo passato, immagino.' mormora tutto d'un fiato come se avesse inspiegabilmente perso la voce nel giro di qualche secondo.
'In realtà si. Gli ho detto tutto.'
'Summer stai scherzando, spero.' mi interrompe non appena registra ciò che ho detto.
'Sono seria. Lui non l'ha presa tanto male, ecco, era scioccato, ma ha detto di voler restarmi vicino nonostante tutto.' mormoro di rimando.

'E ora dov'è?' mi chiede lei sottolineando che lui non è qui con noi.
'Io non lo so, lui si è preso una pausa. Non una pausa vera e propria, non stiamo assieme, solamente vuole riflettere un po, credo.'

'Senti Sum, mi conosci e sai che sono una persona abbastanza schietta per cui non starò qui a fare giri di parole o ad aiutarti a costruire castelli in aria, vorrei davvero che lui tornasse da te il prima possibile ma se fosse una persona sana di mente scapperebbe a gambe levate da te.'
Le sue parole mi feriscono, cosa intende dire?
Non merito uno come Justin? O non merito nessuno?
O forse sono solo una pazza e nessuno starà mai con me.
Qual è il mio problema?

Una serie di domande affollano la mia mente e mi stordiscono e anche se forse non è la scelta migliore le copro con la mia voce e rispondo a tono a quella che in questo momento non riesco a considerare la mia migliore amica.

'Tu una persona schietta? Ma ti ascolti? Cerca di essere coerente, perché forse Justin non tornerà più e tu potrai venire a dirmi te l'avevo detto, ma io dirò lo stesso a te, quando quel coglione di Gordon ti pianterà per un'altra che non si fa problemi ad aprire le gambe quando lui lo vuole.'

Lascio qualche soldo sul tavolo per pagarmi il cappuccino e corro fuori da quel locale, con le mille domande che mi stordiscono e le lacrime che minacciano di scendere nuovamente.
Perché la verità fa male più di qualunque altra cosa e la verità è che Justin non tornerà.

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