52. Okay, ci sto

Sono le dieci di sera, mi sto finendo di truccare, abbiamo deciso di andare tardi perché il giorno seguente è libero per tutti. Melany e Sam entrano in camera, «Ti sbrighi!?» Esclamano eccitate. L'ultimo ritocco al rossetto e sono pronta. Esco, tutti sono già in auto o in moto, «Se Betty non mi mettesse fretta a partire ti farei salire in camera a cambiarti» mi rimprovera Nick, sorrido e alzo gli occhi al cielo. Il vestito è blu ed accollato, non mi sarei potuta permettere nessun tipo di scollatura, le ossa sono troppo sporgenti per i miei gusti. In compenso però ho dei tacchi abbastanza alti e le cosce alquanto scoperte. Oltre alla Maserati di Michael anche la Porsche è in moto, Nicolas e Betty vanno in moto, Paul e Melany vanno nella Porsche con Christian e Sam. Quest'ultima mi fa un occhiolino, la guardo male, hanno lasciato di proposito me e Jake da soli. «Prego» dice il mio accompagnatore aprendomi la portiera. 

Il luogo è già affollato e colmo di persone quasi ubriache, entriamo e ci immergiamo nella folla. Mi sforzo di non guardare il bar, devo cercare di non bere, almeno non subito. Inizio a ballare, ma le persone si attaccano troppo addosso, non lo sopporto. Mi siedo sugli sgabelli alti, vicino al bancone «Un'acqua tonica per favore» il barista sorride e urla da sopra la musica «Sicura?» Interviene una voce maschile «Non ci senti? Ha ordinato un'acqua tonica!» La figura alta si siede di fronte a me, «Perché non balli?» Chiede Jacob piegato sullo sgabello, «Meglio di no». Lui annuisce e tenta di studiarmi con gli occhi, ma io mi alzo subito portando il bicchiere con me, però Jake, caparbio com'è, mi segue.
«Cosa c'è?!» Esclamo spazientita dal suo inseguimento, «Se qualcosa non andasse tu me lo diresti vero?» Chiede circospetto, io scrollo le spalle e rispondo «Perché me lo stai dicendo?» Lui punta i suoi mari caraibici nei miei occhi da cerbiatta, «Così, solo per sapere» borbotta e poi se ne va. Trascorro la serata più o meno spensierata, senza bere nemmeno un goccio di alcol.
Al ritorno troviamo Michael in salone, si avvicina e sorride quando nota che non puzzo né di fumo né di whisky o vodka. Anche se stasera avrei preso con piacere qualche bicchierino.

La mattina mi ritrovo di fronte all'odioso strizza cervelli.
«Hai riflettuto sulla nostra prima seduta?» Chiede, «Si e ho dedotto che è stata inutile». 
«Niente è inutile, il tempo che sembra perso non lo è». 
«Ora sei anche un filosofo» sbuffo, sorride. «Hai continuato a bere e a fumare?»
«No Socrate, ho provato a non toccare nulla di quella roba». 
«Mi consideri importante quanto Socrate, ne sono lieto». 
«Non montarti la testa, non mi veniva nessun altro in mente».
«Allora perché hai iniziato a fumare e a bere?» Chiede con nonchalance, «Non te lo dirò mai!»
«Dove sono i tuoi genitori e tua sorella?»
«Non sono aff... Aspetta, come fai a sapere che avevo una sorella?»
«Ho buttato a caso, perché hai usato il passato per parlare di lei?»
«Non ci credo» affermo alzandomi, «Sasha dobbiamo continuare». 
«No, io non credo. Chi te lo ha detto?» Tenta di giustificarsi, ma io lo incito in modo rabbioso e lui alla fine sputa il rospo con il nome di Michael. Io che ho poggiato le mani sulla scrivania, le ritraggo piano, come un polpo colpito al cuore che ritira i suoi tentacoli. Prima di uscire sbattendo la porta, spintono la sedia che cade a terra. Esco dall'ospedale, ci sono molti chilometri da affrontare a piedi, ma la strada in avanti non mi fa paura, al contrario del passato. Prendo molte stradine interne per evitare le superstrade. Qualcuno si accosta a me, è un venditore ambulante, rifiuto i braccialetti con un gesto, ma lui insiste, poi qualcuno lo fa andare via, mi volto e vedo Jacob. «E ti pareva chi dovevo incontrare» brontolo, lui fa finta di non aver sentito. «Che ci fai per strada alle nove e mezza di mattina? Non dormi, sei un vampiro? Ieri ci siamo ritirati alle tre!» Struscio i piedi per terra, «Non avevo sonno» mento. Lui fa per parlare, ma lo blocco «Voglio il silenzio, ma tu sei libero di andare e parlare con gli alberi» lo congedo, però fa segno di cucirsi la bocca e resta al mio fianco. Ci addentriamo nella natura dopo esserci lasciati alle spalle la città.

Dopo un lungo silenzio, mi fermo e inizio a parlare a raffica «Tuo padre mi ha "proposto" andare da uno psicologo, ero alla seconda seduta quando mi sono alzata e sono andata via, sento che un estraneo, per quanto sia specializzato, non possa aiutarmi». Lui corruga le sopracciglia «Mica si chiama Mark? Lo strizza cervelli intendo». Io annuisco e poi la mia espressione diventa interrogativa, «Beh ci sono stato anche io, due anni fa, però ho resistito per cinque sedute». Mi scappa da ridere, Jake mi fa sedere sull'erba un po' secca.
«Perché ci sei andata?»
«Bevo e fumo troppo, tu?»
«Ero difficile, mi portavo tutte a letto ed ero tutto sbandato, infatti sono stato bocciato». 
«E ti ha aiutato?»
«No, mi ha fatto solo innervosire» confessa. 
«Anche a me» confermo. 
«Che tipo di domande ti ha posto?» Chiede. 
«Dove sono i miei genitori...»
«Capisco e cosa hai risposto?»
«Che non erano fatti suoi, però almeno non se la prendeva». 
«Hai ragione» sghignazza. 
«Tu però non hai detto tutto alla polizia, non è vero?» Ma non sembra una domanda dalla sua espressione, ne è convinto. È l'unico che è andato oltre a quello che dicevo, oltre quello che volevo dimenticare, lui è andato oltre, in senso buono però. 
«Vero, non gli ho detto che ho visto mio padre morire davanti agli occhi. Non era ubriaco, finalmente era sobrio, mi ha detto che mi voleva bene e che gli dispiaceva per tutto. Io gli ho detto solamente che mio padre era colui che baciava le figlie quando rientrava da lavoro. Solo questo, poi i suoi occhi si sono persi nel vuoto, quel buco nero che è il vuoto... Non gli ho detto nemmeno ti voglio bene, non l'ho chiamato neanche papà e il tutto è successo per colpa mia. E' stata colpa mia, sapevo che un rifiuto o il tradirli sarebbe stato punito duramente». Mi strattono i capelli, cado in ginocchio al ricordo di quel giorno, piango come non mai.

Jacob:
La vedo impazzire, devo fare qualcosa, prima che si faccia davvero del male, mi avvicino e mi siedo accanto a lei, la alzo di peso e la faccio sedere tra le mie gambe, appoggia la testa, reclinata all'indietro, nell'incavo del mio collo. Viene da piangere anche a me, ma devo essere forte per lei. La stringo vigorosamente.
Smette di singhiozzare dopo lunghi minuti, la guardo e sembra che si sia addormentata. La sistemo con la testa sulla mia spalla, affinché stia più comoda. Le accarezzo il volto e i capelli castani, con il dito mi appresto a cancellare ogni traccia di lacrime, come se questo possa cambiare il suo passato o alleviare il suo dolore.

Sasha:
Mi sveglio, un sorriso raggiante per poco non mi acceca, sento la bocca impastata e la faccia incrostata da infinite lacrime. Tento di alzarmi, ma un braccio mi cinge le spalle e mi tira su delicatamente. Il bosco è un po' scuro, «Per quanto tempo ho dormito?» Jacob guarda il sole un po' calato e rosso e risponde «Sono le tre», annuisco, ancora incapace di collegare tutti i pezzi, «Non hai chiamato nessuno, vero?» Lui scuote la testa e puntualizza «No, specialmente mio padre. Deve capire che ogni tanto ci sta un periodo di ribellione o di stress, e si superano in vari modi». 
Sono d'accordo con lui, restiamo in silenzio e in questa posizione non so per quanto. «Avevo paura di dirti di sì, non lo so di preciso perché, forse non volevo avere qualcun altro vicino a cui volevo bene, forse... Non lo so, però ora voglio dirti di sì, non perché ci sei sempre, non perché mi hai consolato nel momento del bisogno, ma perché con te mi sento completa, e ti voglio da molto, solo che non lo ammettevo a me stessa». Lui mi fissa con un'espressione indecifrabile, poi il suo sguardo si sposta a fissare dei tronchi massicci, «Vedi...» E concludo io la frase per lui «Hai già trovato un'altra». Lui, come se lo avessi scottato, saetta lo sguardo su di me, «Ma cosa dici!? Dato che io ritengo ancora valido quel discorso, ti volevo rispondere con un: okay, ci sto!» Sorrido e lo schernisco «Solo questo?» Lui sghignazza e mi bacia delicatamente, «Anche questo e... Questo» mi bacia nuovamente. Ci stendiamo sull'erba, delle nuvole nere incupiscono il cielo, ma niente può guastare la nostra felicità, ci alziamo e decidiamo di ritornare a casa. Non ci teniamo per mano, abbiamo deciso di andarci con calma. Però non posso smettere di sorridere, sono davvero felice. Anche se camminiamo in silenzio non c'è per nulla imbarazzo tra noi. Lui, ad un certo punto, mi cinge la vita con un braccio e mi attira a sé, mi sussurra all'orecchio «Scusa, ma non resisto» sghignazzo e gli poso la testa sulla spalla. Decidiamo di non dire niente a nessuno per il momento.

Vado a farmi una doccia, pronta a ricevere una lavata di capo da Michael.
Infatti come vado in salone lo scorgo in cucina a parlare al telefono, ma appena mi vede mi fa cenno di avvicinarmi, sospiro e vado.
«Non mi stava aiutando, io non riuscivo a parlargli» tento di giustificarmi. «Ma tu hai bisogno di parlare con qualcuno». 
«Infatti parlo con Jake e Nick» cerco di convincerlo, «Non di certe cose, e lo sappiamo entrambi». 
«Ti sbagli, con Jake di tutto, Nick gli devo dire ancora una cosa, però, per il resto, sa tutto». 
«Okay».

È stato più semplice del previsto. Betty è in salone e sta dicendo qualcosa a Nicolas, per il resto non c'è più nessuno, così decido di andare in camera di Jacob. È intento a studiare letteratura, «Scusa non sapevo che stessi studiando», lui chiude i libri e dice che ha finito, tanto gli basta prendere la sufficienza. Io rido e lo apostrofo ironicamente «Sei intelligente è un peccato che non ti applichi», lui sghignazza e rotea gli occhi «E' la stessa predica che fanno i professori a mia mamma, e lei me la riporta, ma non insiste più di tanto, ormai ha capito che faccio quello che voglio», sorrido e mi mordo il labbro. Lui sa che sono un po' nervosa, mi prende per mano e mi fa sedere sul letto, prende il suo cellulare e inserisce gli auricolari, me ne porge uno e lo infilo nell'orecchio. Dopo poco la musica inizia a danzare nella testa, ci stendiamo contemporaneamente. Non ci tocchiamo, ma ci divoriamo con gli occhi. Parte una canzone lenta, la sua mano mi sfiora il viso per sistemarmi una ciocca dietro l'orecchio e mi carezza lo zigomo per poi, con la punta dell'indice, sfiorare il labbro. Ogni suo tocco risulta un incantesimo inebriante sulla mia pelle, sembro anestetizzata, i miei pensieri sono scomparsi all'improvviso: questo è l'effetto che mi fa Jake. Scorro più vicino a lui, poso la testa sul suo braccio disteso, lo piega e mi accarezza la schiena. Chiudo gli occhi, mi abbandono alla musica, ai gesti compiuti da colui che amo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top