Parte senza titolo 7

Roma, capitale di storia, politica, cultura e religione italiana. Cosa poter dire di fronte a magnificenze quali la Fontana di Trevi in stile rococò iniziata da Nicola Salvi e completata da Giuseppe Pannini; il Colosseo o Amphitheatrum Flavium, in italiano Anfiteatro Flavio, costruito sotto l'imperatore Vespasiano, della dinastia flavia; la basilica di San Pietro della Città del Vaticano, simbolo dello Stato del Vaticano. Perfino difronte all'Obelisco Agonale in piazza Navona, che fa parte della Fontana dei Quattro Fiumi e fu realizzato all'epoca dell'imperatore Domiziano, mi sentì insignificante. Tali luoghi storici avevano la capacità di evocare in me sentimenti e sensazioni patriottiche molto forti, nonostante la pessima realtà comune nella quale ero finita invischiata. Talvolta l'ignoranza è una benedizione... Pur con un leggero disgusto per l'attuale stato della società in generale, mi sentivo onorata di far parte della grande civiltà discendente dall'Impero Romano, che aveva raggiunto sotto l'imperatore Traiano la sua massima espansione di 6,5 milioni di km² nel 117 d.C. , più grande perfino dell'Impero Han della Cina all'epoca. Il pensiero della sua riduzione da Impero a Città non faceva altro che ricordarmi quanto la vita possa cambiare e sconvolgere ogni situazioni in modi pressoché imprevedibili. Nulla è scritto nella pietra e niente deve esserlo. Sono sempre stata convinta che fossimo noi gli autori del nostro destino, e lo ero ancora mente mi calcavo il cappellino arancione sui capelli, che avevano assunto una sfumatura rossiccia sul mio castano naturale a causa dell'implacabile sole, raccolti in una coda di cavallo sulla nuca e mi aggiustavo gli occhiali scuri sul viso. Non ero in incognito, non ancora. Non credevo che sapessero dove cercarmi e speravo che la microspia che si celava sotto la mia pelle non fosse troppo precisa sul luogo esatto. Se avesse avvertito il Capogruppo che ero a Roma, gli ci sarebbero voluti molti giorni per trovarmi, dato che c'erano sempre turisti ovunque e ogni giorno ad ammirare le bellezze della città. Mi sentivo abbastanza sicura di me, con papà chiuso in albergo a lavorare al computer ed una folla di vecchi e giovani di varie etnie intorno a me che scattavano foto, ridevano, urlavano, si spingevano. Nonostante il mio primo pensiero fosse stato vestirmi di nero e celarmi il più possibile nell'ombra, isolandomi, ci avevo subito ripensato. Avrebbe sicuramente attratto l'attenzione di più passanti se mi fossi comportata in modo furtivo o da criminale. Quindi avevo indossato la mia semplice tenuta in stivali, leggings e maglione ed ero uscita alla luce del sole, comprandomi sulle bancarelle per strada un paio di occhiali, dato che c'era veramente un Sole che spaccava le pietre, ed un cappello per proteggermi da un'insolazione. Avevo perfino comprato un gelato al cioccolato e lo avevo finito in fretta. Per apparire più naturale e turista, naturalmente... Mi sentivo rilassata come non lo ero stata da molti mesi orsono. Prima di partire avevo buttato il telefono e la carta di credito della squadra e fatto incetta di armi e vestiti. Anche quel giorno portavo un paio di coltelli alle caviglie, ma niente pistole. Avevo anche comprato un cellulare usa e getta, antichissimo, essenziale, ma sicuro al momento. Giusto per tenermi in contatto con papà. Povero lui, doveva lavorare essendo rimasto in arretrato di alcuni conti. Mi dispiaceva sia lasciarlo solo, sia creargli fastidi, ma sapevo che era necessario e che sarebbe comunque stato solo per un altro giorno. L'indomani avrei finalmente incontrato la Signora, Madame, il Leader o chiunque egli fosse. Sarebbe finito tutto. Non mi permisi di pensare il contrario, né di scoraggiarmi. Doveva andare tutto bene, non volevo che si arrivasse all'unica alternativa possibile, la fuga, o alla morte. Incredibile quanto la mia realtà fosse cambiata. Prima di entrare alla stramaledetta Università, il pensiero di perdere la mia vita non mi aveva mai sfiorata minimamente, tantomeno avevo mai pensato che un giorno avrei assistito ad un omicidio o che sarei stata in costante pericolo. Ubbidienza, sottomissione, punizione, reclusione... tutti concetti che non hanno mai sfiorato la mia mente nel passato. Pensavo fossero eventi relegati ai film di fantascienza o thriller o anche horror. Perché tali eventi sono dovuti capitare proprio a me? Cosa ho fatto per meritarli? Scossi la testa per riprendermi. Avevo fatto tutto il possibile perché il mio piano riuscisse al meglio. Inutile preoccuparsi prima del tempo. Infatti stavo facendo un giro di ricognizione per Roma, utilizzando anche la splendida metro quasi organizzata, e comunque molto più veloce dei pullman. Il traffico nella città era talmente intenso da creare una cappa di smog e calore ovunque. Non sapevo a che ora sarebbe avvenuto l'incontro a piazza Navona, che era molto grande, né precisamente dove. Per questo avevo deciso di fare un giretto di ricognizione per la città. D'altronde non avevo avuto la possibilità di visitare né Napoli, né Palermo. Un giretto a Roma era d'obbligo, quindi.

Fu abbastanza divertente e mi sedetti persino sul rialzo della vetrina del negozio di Bulgari in Via dei Condotti a mangiare un panino col tonno. La faccia dei commessi che bisbigliavano tra loro, infuriati, era impagabile. Fu una bella giornata e tornai verso le sei a casa. Papà aveva optato per colazione, pranzo e cena in albergo e a me non dispiaceva passare una giornata tranquilla. Salutai il ragazzo gentile della reception che ci aveva accolti, salì al secondo piano dell'edificio e aprì la porta con una tessera magnetica. La stanza era carina, con due letti, un tappeto, un armadio, un tavolo ed un bagno privato con tutto il necessario, dalla carta igienica all'asciugacapelli ed il sapone omaggio. Il tutto aveva toni piuttosto moderni e colori accesi come il fine bianco delle lenzuola ed il verde del tappeto e delle tende della finestra. Sentì il rumore dell'acqua che scorreva nella doccia. Mi distesi ad aspettare che papà fosse pronto.

<<Ciao, piccola. Com'è andata il giro per negozi e chiese?>> mi chiese papà, uscendo dopo un po' dal bagno.

Indossava jeans scuri attillati ed una maglia a maniche lunghe di un verde appena più scuro dei suoi occhi.

<< Tutto ok. Su chi devi fare colpo?>> scherzai.

<<Su di te, ovvio. Non ho voglia di mangiare in albergo. Ti va di cenare fuori?>>.

<<Sicuro! Dove andiamo?>>.

<<Oh, ti piacerà.>> ridacchiò lui, facendomi l'occhiolino.

Lo seguì fuori dalla stanza. Mi sono sempre fidata di lui e non mi sbagliai neppure quella volta. Papà mi portò in un ristorante rustico vicino al Colosseo. C'ero passata in mattinata. Era pieno di gente che beveva, parlava, rideva, e ballava a ritmo di musica movimentata. Mangiammo pizza e bevemmo birra alla spina. Notai che non poche persone ci squadravano, forse intuendo che eravamo "forestieri".

<<Attiri sempre l'attenzione, pà.>> sorrisi, mentre fissavo un ragazzo fino a costringerlo ad abbassare lo sguardo.

<<Non è me che tutti guardano, ma la tua bellezza, cara.>>.

<<Casanova!>> lo accusai, dandogli una spintarella.

Dopo cena ci fermammo ad ammirare il Colosseo illuminato da luci dorate. Sembrava di essere in un altro mondo. Mi appoggiai al braccio di mio padre, felice di poter condividere con lui quello spettacolo. Dopo aver fatto una passeggiatina, tornammo in albergo. Ero così stanca che mi addormentai subito appena spenta la luce. Credevo che sarei stata preda d'ansia e paure, ma non fu così. Sognai perfino di giacere tra le braccia candide di qualcuno. Non erano le mani di mio padre ad accarezzarmi ed a coccolarmi teneramente, ma qualcuno con una pelle candida e delicata e dagli occhi azzurri, che somigliava all'effige di un angelo che avevo visto in una chiesa durante la giornata. Aprì immediatamente gl'occhi. Non ero sudata, né agitata, il che m'incuteva ancora più timore, dato che avevo riconosciuto in Pasquale la figura che mi teneva stretta a se, facendomi sentire protetta. C'è qualcosa di proprio malato in me! pensai, girandomi su un fianco e rannicchiandomi. La notte era ancora lunga, ma io non volevo addormentarmi e non per le ragioni più plausibili. Insomma, tra qualche ora avrei incontrato la grande Signora del Kraken, eppure a spaventarmi era il pensiero di provare affetto per uno psicopatico della peggior specie. Da morir dal ridere, no? Comunque cercai di non pensare a nulla e, poco a poco, mi tranquillizzai dicendomi che il panico gioca sempre brutti scherzi. Pasquale era lontano parecchi chilometri da dov'ero io. Sicuramente se tutto fosse andato per il verso giusto, l'avrei visto solo di sfuggita nei corridoi della scuola. Ci speravo così ardentemente...

Il mattino dopo, papà mi svegliò di buon'ora e scendemmo a fare colazione. Mangiammo cornetti caldi e profumati e bevemmo pessimo caffè. D'altronde questa non è una bevanda che qualcuno possa rendere tanto squisita quanto quella del Sud.

<<Allora? Programma di oggi?>> mi domandò papà, sbadigliando.

<<Uhm... io ho da fare.>> tentennai.

<<Cosa?>>.

<<Delle cose.>> mi strinsi nelle spalle, cercando di non tradire la mia agitazione.

<<Non posso venire con te?>>.

<<No.>>.

<<Non puoi dirmi di cosa si tratta?>>.

<<Neanche.>> risposi a mo' di scusa.

<<Ok, allora suppongo che dovrò andare in giro per Roma, da solo...>>.

<<Nemmeno. Mi dispiace, papà. Tu devi rimanere qui.>>.

<<Perché?>> mi chiese piuttosto pacatamente rispetto alla situazione.

Lo fissai a lungo. Lui era la persona più importante della mia vita, non volevo che si trovasse accanto al Leader, o che lo incontrasse.

<<Roma è pericolosa per te in questo momento. Non voglio che ti accada nulla di male.>>.

Il silenzio che seguì la mia affermazione fu piuttosto pesante. Alla fine, mio padre acconsentì ed io tirai un sospiro di sollievo. Come sarebbe stato bello se tutti quanti mi avessero dato retta come ha sempre fatto lui.

Per il mio epico incontro con il "Mostro" indossai stivali, calze ed una gonna neri ed una camicetta rossa, lasciando aperti un paio di bottoni superiori. Mi legai i capelli in una coda di cavallo, nascosi due pugnali alle caviglie e due agli avambracci, una pistola e proiettili aggiuntivi nelle tasche della gonna, presi una borsa nera che riempì con un rossetto rosso acceso, il cellulare, il portafogli ed una pistola e munizioni di riserva, mi drappeggiai sulle spalle il trench nero di pelle e feci un sorriso allo specchio, inforcando gli occhiali da sole per coprire i miei occhi più chiari e freddi che mai. Ero pronta e molto eccitata, se non esaltata. Vestirsi da Killer fa sempre bene al morale di una ragazza incazzata la cui vita rischiava di finire in frantumi.

Alle nove in punto, scesi in piazza Navona. Anche a quell'ora mattiniera c'erano tantissimi turisti, sebbene meno del giorno precedente. Ero tesa e pronta a cogliere il primo segnale di pericolo. Una donna con carrozzina mi passò accanto, la fissai finché non sparì tra la folla. Una truppa di ragazzi e ragazze corse per prendere la metro. Mi levai dalla loro traiettoria , urtando un uomo in giacca e cravatta. Lui non mi prestò neanche la minima attenzione e se ne andò. Passai buona parte della mattinata coi nervi a fior di pelle. L'attesa mi stava facendo innervosire e portava alla mia mente mille scenari che mi ero rifiutata di contemplare il giorno precedente. E se loro avessero cambiato piani? Se non venissero più a Roma? Se sono a Roma, ma non possono venire in piazza? Se quel tizio mi ha mentito? Se la Signora ha deciso che non vale la pena d'incontrarmi? Cosa potrei fare se lei scomparirà sul serio questa volta? Dove dovrei andare? Cosa dire a mio padre? Questi e molti altri pensieri scorrevano a ruota libera nella mia mente, mentre passeggiavo avanti e indietro. Fortunatamente, seppur oppressa dall'ansia, l'attenzione dei miei occhi era totalmente concentrata sui passanti. Fu verso le undici che vidi Pasquale con la coda dell'occhio, accompagnato da Marco e Angelica. Dall'altro lato vidi Alessandro, Sara e Cristian. Individuai velocemente anche Francesca e i gemelli Tom e Tim e Davide. C'era la banda al completo ed ero sicura che la loro presenza in piazza non fosse una coincidenza. Mi nascosi al meglio nella folla di turisti. Prima mi servì di alcune ragazze, poi di una scolaresca ed un gruppo di anziani. Col cuore in gola, riuscì ad arrivare ad un vicolo oscuro, lontano dal centro della piazza, senza che qualcuno mi avvistasse, gridasse o sparasse. Cercai di tenerli d'occhio, ma li persi ben presto. La calca era troppa e loro in troppi.

<<Questa non ci voleva.>> mormorai a me stessa.

<<Sono d'accordo. Che seccatura tutta questa gente.>> commentò un uomo al mio fianco.

Sobbalzai ed arretrai ancora più nell'ombra.

<<Scusa, non volevo spaventarti.>>.

<<No, no. Tutto ok.>> mi affrettai a precisare, mettendomi una mano sul cuore.

Squadrai il mio compagno. Era alto, con barba e capelli ricci e neri ed occhi castani.

<<Mi fa piacere, allora possiamo andare.>> sorrise dolcemente lui, puntandomi una pistola di grosso calibro alla stomaco.

Si avvicinò.

<<Sono felice che tu sia sopravvissuta all'incendio. Temevo non ce l'avresti fatta. Per fortuna tutto è andato per il meglio.>>.

<<Sei l'uomo di Palermo?>> domandai, alzando le mani per far vedere che ero disarmata.

<<Si, ma non è piacevole come suona l'appellativo " uomo di Palermo". Chiamami Jim.>>.

<<Piacere Jim, io sono Samantha e vorrei incontrare il tuo Capo.>>.

<<Va bene. Sono venuto a prenderti per questo. una promessa è una promessa.>> sorrise lui.

Mi fece girare verso la piazza con un cenno e mi prese a braccetto, nascondendo la pistola puntata al mio fianco.

<<Non è necessario, non scapperò certo.>>.

<<Per quanto ne so, potresti chiedere aiuto alla tua cricca nascosta tra la folla.>>.

<<Io scappavo da loro. Non volevo fossero coinvolti.>> precisai.

<<Se farai la brava, non lo saranno. Cammina, Sam.>>.

Uscimmo allo scoperto. Non vedevo più i miei ragazzi, comunque ce ne andammo dalla piazza, a passo veloce. Proprio quando pensavo di essere al riparo, Pasquale mi si parò davanti. Il mio cuore saltò un battito, mentre lui ci oltrepassava, gettandoci una mezza occhiata. Non mi gridò di fermarmi, né fece altro di stupido. Passò solo oltre e Jim non lo additò e non gli sparò. Sarebbe potuto andare peggio, ma non m'illusi neanche per un secondo che non mi avesse notata. Il mio piano era ormai in fumo ed io non potevo fare altro se non farmi trascinare dalla corrente e da Jim, sperando di riuscire a parlare son la Signora, prima che i ragazzi della banda facessero una stupidaggine come seguirmi o rapirmi o infiltrarsi nella mia conversazione con la donna che avrebbe potuto salvare la mia vita, o distruggerla.

<<Signorina Carrara, posso farle una domanda personale>>

<<Se lo reputa inevitabile, sì.>>.

<<Ha una cicatrice piuttosto recente sul palmo della mano destra.>>.

<<E lei ha un anello matrimoniale all'anulare della sua mano sinistra.>>.

<< Anche noi delinquenti siamo tipi romantici, dopotutto.>>.

<<Ero propensa a dire opportunisti.>>.

<<Già.>> sorrise l'uomo.

Aveva denti piccoli, bianchissimi.

<<Mi sono ustionata, due giorni fa.>>.

<<Ah, giusto. I pomelli dorati della Villa Antonucci. Un vero megalomane, non trova?>> ridacchiò lui.

Io annuì, sebbene non m'importasse certo delle manie di grandezza che aveva avuto un morto. Ecco, iniziavo di nuovo a fare pensieri inquietanti e glaciali. Forse era colpa della limousine rosa acceso davanti la quale ci eravamo fermati.

<< Uno scherzo?>>.

<<Nossignora. Su, entri.>>:

<<Già volete iniziare a torturarmi?>> gemetti, aprendo a malincuore la portiera.

L'uomo aveva premuto maggiormente la pistola al mio fianco ed ero sicura che mi sarebbe uscito un bel livido, presto. Comunque entrammo e partimmo. Per fortuna, a parte un piccolo frigorifero brillantato, il resto dell'arredamento interno era nero e bianco. Se fosse stato rosa anche dentro mi sarei probabilmente buttata giù dall'auto in corsa. Quel colore mi era poco sopportabile perfino sulle maglie, ma un'intera auto dipinta di rosa... era veramente troppo per il mio stomaco.

Il viaggio fu lungo a causa del traffico.

<<Non potevamo prendere la metro?>> sbuffai, quando ci fermammo nuovamente dopo aver fatto un percorso neanche pari alla lunghezza della macchina.

<<Non avrei certo potuto tenerti d'occhio, né usare la pistola per ammonirti in uno spazio così affollato.>> replicò Jim.

Seduto accanto a me, teneva la pistola sulle gambe con la bocca della canna puntata al mio fianco. Almeno non la premeva più contro il mio corpo. Un miglioramento a mio parere! Ero così agitata per l'incontro con la Signora e per lo scontro con Pasquale, che il mio cuore sembrava non voler mai più rallentare.

<<Com'è lei?>> chiesi, curiosa.

<<Particolare.>>.

<<Puoi darmi qualche altro indizio?>> domandai, quando pareva non volesse dir altro.

<< È una donna, alta, in forma, spalle large, almeno una quarta di seno, sedere rotondo e gambe lunghe. Le piacciono i vestiti lunghi e di stoffa pregiata, ma da sotto porta sempre dei collant scuri.>>.

<<Puoi dirmi qualcosa sula sua personalità?>>.

<< Spietata. Calorosa. Calcolatrice. Intelligente.>>.

<<In che senso calorosa?>>.

<< Emotiva. Si lascia un po' troppo prendere dall'ira e dai sentimenti.>>.

<<Puoi darmi qualche consiglio su come iniziare una conversazione con lei?>>.

<<Si. Non farlo. Limitati a dire "Buon giorno mia Signora". Poi aspetta che parli lei.>>.

Annuì, più tesa di prima. Non sembrava affatto un tipo divertente.

Dopo un bel po' di tempo, il mio compagno di viaggio mi annunciò che eravamo arrivati. Scendemmo dall'auto e ci ritrovammo davanti l'entrata di un ranch. C'era perfino una stalla rossa molto grande a lato della casa principale ad un piano. Dietro un cancelletto in ferro battuto ruminavano alcuni cavalli. Il posto era immerso in una foresta con solo un sentiero battuto, quello da cui eravamo arrivati.

<<Questo posto è davvero il vostro quartier generale?>>> mormorai, basita.

<<Perché lo chiedi?>>.

<<Non sembra certo il luogo dove possa vivere una persona pericolosa e potente come il Leader del Kraken...>>.

<<Hai ragione. Non è il nostro quartier generale. È solo una casa per le vacanze. Alla Signora non piace dare nell'occhio quando è lontana dalla sua città base.>> mi spiegò Jim, spingendomi un po' in avanti.

Lui bussò alla porta, che si aprì immediatamente. Mi ritrovai in un atrio cupo dalla tappezzeria a fiori sgargianti su sfondo bianco. Mi tolsi gli occhiali da sole. In fondo c'era un camino in marmo dal quale si diffondeva il crepitio scoppiettante dell'allegro fuoco acceso. Su un tappetino imbottito e colorato era accucciato un vecchio cane Sharpei color sabbia. Drizzò la testa a guardarmi, quando entrammo.

<<Jim, mi hai portato un regalo?>> domandò una voce melodiosa.

Con lo schienale rivolto all'ingresso, c'erano due poltrone ampie e rosse. Da una di questa spuntava una testa con lisci capelli neri.

<<Si, mia Padrona.>>.

<<Vieni avanti, mia cara. Lelika non ti farà del male.>>.

Seppur inquieta, avanzai ed aggirai la poltrona. La porta si chiuse dietro me con un tonfo, troncando la luce che arrivava dall'esterno. Unica fonte luminosa era il fuoco arancione. Le sue fiamme tappezzavano la stanza di quel cupo colore. Mi ricordava fin troppo l'esperienza dolorosa alla quale ero sfuggita pochi giorni prima. Osservai la donna seduta. La descrizione del suo corpo corrispondeva a ciò che mi aveva detto Jim. Calzava morbidi stivali di pelle nera ed un vestito lungo e rosso scuro con una cintura di pietre preziose nere, che scendeva morbido sul corpo. Aveva una scollatura a balconcino, che metteva in evidenza il seno prosperoso ed il lungo collo marmoreo, circondato da un girocollo nero con tre gemme rosse ai lati. Il viso delicato era contornato da due ciocche di lunghissimi capelli neri raccolti in due trecce, mentre gli altri che circondavano la testa, erano cortissimi. Il mento era piccolo, le labbra grandi, sensuali, dipinte di rosso, il naso leggermente lungo, ma appuntito, gli zigomi alti e gli occhi erano grandi, colore azzurro chiaro e freddo, circondati da ciglia simili a pizzo nero.

<<Siedi pure, cara.>> mi esortò, indicando l'altra poltrona con la mano guantata di nero.

<<Grazie.>> mormorai e mi sedetti sul bordo del cuscino.

Il cane si alzò e mi si accostò placidamente. Gli accarezzai la testa.

<<Tu piaci a Leika.>> osservò lei, indirizzandomi un sorriso smagliante.

<<Leika è molto tenera.>>.

<<Non con me.>> replicò il Leader, protendendosi ad accarezzare il cane.

Questo ringhiò e la Signora ritrasse la mano, senza mostrare emozioni sul volto di porcellana.

<<Non sono mai stata brava ad interagire con esseri così istintivi.>> sospirò.

Non era una domanda, quindi preferì restare in silenzio. La reazione del cane mi aveva ricordato che la bellissima donna a cui sedevo accanto era una spietata assassina.

<<Qualcosa è cambiato nel tuo sguardo, cara. A cosa pensi?>>.

<<Penso a come tutti mi hanno messo in guardia da te. So che sei potente, so che sei spietata, ma non riesco a vederti come...>>.

<<Un'assassina? Forse è perché non lo sono, Samantha.>> m'interruppe lei.

<<Sai il mio nome, perché ti ho cercata con tanta insistenza?!>>.

<<No, so il tuo nome, perché l'ho scelto io.>>.

M'irrigidì per la sorpresa.

<<Come?>> balbettai.

Di sicuro avevo capito malissimo.

<<Io so chi sei, so chi è e dov'è tuo padre e so che tu non sai nulla di tutto ciò.>>.

<<Non capisco.>> mormorai, sgranando gl'occhi ad ogni sua parola.

<<Il mondo è pieno di bugiardi, mia cara. Tutti mentono. Talvolta si mente per ricavarne un vantaggio, o per il divertimento, o per mettere nei guai qualcuno, per cattiveria. Ma tu non sei il frutto di niente di tutto ciò. Noi, tutti noi, ti abbiamo mentito per salvarti.>>.

<<Non capisco!>>.

<<Oh, bambina mia. Come fai a non capire? Eppure sei una ragazza sveglia. No! Tu sai cosa ti sto dicendo, non è vero?>>.

<<Tu... tu sei lei? Mia madre?>> espirai con un fil di voce.

<<Si.>>.

<<La madre che mi ha abbandonata?>>.

<<No, io non ti ho mai abbandonata. Sei tu che hai abbandonato me!>> esclamò lei, prendendomi una mano.

La ritirai di scatto. Non volevo essere toccata.

<<Bugiarda! Io non ho fatto nulla!>> l'accusai.

<<No, non sei stata tu. Eri così piccola, così indifesa. Come avresti potuto lasciarmi, se non avevi neanche mai pronunciato la parola "mamma".>> disse lei, con voce tremula.

<<Allora raccontami la tua storia dal principio! Perché io non ci sto capendo più nulla!>>.

L'ira e la confusione mi annebbiavano la mente e sentivo il castello di carte della mia vita, cadere a pezzi, lentamente e dolorosamente.

<<Tuo padre, Enrico Carrara, quell'essere indegno, ti ha strappata alle mie braccia. Lui voleva donarti una vita diversa. Non volergliene male per questo.>> mormorò la Signora.

<<Cioè, papà ti ha...>>.

<<Si, mi ha drogata la notte perché dormissi e poi ti ha presa dalla culla e ti ha portata via. Non sono riuscita a ritrovarvi, fino ad ora. Fino a quando una coraggiosa ragazza ha sfidato dei membri della mia organizzazione. Chi se non mia figlia avrebbe potuto mostrarsi in grado di compiere tali azioni. Sapevo che eri stata tu. Sapevo che la mia bambina sperduta aveva finalmente ritrovato la strada di casa.>> disse, tirando fuori dalla tasca un fazzoletto candido e tamponandosi una guancia.

<<Se sapevi chi ero e dov'ero e le mie intenzioni di trovarti, perché non mi sei venuta in contro? Bastava una telefonata!>>.

<<Ho avuto paura. Non sapevo cosa ti aveva raccontato il mio ex marito, non sapevo come eri cresciuta, né se mi avessi creduta o anche solo permesso di spiegare. Dovevi essere tu a voler apprendere la verità.>>.

<<Io non sono venuta in cerca di una verità. Avevo già tutto ciò che mi serviva! E senza di te!>>.

<<Lo so, mia cara. Lo so. Ho solo sperato che tu potessi trovare un posto nel tuo cuore per me. Mi sono persa la tua prima parola, il tuo primo passo, ogni momento in cui sei stata felice, triste, malata. Non ho potuto consolarti, darti consigli, speranze. Non ho potuto impedire che tu crescessi senza di me, sola, con un padre assente, in una città malfamata. Ti avrei voluto dare tutto! Giochi e vestiti e avrei voluto farti conoscere così tante persone. Avrei voluto avere la mia casa in campagna, con a fianco te, tuo padre e Leika. Enrico mi ha portato via tutto questo. Mi ha portato via la mia famiglia, la mia bambina e tutti i miei sogni. Tu avevi bisogno di me, quanto io per anni ho sempre avuto bisogno di te. Perché sei mia figlia, sangue del mio sangue. Ti ho portata in grembo per nove mesi e in braccio per meno di un anno. Ed ora guardati, guarda che splendida fanciulla sei diventata. E senza di me. Forse sono solo io ad aver bisogno dell'affetto di mia figlia?>>.

Lei piangeva mentre diceva queste parole ed una parte di me si struggeva di dolore con lei. Non ci volle molto, prima che colassero lacrime cocenti dai miei occhi.

<< No. Io... credo di voler conoscerti...>> sussurrai, con voce tremante, alzandomi in piedi.

Lei mi prese una mano ed io la strinsi con la mia.

<<Sono Maria Giovanna Marasco. Molti mi chiamano Maria, ma tu chiamami madre, te ne prego.>> disse, baciandomi il dorso della mano.

Io caddi in ginocchio accanto a lei e l'abbracciai, posando la testa sul suo seno. Lei mi strinse così forte da farmi credere che volesse rimettere insieme i pezzi della mia vita infranta. Mio padre, non poteva essere il mio nemico. L'uomo che mi aveva cresciuta, non poteva essere stato tanto crudele da privarmi di mia madre e della possibilità di avere una famiglia come tutti gli altri. Eppure non riuscivo ad odiarlo, ma solo a disperarmi per ciò che aveva fatto. Tutto ciò, doveva essere un incubo!

<<Bene, Mad...Maria. Io... credo di dover parlare con mio padre. Lui mi deve alcune spiegazioni importanti...>> balbettai, prendendo un respiro profondo e sciogliendola dal mio abbraccio.

<< Ne sono sicura, bambina mia. Vorrei tanto essere presente per una bella riunione di famiglia.>>.

<<Puoi venire con me.>> proposi.

<<Ti ringrazio, ma non è un luogo sicuro quello dove siete voi. Almeno non per me. Ho mandato degli amici a recuperare tuo padre.>>.

<<Reagirà male...>> commentai, in ansia.

<<Due di loro sono suoi conoscenti e appena saprà che anche tu sei qui, non opporrà resistenza.>>.

<<Tu credi?>>.

<<Lui ti ama tanto quanto me. Sono sicura che capirà lo sbaglio che ha compiuto e che riusciremo a ridiventare una famiglia. Ci vorrà forse del tempo, ma tutto andrà come voglio io, anzi noi vogliamo, vero cara?>>.

<<Credo di si.>> tentennai, sedendomi di nuovo sulla poltrona.

<<Bene, allora aspettalo con me e intanto raccontami della tua vita...>>.

Inizia a raccontare a quella donna dei miei problemi scolastici, delle persone che avevo conosciuto, degli allenamenti, dei viaggi intrapresi con mio padre. Più le raccontavo della mia vita e più mi sentivo a mio agio in sua presenza. Verso le quattordici Jim ci portò un carrello con sopra dolci di tutti i tipi e stuzzichini vari.

<<Mentre aspettiamo tuo padre, poi faremo un vero pranzo di famiglia.>> mi sorrise Maria, porgendomi un tramezzino al prosciutto che accettai con gratitudine.

Trascorremmo ancora un'ora a parlare della mia vita, finchè venimmo bruscamente interrotte da Jim, che ci si parò davanti. Mi ero totalmente dimenticata di lui e non sapevo se aveva assistito alla nostra conversazione.

<<Perdonatemi, mia Signora. Ci sono degli intrusi.>>.

<<Chi?>>.

<<Abbiamo riconosciuto solo Marco Liguori, figlio acquisito del Capogruppo Domenico Salvati, dipendente del Boss Andrea Martini, che gestisce la provincia di Salerno.>>.

<<Non fate loro del male, sono miei... compagni!>>.

<<Hanno già invaso la Cappella, probabilmente credendola un'armeria.>>.

<<La costruzione rossa qui accanto? Pensavo fosse una stalla.>>.

<<Lo era, ma l'abbiamo consacrata. Io sono molto religiosa.>> chiarì la donna che avevo scoperto essere mia madre.

Si erse sul suo metro e ottanta di statura.

<<Accerchiateli in modo che non escano da quel luogo sacro. Andremo di persona a parlare con loro.>>.

<<Si, Signora.>> disse in tono ossequioso Jim, prima di correre rumorosamente fuori dalla porta.

<<Vieni, andiamo a rassicurare i tuoi amici.>> mi sorrise Lei, porgendomi la mano guantata.

La presi con la mia e mi lasciai condurre nell'abbagliante sole del primo pomeriggio. Ci dirigemmo alla Cappella. La vidi circondata da agenti in uniforme nera e dai volti coperti con delle maschere.

<<Come mai nascondono il viso?>> chiesi.

<<Alcune volte mando i miei uomini a spiare le varie divisioni. Quindi faccio in modo che le loro identità rimangano segrete. È più facile così infiltrarsi.>> mi spiegò la Signora.

La mia mente rifiutava ancora d' identificarla come mia madre. Prima volevo sentire le spiegazioni di papà a riguardo. La costruzione era di forma rettangolare e allungata, rossa, di legno, con una sola porta bianca sul davanti. Una guardia si avvicinò a noi.

<<Hanno preso degli ostaggi. Minacciano di dar fuoco a tutto, se non gli diamo la ragazza.>>.

<<Questo è fuori discussione. Gli avete lanciato un telefono?>>.

<<Si.>>.

<<Bene, chiamiamoli!>>.

La guardia mi porse un cellulare nero. Stava già squillando.

<<Parlo io?>>.

<<Sono tuoi amici, io non li conosco.>>.

<<Pronto?>> rispose la voce di Marco.

<<Marco? Sono io, Sam. Cosa diavolo state combinando?!>>.

<< Questo è il modo in cui ringrazi i tuoi salvatori?>>.

<<Io non ho bisogno di essere salvata! Siete voi quelli in pericolo! Perché avete preso degli ostaggi? Perché vi siete barricati lì dentro?>>.

<<Per effettuare uno scambio e credevamo fosse un'armeria! Non potevamo immaginare che fosse una sottospecie di chiesetta rustica. Questo posto mette i brividi.>>.

<<Ok, Marco. Ho bisogno che tu mi dia retta, per una volta!>>.

<<Io ti ho sempre ascoltata, ma non oggi! Sei stata sollevata dal tuo incarico e abbiamo ricevuto l'ordine di riportarti a casa. Il Boss vuole scambiare due chiacchiere con te.>>.

<<Spiacente, ma ho cose più importanti da fare. Il Leader vuole che rimanga qui, per il momento. Tornerò a tempo debito.>>.

<<Noi non prendiamo ordini dal Leader!>>.

<<Ricordo bene che Alessandro mi ha detto che era una delle vostre regole principali!>> protestai.

<< Ti ha mentito. Come tutti ti stanno mentendo, Samantha!.>>.

<<Cosa vuoi per arrenderti ed uscire da lì?.>> urlai, esasperata.

<<Fateci dare l'ordine di resa dal Capogruppo!>> urlò lui, troncando la comunicazione.

<<Dice che prendono ordini solo dal Capogruppo...>> mormorai.

<<Lo capisco, sebbene la cosa mi dia non poco fastidio. Va bene, lo chiamerò. Tranquilla, risolveremo tutto.>> disse la Signora, accarezzandomi la testa.

Degli spari seguirono immediatamente le sue parole. Provenivano dalla Cappella! Senza averlo deciso, mi ritrovai a correre verso la porta e la spalancai, con la paura nel petto. Sulle panche di legno in fila, scintillava sangue rosso, fresco. Una ragazza era accasciata a terra, i capelli neri le coprivano il volto. Sotto di lei, Marco guardava la volta illuminata dal sole. Occhi aperti, spalancati, che non potevano più chiudersi autonomamente. Non si muoveva. Sull'altare dorato con una croce preziosa appesa, c'erano degli uomini in nero legati e dietro loro, un'altra guardia, col mitra spianato. Lo puntava contro la porta, contro di me. Un altro rumore, un altro sparo, dalla bocca del mitra si levò del fumo. Neanche il tempo di capire che mi aveva sparato con l'intento di uccidermi, che venni scaraventata a terra di lato. Un corpo gravò su di me ed urlò di dolore. Seguirono altri spari. Vidi il killer mascherato, cadere al suolo, reggendosi una gamba ferita. Mi accorsi che del liquido caldo e denso mi gocciolava sul seno. Lo sentivo anche attraverso la camicia. L'odore metallico del sangue mi pervadeva le narici. Misi a fuoco il volto della persona che mi sovrastava.

<<Ti ho salvata ancora una volta, Principessa.>> rise Pasquale, tossendomi poi sangue sul volto.

Scivolò di lato. Mi girai a guardare il suo volto, sofferente, tranne gl'occhi. Quelli erano calmi e freddi, rassegnati.

<<No, no, no!>> urlò qualcuno.

Solo dopo aver premuto le mani sulla ferita al fianco di Pasquale, riconobbi la mia voce.

<<No, no, per Dio, no!>> esclamai tra le lacrime, cercando di arrestare l'emorragia.

<<Tardi. È troppo tardi, tesoro mio. Dammi un ultimo bacio. Me lo sono meritato, no?>> ansimò Pasquale, mentre la pozza di sangue si allargava a lambirmi le ginocchia.

<<Dopo! Tu non morirai. Non puoi morire! Siamo in Chiesa! Dio non permetterà che tu muoia! Oh, Dio mio, salvalo, ti prego! Salvalo!>> urlai, tremando.

Pasquale sollevò una mano ad accarezzarmi il volto.

<<Un bacio solo ti chiedo e morirò felice.>>.

<<No, no! Lui ti salverà! Dio ti salverà! Aiuto! Chiamate un'ambulanza!>> urlai con quanto fiato avevo in gola.

Le lacrime non si arrestavano sul mio volto, come anche il sangue caldo e rosso scuro.

<<Baciami, Samantha.>> m'implorò ancora lui.

Così feci, premendo le labbra sulle sue, morbide e calde.

<<Grazie, Principessa.>> sorrise Pasquale, quando ci separammo.

Poi chiuse gl'occhi.

<<No! Non addormentarti! Mi senti, razza di idiota psicopatico?! Non dormire!>> urlai, tenendolo per una spalla e scuotendolo.

<<Pasquale! Pasquale! Per Dio! Apri gl'occhi!>> strillai.

Due mani mi circondarono le spalle e pelle calda si posò sulla mia schiena.

<<Basta così, Samantha. È morto.>> annunciò la voce lacrimevole del Leader.

<<No! Ti sbagli! Lasciami!>>.

<<Basta così. Lascialo riposare in pace e non straziamone ulteriormente il corpo.>> mi disse lei, prendendomi una mano e costringendomi a porla sul suo petto.

Sul suo silenzioso e immoto petto dalla camicia spezzata.

<<No, no! Io ho pregato! Ho pregato per lui!>> piansi, accasciandomi sul corpo senza vita di chi mi ero accorta di considerare più di un amico.

<<Dio non ti ha sentita, cara. Lui non sente sempre e talvolta non può fare nulla per aiutarci. Vieni con me.>> disse, issandomi in piedi quasi di peso.

L'abbracciai, posando la testa sulla sua spalla. Sporgendomi, vidi Marco e Angelica. Anche loro pallidi ed immobili. Sul volto di Marco c'era ancora la traccia lasciata dalla paura, ma i suoi occhi erano vuoti, spenti per sempre. Piansi più forte e mi lasciai trascinare nuovamente in casa. Quando terminai le lacrime, mi accorsi di essere rannicchiata su un lettino alto, con accanto la Signora seduta, che mi accarezzava dalla spalla al fianco.

<<Tante volte ti ho sognata mentre mi consolavi, da piccola.>>mugugnai.

<<Lo so. Mi dispiace tantissimo per i tuoi amici.>>.

<<Chi è stato? Perché?>>.

<<Una delle mie guardie è riuscita a liberarsi. Voleva fare l'eroe e morire portandosi dietro più persone possibili.>>.

<<Crudele.>>.

<<La paura della morte ci spinge a fare cose inimmaginabili, pur di avere anche un'infima speranza di sopravvivenza, che sia fisica o solo un ricordo.>>.

<<Io mi ricorderò di lui e di loro! Dov'è? Voglio vedere il corpo dell'essere che ha cercato di uccidermi.>> esclamai, alzandomi a sedere.

<< Lui è vivo. È nella Cappella, legato sull'altare. Voglio credere che stia chiedendo perdono a Dio per le persone che ha ucciso per colpa del suo impulso demoniaco.>>.

<<Come fai a credere in Dio e a reggere una società basata sull'omicidio?!>> l'accusai.

<<Dio punisce il male, non il bene. Questi sacrifici sono necessari. Il suo disegno imperscrutabile guida tutti noi. Chi muore, muore perché lui lo ha deciso, muore per uno scopo.>>.

Quelle parole sussurrate nella penombra da quella bellissima donna, mi calmarono, fin troppo. Chiusi ancora una volta il mio dolore e il mio terrore dentro quello scrigno, che stava diventando fin troppo affollato. Dietro i miei occhi senza più lacrime per compiangermi, c'era solo il ghiaccio della rassegnazione, della realtà che ti piomba addosso come un predatore affamato sulla preda. Pasquale, Marco, Angelica. Erano morti.

<<Chi altri non ce l'ha fatta?>>.

<<Solo i tre che hai visto. Alcuni sono stati solo feriti, un ragazzo ha perso la mano destra, ma sopravvivrà. Delle guardie, nessun ferito grave.>>.

<<Desidero stare da sola. Scusa.>>.

<<Ma certo, cara.>> replicò lei, alzandosi e baciandomi la fronte.

Poi uscì dalla porta. Rimasta sola con i miei pensieri, una decisione si insinuò nella mia mente. Lui ha ucciso i miei amici, eppure è vivo. Non merita di portare a casa la pelle, dopo aver distrutto qualcuno che mi è caro. Cosa direbbe Pasquale, se lasciassi incolume il suo assassino? No, non posso permettere che lui esali un fiato in più! Tanto, se morirà, sarà perché l'avrà voluto Dio. A quel pensiero sentì il ghiaccio della rassegnazione sciogliersi a poco a poco, rimpiazzato dall'ardore della vendetta e del furore inarrestabile che mi scorreva su ogni cellula del corpo. Mi alzai e trovai uno splendido pugnale sul comodino. La lama era d'argento, affilata, col manico in oro e pietre preziose. Sembrava fatto apposta per un rituale, un sacrificio. Mi diressi alla Cappella al tramonto. Non incontrai nessuno lungo il mio cammino. Lui era proprio dove la Signora mi aveva detto. Ancora mascherato di nero, i polsi legati ai quattro angoli dell'altare bianco. L'effige di Cristo crocefisso che gli pendeva quasi all'altezza del cuore. Perfino quel volto pacifico, mi sembrava pianger sangue da occhi spenti. Il mio cuore piangeva ancora ed ardeva per ciò che stavo per fare. Ero davvero convinta di fare la cosa giusta? Sarei riuscita a farlo? Tali domande mi scivolarono addosso come vapore, inutile contro l'ardore che provavo. Giunta ai piedi dell'altare, mi allungai a togliergli la maschera. Il suo volto era così comune: capelli neri, occhi scuri, mento allungato, naso schiacciato, barbetta e baffi neri intorno la sottile linea rosea della bocca. Nulla di attraente, nulla di raccapricciante. Sotto la maschera, non c'era nessun mostro e nessun santo. Solo un uomo, capace di fare ciò che tutti gli esseri umani sanno fare: uccidere con o senza motivo. Non era diverso dalle migliaia di persone che chiunque incontra nell'arco della propria vita, al supermercato, a scuola, a lavoro, al parco giochi. Eppure, lui era speciale per me. Aveva ucciso la seconda persona al mondo per la quale avevo deciso di provare affetto.

<<Come ti chiami?>>.

<<Jeremy. Ti prego, non usare quel pugnale!.>>.

<<Vuoi dire questo?>> domandai, sollevandolo all'altezza dei suoi occhi.

<<Si, si! Ti prego. Non volevo, non sapevo, non credevo che...>>.

<<Cosa? Che le persone che hai ucciso avessero una famiglia abbastanza forte da vendicarli?>>.

<<Sei loro sorella?>>.

<<No!>>.

<<E allora cosa t'importa se sono morti?! Lasciami andare, dannazione!>> esclamò, scuotendo le catene.

<<Non ero loro sorella, ma loro amica, e tu mi hai ferita.>>.

<<No! Il proiettile non ti ha neanche sfiorata! Ti sbagli, non sono stato io.>>.

<<Si, che sei stato tu!>> urlai, premendogli il pugnale alla gola con maggiore forza.

Un rivolo di sangue rosso sgorgò da un taglietto. Non era abbastanza per me.

<<Tu hai ucciso chi mi era caro, davanti ai miei occhi!>>.

Spinsi più a fondo il pugnale. Lui tossì. Sgorgò altro sangue.

<<Cosa ti avevano fatto? Ti avevano ferito? Torturato? No! Tu li hai uccisi a sangue freddo!>> lo accusai.

<<Ti prego! Volevo solo salvarmi la vita. Per Dio! Non farlo!>> mugugnò lui, con le lacrime agli occhi.

<<Dio?>> mormorai, ritraendomi dall'uomo e stringendo la lama con l'altra mano.

<<Dio...>> sussurrai, guardandomi in torno, poi la figura di Cristo.

Riportai gli occhi su l'assassino di Pasquale.

<<Io non vedo nessun Dio. >> sospirai, prima di vibrare un fendente al collo di Jeremy.

La lama non si lasciò fermare dalla pelle, dai muscoli, dalle vene, dai tendini, dalle vertebre e nemmeno dal midollo spinale. Trapassò il collo dell'uomo da parte a parte, macchiando l'altare di spruzzi di sangue fresco, macchiando me. Quel sangue, sembrava così dolce e guardarlo sulla mia mano, sentirlo sulla mia pelle e sul mio volto, mi provocò una sensazione indefinibile... Potevo quasi sentire Pasquale sorridermi in modo strafottente e affermare " Ora si che ti rispetto, principessa!". Lui avrebbe apprezzato tutto questo: la mia giustizia. Sospirai, ero stanca. Mi sedetti a terra ed appoggiai la schiena all'altare. La testa di Jeremy mi cadde accanto con un tonfo. Potevo vedere la paura che aveva lasciato l'impronta nei suoi occhi. Non capivo cosa avevo realmente fatto, mi sentivo solo... appagata, potente...

Nota dell'autrice

Buona vigilia a tutti!!!! Ecco... questo capitolo è un po forte, lo ammetto e so che molti sarebbero disgustati dalle gesta di Sam... eppure trovo che ci voglia un momento di pazzia, un tremendo sbaglio per far entrare Sam appieno in questo mondo violento. Andrà peggio, quindi per i moralisti e i teneri di cuore non consiglio di andare avanti ;* Kiss kiss



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