Parte senza titolo 5

<<Buona sera, Sam.>> mi sorrise Pasquale, allungando le gambe davanti a se ed incrociando le caviglie.

Era seduto accanto a me, sul morbido sedile grigio, anche lui in smoking nero come Alessandro, ma con l'aggiunta di una cravatta dorata luccicante.

<<Non credi sia pacchiana?>> gli sorrisi, indicandogli il petto.

<<Come se tu sapessi qualcosa sulla moda.>> mi prende in giro lui, allungando le braccia sugli schienali.

La giacca si spostò un po', ad evidenziare la fondina che portava alla cintura. Anche Alessandro era armato. Io non avrei dovuto esserlo, ma non avevo resistito ad indossare una cintura porta pugnali da lancio stretta alla coscia sinistra. Era la prima volta che la indossavo, dato che non ero certo una persona che amasse i pantaloni corti o delle gonne, neanche d'Estate. Preferivo coprire il mio corpo. Mi presi del tempo per squadrare la limousine. Naturalmente era la prima volta che vi salivo sopra. Era stranamente lunga, con gl'interni grigi e neri, comoda, con i finestrini oscurati ed un frigo bar. Pasquale si versò una birra.

<<Già incominci?>>.

<<Incomincio e finisco, cara. Non toccherò né cibo né bevande alla festa.>>.

<<Perché?>>.

<<Precauzione. Non c'è nulla di più facile e banalmente classico di avvelenare il pasto di qualcuno. Lo potrebbe fare anche un bambino senza accorgersene.>> mi rispose lui.

<<Anche tu?>> chiesi ad Ale.

<<Già.>>.

<<Allora anch'io.>> affermai.

<<Sarà una cena, dovrai bere o mangiare qualcosa anche solo per non suscitare sospetti negli altri invitati. Inoltre tu sei stata invitata alla festa, noi siamo solo i tuoi cani da guardia.>> sorrise Pasquale, bevendo.

<< Non volevi venire per caso?>>.

<< Ha importanza?>>.

<<Ovvio, lo sai che non mi considero il vostro capo, quindi non voglio imporvi nulla!>>.

<< Dici che non sei il nostro capo, ma intanto fai tutto ciò che farebbe un capo.>> mi fece notare lui.

<< Come potrei fare altrimenti?! Mi controllano!>>.

<<Appunto! Ti controllano in ogni momento. Per questo ti consiglio ancora una volta di smetterla di cercare il Leader!>> sbottò lui, senza guardarmi.

<<Credi davvero che, sapendo del tuo arrivo, se ne starà fermo ad aspettarti? Perché dovrebbe anche solo guardarti o ascoltarti? Figurarsi esaudire un tuo desiderio. E se persisterai ti ammazzerà, credendo in una tua insubordinazione. Sei fregata! Sei e sarai il nostro Capitano. Accettalo.>> mi ribadì per la centesima volta lui.

<<Non sei stato tu a dirmi che non avresti mai preso ordini da me?>> mormorai.

<<Si.>>.

<<E allora cos'è tutta questa voglia che io diventi ufficialmente il tuo Capitano?>>.

<<Chissà!>> replicò lui con una scrollata di spalle.

<<Oh, forse ti stai affezionando a me, Mr Psicopatico senza cuore?>> ridacchiai io.

Con mia sorpresa, Pasquale non replicò con una delle sue battute offensive, né mi picchiò. Un silenzio imbarazzante si diffuse nell'abitacolo.

<<Do...domani inizia Dicembre. Da domani il Leader sarà presso Napoli. Da domani inizierò a cercarlo con tutte le mie forze, ci riuscirò o fallirò, ma almeno ci avrò tentato. Passami una birra.>> conclusi, balbettando.

Fece come gli avevo chiesto. La bevvi, rinfrescandomi la gola. Speravo vagamente che il rossetto acceso che Francesca mi aveva applicato con perizia fosse waterproof.

Arrivammo per le otto e trenta alla villa del Boss. Alessandro me l'aveva mostrata su internet. Era sicuramente un bene conoscere la planimetria del posto. La casa era molto antica, rustica, in legno scuro e a due piani, ma circondata da un muro posto sotto stretta sorveglianza. Lo superammo, ritrovandoci in un giardino con una fontana che raffigurava una donna d'argento che pregava, dai cui occhi fuoriuscivano lacrime azzurre che si raccoglievano nella bacinella ai suoi piedi. Intorno alla fontana correva un viottolo grigio costeggiato da cespugli di rose bianche squadrati, posti su un prato verde perfettamente curato che portava ad un enorme portone aperto di legno massello a due ante e dai due pomelli dorati. Scendemmo dall'auto e salimmo i tre scalini di marmo bianco che portavano all'ingresso. Io davanti, i miei compagni dietro.

<<Non abbassare la guardia. Nessuno qui dentro è tuo amico.>> mi sussurrò all'orecchio Pasquale.

Si era avvicinato tanto che potevo sentire il suo calore contro la schiena.

<<Neanche tu sei mio amico?!>> mormorai, tesa.

<< Forse stasera sono il tuo unico amico.>> mi alitò nell'orecchio, avvicinandosi ancora di più.

Mi scostai di scatto, arrossendo e varcai la porta, senza guardarmi indietro, col cuore che batteva al mille per una ragione che ancora non riuscivo a comprendere. Il salone era occupato in gran parte da una scala di legno, che saliva ai piani superiori. A destra c'era invece un corridoio da cui proveniva della bassa musica jazz. Due valletti si offrirono di prenderci i cappotti. Erano in divisa nera, piccoli e minuti, ma diffidai di loro all'istante ( lo avrei fatto anche se Pasquale non mi avesse messo in guardia!). Da come si muovevano senza fare alcun rumore, dal loro sguardo impassibile, dal loro sorriso accomodante, capì quanto la festa avesse potuto rivelarsi pericolosa. D'altronde, mai fidarsi di chi sorride con le labbra, ma poi ti squadra come se ti stesse immaginando senza pelle. Proseguimmo verso il corridoio che portava alla sala da pranzo, che era pieno di dipinti famosi e specchi. Camminammo su un soffice tappeto verde fino a raggiungere il cuore della festa. La sala era grande e gremita di gente. C'erano dieci tavoli circolari con almeno otto sedie, disposti intorno ad una lucida pista da ballo. La parete in fondo alla sala era di vetro trasparente e dava accesso alla piscina illuminata. Mentre io ero ancora confusa dalla sfarzosità e dall'oro che decoravano pareti e persone, Alessandro mi prese la mano e mi guidò al nostro tavolo. Finalmente potei conoscere il resto del mio gruppo di comandanti. Riconobbi subito il Capogruppo Domenico Salvati. Era vestito con un completo grigio e bianco, tale da far risaltare sia i suoi corti capelli neri, sia gli occhi verdi. I baffi e la barba apparivano talmente in ordine, che ero sicura che li avesse spazzolati cento volte. Notai un brillante rosso alla cravatta che somigliava incredibilmente ad un rubino, e lo era, come mi disse poi Ale in privato quando glielo chiesi. La madre di Alessandro si chiamava Agata Bosco. Aveva i suoi stessi occhiali dalla montatura nera ed i capelli ricci e biondi. Era piuttosto bassa ed in carne e doveva avere almeno una quarantina d'anni. Vestiva con un lungo abito di seta verde acqua e scarpe dorate simili alle mie. Sembrava piuttosto affabile per essere il Contabile del gruppo. A qualche posto di distanza da lei, sedeva un uomo sulla sessantina, dai capelli grigi come gli occhi, in smoking azzurro e con una valigia bianca sotto la sedia. Supposi fosse una valigetta del pronto soccorso, il che mi fece temere ancora di più per la serata. Mentre mi si presentava come il Dottore Giovanni Alfieri, mi strinse la mano con la destra, mentre con la sinistra mi tastò il polso. Notò il mio sguardo preoccupato.

<<Tranquilla, è solo la mania di un vecchio.>> ridacchiò lui.

Abbozzai un sorriso, ma non ero per nulla rilassata. Come potevo notare guardandomi intorno, le guardie del corpo erano tutte in smoking nero con piccoli particolari nella camicia o nella cravatta o nel papillon che li distinguevano. Anche i miei "soci" avevano accanto due guardie sedute. Non parlavano e non erano rilassate, come i miei compagni. Alessandro e Pasquale si guardavano intorni, tesi.

<<Cosa succede?>> sussurrai ad Ale, mentre prendevo posto, completando il cerchio.

<<Nulla. Però non vedo il Boss.>> disse lui, sedendosi alla mia destra.

<<Forse vuole solo fare un'entrata ad effetto.>> suggerì Pasquale, prendendo posto alla mia sinistra.

I nostri dubbi furono dissipati poco dopo. Il Boss Martini entrò dalla porta principale, in smoking bianco e costellato da brillanti di vario colore, a contrasto coi radi capelli neri ed i baffi impomatati. Calò il silenzio.

<<Buonasera, amici miei. Sono entusiasta della vostra presenza. Come intrattenimento della serata, avevo prospettato un concerto, ma un inaspettato evento mi ha costretto a cambiare i miei propositi. Abbiamo trovato un intruso.>> .

A quell'annuncio, potei sentire la tensione accumularsi in tutta la sala. Anch'io ero tesa, pur sapendo che non c'entravo nulla. La porta si aprì nuovamente ed entrarono due bodyguard muscolosi, che trasportavano una ragazza giovane, con i capelli legati in una treccia bionda, truccata in modo leggero, magra, il corpo fasciato da uno stretto tubino rosso e scarpe abbinate. Strisciava i piedi e le caviglie per terra, lasciandosi trascinare. Aveva gl'occhi azzurri, stralunati. I tre si fermarono al fianco del Boss.

<<Qualcuno riconosce questa donna?>> domandò il Boss.

Ovviamente, nessuno rispose.

<<La signorina si è introdotta al piano di sopra, nel mio ufficio. Non riesco proprio a sopportare un comportamento così scortese.>> sospirò il Boss, quasi in tono di scuse, portandosi una mano al cuore.

<<Dimmi, cara.>> iniziò lui, girandosi verso la ragazza.

<<Vedi tra queste persone il tuo datore di lavoro?>>.

Lei scosse prontamente la testa, senza neanche guardarci.

<<Bruce.>> mormorò il Boss.

Subito la guardia del corpo cinese, incredibilmente alta, colpì con un pugno il volto della ragazza. Lei gemette per il dolore e chinò ancora di più la testa. Io distolsi il volto e chiusi le mani a pugno, conficcandomi le unghie nelle carni. Non volevo assistere e non volevo essere lì seduta a non fare nulla.

<<Guarda e comprendi.>> mi sussurrò Pasquale, prendendomi una mano ed allentandomi le dita. Mi girai al suono di un altro pugno e strinsi la mano della mi guardia del corpo, senza più pensare che era uno psicopatico, perché in quella sala ero convinta che ci fossero tutti folli.

<<Ora riesci a vedere colui che ti ha ingaggiato, cara?>>.

Lei scosse ancora la testa. Ad un cenno del Boss, i due valletti dell'atrio portarono una sedia che collocarono al centro della pista da ballo. Vi legarono sopra la ragazza. Da dove mi trovavo, potevo vedere distintamente il tremolio delle sue mani. Bruce si piazzò accanto a lei, tenendo vicina una busta che gli aveva portato un valletto. Non mi piaceva per nulla ciò a cui stavo assistendo, e sarebbe andata molto peggio in seguito. La poverette venne presa a pugni, violentemente. Nonostante ciò non gridò, non parlò, non li supplicò di smettere, cosa che io avrei sicuramente fatto dopo aver sputato sangue a terra. Era una scena terribile e straziante, ma non tanto inquietante come guardare gli spettatori che parlavano tra loro e ridacchiavano anche.

<<A quanto pare dovremo tentare metodi meno... cordiali.>> annunciò il Boss, sorridendo.

Nella sua voce riuscivo a percepire il divertimento. Mi venne da vomitare al pensiero che qualcuno potesse classificare una tortura pubblica come intrattenimento. Quando iniziarono a frustare il corpo della ragazza, per poco non urlai io per lei. Il suono dell'implacabile frusta sulla sua carne, che veniva straziata dall'amo posto alla punta, era rivoltante. Iniziai a tremare e a digrignare i denti, trattenendo le lacrime. Odiavo quell'uomo. Solo le braccia di Pasquale che mi cingevano la vita e lo sguardo ammonitore di Alessandro m'impedirono di saltare in piedi per strappare a Bruce la frusta. Il vestito della donna era a brandelli e a malapena copriva le parti importanti.

<<Che ragazza ostinata.>> sorrise il Boss, benevolo.

Bruce posò la frusta e prese un coltello. Trattenni il fiato, quando le infilzò una mano sul bracciolo della sedia. Lei urlò, forte. Sentì anche la mano di Ale, costringermi a rimanere seduta, premendomi sulla spalla. Altrimenti non so cosa avrei potuto fare se mi fossi alzata. Bruce estrasse il coltello insanguinato e lo passò pigramente sulle spalle scoperte della sua vittima, spostandosi alla sua destra. Con una mano le bloccò il polso e sollevò l'altra col coltello, con l'intento di piantarlo nella mano della ragazza, quando questa urlò.

<<Fabri! Lucia Fabri!>> confessò tra lacrime copiose e trucco sciolto.

Ad un tavolo, vicino all'uscita, tutti si alzarono e corsero fuori dalla sala. Sentì urla e spari. Probabilmente non rimase vivo nessuno, ma non vidi mai i corpi. In ultimo, il Boss si avvicinò alla donna sconosciuta e le accarezzò i capelli, come a confortarla.

<<Brava ragazza.>> la lodò, prima di fare un cenno del capo a Bruce.

Quest'ultimo, tirò fuori la pistola dalla tasca della giacca e la puntò al cuore della ragazza. Lo sparo risuonò in tutta la sala. La uccise come fosse la più infima degli animali. La uccise perché voleva farlo, non per difesa, né per provocazione. Uccise tutti loro, uomini e donne con famiglie, parenti, amici, come se le loro vite non valessero nulla.

<<Bene, ora si mangia.>> sorrise il Boss, mentre i valletti trascinavano via il corpo.

Avevano i vestiti macchiati di sangue. Incredibilmente, dopo che il Boss si fu seduto al suo tavolo, entrarono dei camerieri con molti vassoi e deposero i cibi sulle tavole. Avevo ancora un urlo bloccato in gola e tremavo tanto violentemente, con lo sguardo fisso sul piatto pieno di cibo raffinato, che ero certa che se avessi aperto la bocca anche solo di uno spiraglio, avrei iniziato ad urlare, per non smetterla più. Era la prima volta che assistevo ad un omicidio così calmo, controllato. Ed il pensiero che non avrei potuto dirlo a nessuno, che sarei diventata colpevole di omissione, mi faceva venir voglia di scappare. Alessandro mi teneva dolorosamente stretta la mano, cercando di incrociare i miei occhi, mentre Pasquale si limitava ad accarezzarmi la schiena, indugiando più del lecito sulla zona lombare. Disgustoso! pensai, prendendo un profondo respiro dal naso. Nonostante l'odore divino di quei piatti, non avevo fame. Anche il dottore sembrava aver perso l'appetito e si asciugava gl'occhi arrossati.

<<Ancora con questi sentimentalismi, doc? Tu sai che è così che vanno le cose in questo mondo.>> gli disse il Capogruppo Salvati.

<< Che persona sentimentale. Non la conosceva neanche ed era stata lei a fare qualcosa di illecito.>> continuò Agata, mangiando con tutta calma.

<< Sarà questa la storiella che si racconterà stanotte per addormentarsi? Abbiamo assistito ad omicidio e tortura, come fossero eventi di tutti i giorni!>> esclamo, fulminandola con lo sguardo.

<<Non è la prima volta che qualcuno ci lascia le penne davanti a tutti, e non sarà l'ultima, non finché tutti non la smetteranno con le loro manie di grandezza e si adegueranno al loro stato sociale.>>.

<<Quella ragazza non aveva fatto nulla per essere uccisa! Magari stava cercando il bagno ed ha sbagliato porta!>>.

<<Ridicolo. Lei era un'assassina o una spia assoldata da assassini ed è stata uccisa da altri assassini. È così che va. Io vi noto un certo equilibrio.>>.

<<Mamma!>> sbottò Ale, accentuando la stretta sulla mia mano.

Nel suo tono c'era solo rimprovero, come se sua madre avesse svelato ad una bambina che Babbo Natale non esisteva. Nessuna traccia che manifestasse vagamente tristezza, pena o disgusto per le crudeli parole della madre sulla sorte di una povera ragazza nel fiore degli anni. Una donna con forse dei figli, con un fidanzato o un marito che in quel momento la stavano aspettando a casa, dietro una porta che lei non avrebbe mai più potuto aprire e che sarebbe rimasta chiusa. Chissà se le persone che l'amavano avrebbero almeno potuto avere la consolazione di seppellire il suo corpo, di dirgli addio o se l'avrebbero persa per sempre, dietro una bugia. Lacrime represse punsero i miei occhi, non volevo piangere davanti a loro.

<<Vado a cercare un bagno.>> borbottai, alzandomi da tavola.

Sentì lo sguardo dei presenti seguirmi, curiosi. Io camminavo da sola, a testa bassa, anticipando le mie due guardie del corpo, che mi seguivano.

<<Dove desidera andare, signorina?>> mi apostrofò uno dei valletti all'ingresso.

<<In bagno.>> gli risposi, stringendomi nelle spalle.

<< Dietro le scale a destra.>> disse lui, indicandomi una porta semi nascosta.

M'infilai nel bagno e, con mia sorpresa, Alessandro e Pasquale mi seguirono nell'anticamera azzurra e bianca con un grande specchio ed un lavandino.

<<Posso stare da sola per cinque minuti?>> urlai, girandomi verso di loro.

<<No>> rispose Pasquale, mentre Alessandro apparve imbarazzato.

Sbuffai ed uscì dal bagno, avendo cura di prendere la chiave dalla porta, mi girai e li chiusi dentro.

<<Ehi!>> urlò Pasquale.

I due iniziarono a picchiare al battente, ma io mi ci appoggiai contro. Avevo bisogno di stare da sola per almeno qualche secondo. I ragazzi continuavano a bussare e a chiedermi di farli uscire. Pasquale arrivò perfino a minacciarmi. Smisi di ascoltarli, di prestare attenzione a ciò che mi circondava. Presi dei respiri profondi e cercai di rilassarmi e di meditare. Seppur in quella scomoda posizione, riuscì a calmare le urla che sentivo stavano per farmi esplodere la testa ed a calmare il battito irregolare del mio cuore. Per pochi minuti, dimenticai ciò a cui avevo assistito, dimenticai di cosa facevo parte e dov'ero e m'immaginai a casa, con mio padre, seduti a tavola a giocare a carte. Quello era il mio desiderio più grande in quel momento, tornare alla vita banale e noiosa che avevo prima. Senza dolore, sangue, morte. Presi un ultimo respiro, mi schiarì la gola ed aprì la porta.

<<Ti ammazzo, stronza!>> urlò Pasquale, cercando di saltarmi addosso.

Fortunatamente Alessandro lo afferrò alla vita, bloccandolo. Nello stato mentale in cui mi trovavo, non mi sarei neanche difesa.

<<Torniamo in sala.>> mormorai, avviandomi.

Sentì la voce alterata di Pasquale che protestava, ma non mi curai di ascoltarlo. Mi sentivo passiva. Incorporea. Come se quegli eventi traumatici fossero stati solo un film e non la mia vita.

Tornata a tavola, evitai di ricambiare le occhiate di ammonimento dei miei compagni e riuscì a mangiare qualcosa, sebbene non vi abbia prestato particolare attenzione.

<<Signori e signore, si aprano le danze.>> annunciò ancora l'odioso Boss Martini.

In un angolo prima vuoto, si era sistemata una banda comprendente un pianoforte e vari musicisti con strumenti come tromba, sassofono, flauto, chitarra, basso e perfino un'arpa. La banda iniziò a suonare dei motivi lenti e vidi alcune coppie alzarsi per ballare. Tra di loro spiccava il Boss per il suo abito scintillante. Non aveva una dama fissa e si accostava prima all'una e poi all'altra, prendendole "in prestito" dai rispettivi compagni. Aveva riassunto la faccia impassibile e annoiata della prima volta che l'avevo incontrato.

<<A quanto pare si diverte solo quando c'è da uccidere.>> commentai rivolta più che altro a me stessa.

<<Già.>> sorrise Pasquale.

Sembrava aver riacquistato una carta parvenza di calma. Anche il Capogruppo e la madre di Alessandro si alzarono e si diressero a centro pista.

<<Come mai il Capogruppo non ha portato sua moglie?>> domandai, infastidita dal fatto che quei due ballassero così vicini.

<<Non è consigliato portare la propria famiglia a queste feste. Come hai visto, possono accadere cose spiacevoli. Salvati ha preferito non portare neanche Marco, sebbene lui faccia parte dell'organizzazione. Naturalmente il motivo principale per cui la madre di Marco non è qui è perché è malata, come saprai.>> si strinse nelle spalle Ale.

<<Malata? Marco non me l'ha detto.>> mormorai, sorpresa.

<<Ah, pensavo di si.>>.

<<Cos'ha?>>.

<< È in coma.>> annunciò Pasquale, come se nulla fosse.

<< O mio dio! Da quanto tempo?>>.

<< Da sei anni.>>.

<<Quanti anni aveva Marco?>>.

<<Circa ventidue, se non ricordo male.>>.

<< È terribile.>> mormorai.

<< Già. Credo che la mancanza della madre, il pensiero del padre biologico ucciso ed il rimpiazzo creato dal Capogruppo Salvati, lo abbiano molto indurito. Prima non era così... pragmatico.>> commentò Ale, malinconicamente.

Stavo per ribattere qualcosa, ma un uomo mi porse la mano. Alzai lo sguardo per dirgli che non volevo ballare, ma mi accorsi che era il Boss a chiedermelo.

<<Mi concede un ballo?>> disse, inarcando un sopracciglio.

Stavo per dirgli dove mettersi la sua richiesta e quella festa in generale, ma un pizzicotto sotto il braccio, mi fece recuperare il buon senso. Tuttavia, non sapevo e non volevo ballare, specie con lui.

<<Non ti puoi rifiutare.>> mi sussurrò Ale a denti stretti.

Cercando di non apparire petulante, mi alzai e presi quella mano dalle unghie curate. Il Boss mi portò al centro della pista da ballo e mi fece girare una volta, poi due. Feci del mio meglio per lasciarmi condurre come voleva, ma quando l'orchestra iniziò a suonare un lento e lui mi cinse la vita, premendosi contro di me, m'irrigidì.

<<Calma, sciogliti un po'.>> disse lui.

Potevo sentire la sua risatina soffocata che partiva dal petto, contro il mio orecchio.

<<Allora c'è qualcos'altro che la diverte oltre alla tortura.>> sussurrai, alzando lo sguardo.

Ricominciammo a girare in tondo.

<<Molte cose mi affascinano e divertono. Alcune pratiche diventano l'unico svago, dopo qualche anno di questo lavoro. O trovi il lato divertente, o impazzisci.>>.

<<Io trovo che divertirsi a spese di qualcuno che soffre e muore sia da pazzi.>> ribadì, fissandolo negli occhi.

Non si era neanche arrabbiato.

<<Io trovo invece che sia una splendida forma di difesa mentale. Fa che ti piaccia seminare paura ed imporre l'ordine e diventerà più facile farlo.>>.

<<Non deve essere per forza un "grosso lupo cattivo" per farsi rispettare.>>.

<<Si, invece. Tu sai come si diventa Boss di un territorio?>>.

<<No.>>.

Alessandro non mi aveva informata né io mi ero interessata.

<< Ho dovuto uccidere a mani nude il Boss precedente. L'ho strangolato con queste mani.>> sorrise lui, come fosse il suo più bel ricordo.

Rimasi senza parole.

<< Credi che tutta questa gente qui riunita sia un gregge pieno di innocue pecorelle bianche?>> continuò lui << Credi che i tuoi sottoposti lo siano? E tu magari vuoi essere il buon pastore? Non è così. Quest'organizzazione è composta da branchi di lupi. Se il capo si mostra debole, permissivo o ferito, o se fa intravedere la sua umanità da una breccia nella maschera, il branco se ne approfitterà, uccidendolo e rimpiazzandolo con qualcuno di ancora più grosso e cattivo. È la natura umana. Noi seguiamo i forti, non i deboli.>>.

<<Quindi, si comporta da pazzo per incutere paura nei suoi sottoposti, cosicché nessuno provi ad ucciderla?>>.

<<Forse, o forse sono davvero uno psicopatico sadomaso che si diverte nel vedere le persone soffrire.>>.

<<Anche chi si dimostra gentile può essere forte, con l'astuzia e l'intelligenza.>> precisai.

<<Già, ma visto che non sono le mie doti migliori, sono costretto ad usare la forza e la spietatezza, che mai hanno fallito con chicchessia o in qualunque epoca.>> concluse pacatamente il Boss.

Mi lasciò andare, fece un breve inchino e se ne andò. Io rimasi immobile al centro della pista da ballo, tra coppie che volteggiavano e ridevano. Mi sentì smarrita. Per fortuna, Alessandro mi prese per mano e mi fece danzare fino al mio posto.

<<Voglio andare a casa.>> mormorai, chiudendo gli occhi.

<<Come? Ti fai un giro con tutti e non con me? Mi fai sentire trascurato!>> mi prese in giro Pasquale.

Non meritava risposta. Dopo qualche altro brano, l'orchestra mise via gli strumenti e fu la volta dei dolci, accompagnati da una cantante lirica.

<<Se tutto ciò è solo per un onomastico, stento ad immaginarmi cosa organizzerà per il suo compleanno.>> sbuffai, prendendo il polso di Alessandro per guardare l'ora sul suo orologio.

Era l'una del mattino ed avevo lezione tra sette ore circa.

<<Mi dai il cellulare?>> domandai ad Ale.

Aveva lui il mio, dato che quel vestito non prevedeva certo delle tasche. Preoccupata, notai undici chiamate senza risposta. Mi affrettai ad uscire fuori dalla stanza, sul bordo piscina, dove chiacchieravano alcune persone tra una sigaretta e l'altra, sempre accompagnata dai miei bodyguard. A quanto avevo potuto sentire, la serata era dedicata anche all'organizzazione di alcuni scambi commerciali. Chiamai papà, raccontandogli che la musica della festa di compleanno di Francesca ( scusa ufficiale) era così alta da non lasciarmi sentire la suoneria del telefono. Dopo una sfuriata iniziale, si dimostrò molto comprensivo. Sapevo che era molto felice delle mie presunte amicizie. Mi credeva una ragazza popolare. Il pensiero di tutte le frottole che gli raccontavo e della realtà che gli celavo, mi faceva star male. Però sapevo che era molto meglio così. Lui avrebbe dovuto rimanere sempre fuori da quella vicenda. Non avrei mai permesso a nessuno di fargli del male. Per fortuna, alle due, il Boss Martini dichiarò conclusa la serata. Ci congedammo a turno con una stretta di mano, recuperammo i cappotti ed uscimmo. Salutammo formalmente anche gli altri membri del gruppo e salimmo alla limousine.

<<Oggi, dopo pranzo.>> dissi ad Alessandro.

Lui mi capì. Naturalmente quella frase voleva riassumere che nel pomeriggio saremmo andati a Napoli per informarci sul Capogruppo Marcelli e su quando sarebbe arrivato il Leader. Quel giorno era il primo Dicembre.

<<Solo noi due?>>.

<<Si.>>.

Non volevo zavorre.

<< Per fare cosa? Dove andate?>> chiese Pasquale, passando lo sguardo dall'uno all'altro, senza ricevere alcun chiarimento.

<<Fate come vi pare, tanto la vita è vostra!>> sbottò infine, mettendo il broncio ed incrociando le braccia al petto.

Tra qualche ora, sarei finalmente entrata in azione, dopo tanta inattività, e, con un po' di fortuna, sarebbe finito tutto alla svelta.

Per la prima volta evitai la corsa mattutina prima di andare all'università.

<<Non ti starai impigrendo, tra amici, feste e cibo?>> scherzò papà, mentre mi baciava una guancia.

<<Non ti preoccupare. I miei amici sono più attivi di ciò che appare.>> sorrisi, malinconicamente, mentre bevevo del caldo caffelatte.

<<Buon per te, cara. Ci vediamo stasera.>> mi salutò, uscendo.

Il senso di colpa era come una tenaglia alo stomaco. Quanto avrei voluto raccontargli tutto e singhiozzare tra le sue braccia sia per l'assassinio, sia per come avevo dormito. Ero crollata in un vortice oscuro, privo di luce e sogni ed avevo riposato benissimo. Nessun incubo nonostante le mie aspettative. La mia quasi totale dimenticanza della sera trascorsa e di ciò che avevo visto, mi aveva spaventato oltre ogni limite. Alessandro suonò il clacson nel mio giardino, una seccante abitudine che aveva preso. Mi lavai i denti e recuperai una borsa con un vestito di ricambio, se i miei si fossero sporcati o strappati per qualche motivo, e delle armi con gli opportuni foderi. Indossavo un legings aderente, stivali ed una felpa grigia lunga fino alle ginocchia, da sotto al cappotto nero. Non mi dispiaceva per niente aver abbandonato quell'elegante vestito ed i suoi accessori alla villa. Avrei tanto voluto lasciare in quel posto anche la mia doppia vita, ed essere solo una studentessa universitaria. Invece mi toccava assistere ad una lezione di fisica di cui sicuramente non avrei capito nulla e poi partire alla volta di Napoli. Uscì, pronta a tutto, o alla maggior parte degli eventi possibili. La lezione si rivelò noiosa ed inconcludente, esattamente come avevo previsto. Dopo, io e Ale c'incontrammo al parcheggio. Sfortunatamente, lui portò con se degli ospiti indesiderati.

<<Marco, Pasquale. Cosa ci fate qui?>> li salutai, fulminando Ale con uno sguardo.

<< Pensavo di averli seminati, ma l'istituto è troppo piccolo.>> si strinse nelle spalle Alessandro.

<<Dove state andando?>> domandò Marco.

<<Non sono fottuti affaracci tuoi.>> risposi.

<<Si che lo sono. Voi volete andare in un altro territorio! Un territorio controllato da un altro Capogruppo!>>.

<<E allora?>>.

<<Allora, non potete invadere il dominio del Capogruppo Claudia Marcelli senza invito o richiesta scritta.>>.

<< Non stiamo invadendo alcun territorio. Andiamo solo a fare un giretto. Come semplici turisti.>> ribadì Ale, aprendo la portiera dell'auto per farmi salire.

<< Se vi troverà, vi farà a pezzi.>> sentenziò Marco.

<<Allora, cosa aspettiamo?>> rise euforico Pasquale, salendo al posto di dietro dell'auto.

<<Ah, no! Tu non vieni!>> esclamai, salendo a mia volta.

Lui si appoggiò al mio sedile e avvicinò le labbra alla mia guancia.

<<Si che vengo. Se le cose si metteranno male, sarò io a darti il colpo di grazia che ti risparmierà dalla tortura.>> mi sussurrò, scoccandomi un bacio sulla guancia, per poi tirarsi indietro prima che riuscissi a schiaffeggiarlo come si vede.

<<Portatevelo. Vi sarà utile. Io intanto cercherò di mantenere le apparenze.>> sospirò Marco.

Ale annuì e gli strinse la mano. Salì in auto e partimmo.

<<Di sicuro tremeranno nel vederci arrivare! Un secchione, una troietta ed uno psicopatico! Saremo una grande squadra.>> ridacchiò Pasquale, stravaccandosi sul sedile.

Appena partiti, avevo già voglia di lanciarmi fuori dall'auto, pur di evitare le battute di Pasquale.

Il viaggio fu lungo, tremendamente lungo.

<<È la prima volta che vado a Napoli.>> commentai, pensierosa.

<<Io ci sono stato tantissime volte.>> si strinse nelle spalle Pasquale.

<<Com'è la città?>>.

<<Caotica, ma affascinante. Conosci il mito sulle sue origini?>> mi domandò Alessandro.

<<No. Racconta.>>.

<<Si narra che secondo gli antichi storici greci e romani, la sua nascita si collega alla leggenda della semidea marina, Parthenope, che si lasciò morire per non essere riuscita, ad ammaliare Ulisse col suo canto.>>.

<<Quindi è nata da una... sirena? Un'ammaliatrice?>>.

<<Già, forse per questo il suo mare era talmente limpido che non si riusciva a distinguere dal cielo.>> rincarò Pasquale.

<<Era?>>.

<<Beh, sai com'è... troppi bagni, troppe discariche, troppo inquinamento...>>.

<<Capisco.>> annuì.

<<Io a Napoli sono andato a vedere un paio di commedie di Eduardo De Filippo. Grande artista.>>.

<<Napoli è un esempio di positività della nostra organizzazione.>> mormorò Alessandro, pensosamente.

<<Cioè?>>.

<<Prima che noi arrivassimo a stabilire l'ordine, c'erano tantissimi borseggiatori e rapine, specie ai turisti, stesso alla stazione. Seppur il motto di Napoli e del Sud in generale è quello di sorridere sempre, soprattutto nelle avversità, la città stava andando in malora. Noi gli abbiamo dato una certa organizzazione.>>.

<<Avete offerto un lavoro ben pagato ai piccoli truffatori?>>.

<<Ad alcuni si, ad altri no. Sebbene il numero sia importante per noi, non potevamo concentrare una folla di criminali eccessiva a Napoli. L'equilibrio tra le altre città si sarebbe sgretolato.>>.

<<Puoi toglierli?>> mi chiese Pasquale.

<<Cosa?>>.

<<Gli occhiali.>>.

<<Perché dovrei?>>.

<<In questo mondo bellezza e potere sono tutto. I tuoi occhi sono belli. Non nascondere i tuoi punti di forza.>>.

Arrossì per il complimento e li riposi in uno scomparto della macchina. D'altro canto, se fossimo arrivati alla violenza, sarebbero potuti diventare un intralcio.

Mi contorsi per legare un porta pugnali alla coscia sinistra e ne nascosi un altro nello stivale. Mentre mi allacciavo la cintura con due fondine ai fianchi, notai irritata lo sguardo di Pasquale, divertito.

<< Tanta attrezzatura ti rallenterà i movimenti.>> mi fece notare lui, scuotendo la testa.

<<Se sei forte, non serve correre.>> sentenziai.

<<C'è sempre qualcuno più forte da cui scappare. Levati almeno la fascia alla coscia. Sicuramente ti cadrà al primo passo.>>.

<< Non preoccuparti, è ben stretta.>>.

<<Non mi preoccupo per te, ma per me.>>.

<<In che modo la mia lentezza potrebbe essere invalidante per la tua fuga?>>.

<< Io ed Ale siamo tue guardie del corpo. Non potremmo far vedere la nostra faccia in giro neanche tra un milione di anni, se ti lasciassimo morire. >>.

<<Non siete responsabili della mia vita!>> esclamai.

<<Ovvio che lo siamo. Altrimenti che guardie saremmo? Quale sarebbe il nostro scopo?>>.

<<Io non ho mai chiesto guardie del corpo!>> sbottai, esasperata.

Una cosa era mettere in gioco la mia vita, un'altra farla rischiare ad un amico e ad un ragazzo a cui non stavo nemmeno simpatica.

<< Regole, regole, regole.>> canticchiò Pasquale.

<<Queste regole fanno schifo.>>.

Vista che la situazione mi era più chiara, nascosi un secondo pugnale nell'altro stivale.

<<Vuoi farci ammazzare per proteggerti e svignartela? È questo il tuo piano?>> domandò Pasquale, irritandosi.

<<Non mi è mai passato per la mente. No. Desidero essere solo ben attrezzata. Non mi ero resa conto di alcune clausole del gioco.>>.

<<Cioè?>>.

<<Se voi proteggerete me, io proteggerò voi. Torneremo a casa tutti e tre insieme, o nessuno a quanto pare.>> mormorai, prendendo dal fianco destro una pistola semiautomatica FN Five-seveN e badando che fosse carica.

Inserì la sicura e la riposi nella fodera. Feci lo stesso con la semi-automatica Desert Eagle di sinistra. Poi aggiunsi qualche altra munizione alle tasche apposite della cintura ed una piccola torcia. Mi sentivo pronta ad ogni evenienza. Tutto sarebbe andato bene, doveva andare bene. Presto sarei stata libera o morta. Forse sarebbero andate bene tutte e due le ipotesi in quel momento, tanto la morte è pur sempre una forma di libertà. Oltrepassammo l'imbocco dell'uscita dell'autostrada di Napoli.

<<Hai passato l'uscita.>> feci notare ad Ale.

<<Non stiamo andando a Napoli.>>

<<Ah no?>>.

<<No. Le basi principali delle nostre organizzazioni sono sempre nei pressi delle città maggiori, ma mai al loro interno. Troppa confusione. Inoltre la polizia dei paesini, essendo conscia della propria inferiorità numerica, tende ad essere maggiormente malleabile, il più delle volte.>>.

<<La polizia ha creato problemi a Napoli?>>:

<<Oh, si. Parecchi, soprattutto all'inizio. Per fortuna sono pochissimi i ribelli rimasti in tutta Italia e non credo che si nascondano a Napoli.>> rispose Pasquale.

<<Peccato.>> commentai.

<<Volevi forse unirti ad una fazione rivoluzionaria per sovvertire l'ordine faticosamente imposto?>>.

<<Eh?>>.

<<Vuoi combattere contro la nostra organizzazione? Credevo volessi solo uscirne.>>.

<<Voglio uscirne e ne uscirò, presto. Però mio padre mi ha insegnato ad avere sempre un piano b. e magari uno c. >>.

<<Sei preoccupata?>>.

<<Si.>>.

<<Spaventata?>>.

<<Anche.>>.

<<Ti facevo più dura.>> commentò lui, appoggiandosi al mio schienale.

<<Sbagliavi.>>.

<<No, sei tu che sbagli ora. Dici che hai paura, ma non tremi, né ti tiri indietro.>>.

<<Ho paura e sono preoccupata per l'esito di questa nostra scampagnata, ma ho anche timore di una vita come vostro Capitano. Ho paura di restare intrappolata per sempre nella vostra tela da ragno. Questo è il mio peggior scenario.>>.

La risposta sembrò soddisfarlo.

Arrivammo alla cittadella verso le quindici e ci dirigemmo ad un palazzo nel pieno centro. C'era un parcheggio sotterraneo a pagamento, dove sostammo con la macchina. Spento il rumore del motore, riuscì a percepire l'atmosfera tanto silenziosa quanto opprimente.

<<Allora? Che si fa?>>. domandò Pasquale.

<<Direi di chiedere udienza direttamente al Capogruppo della città, senza nasconderci.>> proposi.

<<Si, l'avevo pensato anch'io.>> approvò Alessandro.

<< Il suo appartamento è in questo palazzo?>>.

<<Anche. Più precisamente questo palazzo è suo.>>.

<<Tutti e sei i piani?>>.

<<Si. Loro hanno preferito riservare piani interi al divertimento, anziché stanze. Hanno sicuramente una clientela più numerosa, stando vicino a Napoli.>>.

<<Quindi questo palazzo è l'equivalente della Villa?>>.

<<Esattamente.>>.

<<Grande. Allora gli uffici saranno al piano superiore. Non ci resta che salire.>> affermai, aprendo la portiera.

<<Ferma! Non possiamo fare ciò che ci pare quando vogliamo. Non è il nostro territorio questo.>>.

<< Cosa prevede l'etichetta?>> sbuffai.

<<Ragazzi? Che ne dite di telefonare?>> intervenne Pasquale.

<<Giusto, telefoniamo.>> disse Ale, digitando qualche numero sul suo cellulare.

Poi me lo passò.

<<Tieni.>>.

<<Come? Cosa devo dire?>> balbettai, prendendo il telefono ed appoggiandolo all'orecchio.

<<Presentati e chiedi un incontro, possibilmente per oggi.>>.

Aveva appena finito di parlare, che qualcuno rispose al telefono.

<< Pronto?>> disse una voce femminile.

<<Pronto. Si. Salve. Sono Samantha Carrara.>>.

<<So chi sei. Ti ho appena vista sui monitor collegati alle telecamere del parcheggio. Sono il Capogruppo locale, mentre lei è uno dei Capitani delle Guardie del Capogruppo Domenico Salvati, sottoposto dell'esimio Boss di tutti noi, Andrea Martini. Sa, l'ho notata alla festa. Il suo vestito era davvero bello.>>.

<<Grazie mille.>> risposi, imbarazzata.

<<Il motivo della vostra scortese presenza?>>.

<<Ecco... la storia è lunga. Sarebbe piacevole parlarne faccia a faccia.>> esitai.

Seguì qualche minuto di silenzio.

<<Va bene.>> acconsentì lei, infine.

<< Grazie.>>.

<<Aspettate in macchina. Manderò qualcuno a scortarvi nel mio ufficio.>>.

Chiuse la chiamata.

<<Allora?>> m'incalzò Pasquale.

<<Dobbiamo aspettare in macchina. Manderà qualcuno a prenderci.>> mi strinsi nelle spalle.

Una donna piccola, grassoccia, dai capelli verde acceso e molto corti, gli occhi scuri e una quantità non indifferente di piercing sul viso, ci venne a prendere, accompagnata da due muscolose guardie del corpo.

<<Scendete.>> c'ingiunse, senza neanche presentarsi.

Ubbidimmo.

<<Dobbiamo perquisire l'auto.>> annunciò, prima che i suoi uomini si dessero da fare.

Ovviamente non trovarono nulla, dato che tutte le armi e le cose importanti erano addosso a noi o negli zainetti che avevamo in spalla.

<<Non è compito mio, perquisirvi. Eppure, vi sarei grata se lasciaste eventuali armi in auto.>>:

<<Con tutto il dovuto rispetto, no.>> replicai, pacatamente.

<<Peccato. Comunque non vi assicuro che tutte le armi che vi porteremo via saranno restituite.>>.

Girò sui tacchi e ci fece strada verso un ascensore. Le guardie ci seguirono. Salimmo silenziosamente all'ultimo piano del palazzo. E fummo introdotti in un salone dalle poltrone grigie, una scrivania moderna e pareti bianche con pochi quadri astratti. Fummo lasciati soli nella stanza e chiusi a chiave. Ci sedemmo, scambiandoci occhiate preoccupate di tanto in tanto. Sapevamo che ci stavano osservando ed ascoltando. Passarono più di trenta minuti di snervante attesa, prima che qualcuno ci accogliesse. Una donna entrò baldanzosamente dalla porta, indossando tacchi neri vertiginosi, un completo giacca pantalone color antracite ed i capelli biondo tinto erano lunghi, lisci e sciolti e facevano apparire le labbra rosse grandi e piene e gli zigomi fin troppo sporgenti rispetto agli occhi azzurri. Alle unghie aveva smalto rosa chiaro. Ci alzammo, mentre ci veniva incontro, accompagnata da quattro guardie.

<< Siete i benvenuti. Io sono Claudia Marcelli.>> affermò lei, con la voce profonda che avevo sentito al telefono.

<< È un piacere conoscerla.>> mormorai io, stringendola.

Lei sorrise ed aggirò la scrivania per sedersi al suo posto. Due bodyguard presero posto dietro di lei, altre due rimasero alla porta, alle nostre spalle. Immaginavo che ci fossero altre guardie nel corridoio.

<< Sono sorpresa dalla vostra presenza.>>.

<< Mi scuso per la mia maleducazione, ma abbiamo cercato di agire con quanta più discrezione possibile, dimentichi delle buone maniere.>>.

<<Fa nulla. Piuttosto, in cosa posso esservi utile? Tra soci ci si deve aiutare.>>.

<<Apprezzo la sua disponibilità. Siamo venuti qui per confermare una notizia. Lei sa se il Leader ha in programma di visitare la Provincia?>> chiesi, direttamente.

<<Forse si, forse no. Il motivo di questa richiesta?>>.

<<Desidererei parlare con lui.>>.

<< Sono in pochi ad avere il coraggio di contattarlo.>>.

<<Io spero di trovarlo e di riuscire a parlargli.>>.

<< Non mi costerebbe nulla darle l'informazione che cerca, però...>>.

<<Però?>>.

<<Ho sentito tanto parlare delle sue capacità.>> sorrise lei.

<< Sicuramente le mie capacità non sono degne di fama.>>.

<<Al contrario. Lei ha eliminato dieci persone, tutta da sola ed in un giorno.>>.

<<Non ho eliminato nessuno. Le ho solo stordite.>> precisai.

<<Stessa cosa.>>.

<<Quindi... vuole qualcosa in cambio dell'informazione?>> chiesi, avendo capito il suo discorso.

<<Si. Voglio metterla alla prova. Detto da donna a donna: è difficile fare carriera in questa organizzazione e voglio proprio scoprire quanto lei possa essere in gamba.>>.

<<In cosa consisterebbe questa prova?>> domandai, irrigidendomi.

<<Non si preoccupi, non la farò combattere a mani nude contro i miei uomini. Desidererei invece sottoporla ad un piccolo test per dimostrare la sua conoscenza con le armi.>>.

<<Come mai?>>.

<<Perché non ha sparato praticamente a nessuno. Credo alle sue abilità nel corpo a corpo, ma non sono importanti solo quelle. Lei si sottoponga alla prova, e indipendentemente dall'esito, le darò la risposta che desidera.>>.

<< A cosa le servirebbe conoscere le mie abilità nell'utilizzo delle armi?>>.

<<Conosci il tuo nemico...>> sorrise lei, appoggiandosi allo schienale della poltrona.

<<Non ha detto che siamo soci?>>.

<<Si, lo siamo, per il momento.>> annuì lei.

Dopo un momento di indecisione, decisi di acconsentire a sottopormi al test, anche se avevo la netta sensazione che lei non stesse certo aspettando la mia disponibilità.

<<Ottimo. Seguimi.>>.

<<Lo facciamo ora?>>.

<<Perché aspettare?!>> ridacchiò lei, alzandosi in piedi e dandoci le spalle nel dirigerci all'uscita.

Guardai Alessandro, interrogativamente, ma lui si strinse nelle spalle. Seppur tesi, la seguimmo fono ad un piano interrato, attrezzato come un poligono di tiro. Sebbene ci fosse spazio per venti tiratori, era vuoto. Al centro della sala c'era un tavolo con delle sedie. Alcune guardie prepararono diverse armi nere e grigie smontate e ne mischiarono i pezzi. Cominciavo a sospettare quale sarebbe stata la richiesta.

<<Ciò che desidero è che tu rimonti un'arma, la carichi e spari contro il bersaglio.>> sorrise Claudia.

Non sembrava difficilissimo.

<<Più armi monterai, meno male si faranno le tue guardie.>> aggiunse lei.

Sentì l'urlo di Pasquale e mi girai. I miei amici erano in ginocchio, con un coltello puntato alla gola.

<<Cosa? Perché fai questo?>> urlai, pronta a tirare fuori la mia pistola.

<<Se sfoderi qualche arma, loro moriranno.>> affermò lei, facendo scomparire il sorriso come se non fosse mai esistito.

Il Capogruppo era un serpente, viscido e spietato in un involucro attraente. Allontanai le mani dalla fondina destra. E le alzai, per mostrare che non ero armata.

<<Molto bene. Allora, se non ti dispiace, ti disarmeremo.>>.

Una guardia mi bloccò i polsi, mentre l'altra mi tastò ovunque. Trovò tutto e li posò sul tavolo. A quanto pareva, erano molto preparati.

<<Perché hai preso degli ostaggi?>> le chiesi, irata.

<<Per rendere le cose più divertenti e metterti un po' di pressione, ovviamente. Ogni volta che la tua pallottola non bucherà il centro della sagoma, i miei uomini tagliuzzeranno leggermente uno dei tuoi. Non ti preoccupare, nulla di definitivo. Solo feritine.>> ridacchiò lei.

<< Mi darai davvero le informazioni che ti ho chiesto? O sto affrontando un test per preservare la mia vita e quella dei miei amici?>>.

<<Te l'ho promesso. Inoltre dovrei pagare una tassa ingente nell'uccidere un Capitano delle Guardie, anche se è stato così scortese da non avvisarmi del suo arrivo. Nulla, però, mi vieta di divertirmi un po' con voi.>>.

<<Bene. Allora, quando si comincia?>> domandai, schioccandomi le dita.

Il mio essere spavalda era studiato per nascondere il timore e l'ansia che provavo in realtà. Non le avrei dato anche la soddisfazione di mostrarmi debole.

<<Ora.>> ringhiò lei, e le sagome furono apposte ad ogni cubicolo.

Mi avvicinai al tavolo delle armi. Passai lo sguardo su ogni canna, grilletto, cassa, calcio. La prima arma che riuscì a rassembrare, fu una Type Berretta 85. Mi porsero il proiettile. Incamerai, puntai, feci fuoco. Centro pieno. Mi applaudirono, sommessamente. Iniziai a prenderci la mano e a riuscire a montare cinque pistole e a centrare in pieno il bersaglio, prima dell'errore alla sesta arma. Era una mitraglietta. Non la sapevo usare bene. Il rinculo ed il grilletto sensibile mi fecero sbagliare mira.

<<Ahi, ahi.>> ridacchiò Claudia.

Sentì un mugolio di dolore provenire da Alessandro. Mi girai a guardare. Il mio amico aveva un lungo taglio sanguinante che partiva dallo zigomo e terminava al mento.

<<Bastarda!>> sussurrai, tremante di rabbia.

<<Anziché perdere tempo, concentrati di più.>> mi esortò lei, accavallando le gambe.

Riuscì a montare tutte e venti le armi, tra mitragliette, pistole e fucili. Ogni volta che stavo per sparare, m'immaginavo il volto di Claudia o del Boss Martini al posto della sagoma di cartone. Nonostante ciò, l'ansia mi fece sbagliare altre tre volte, provocando un taglio sul braccio ed uno sul petto a Pasquale. Alla ferita di Ale se ne aggiunse una sull'altra guancia. Ogni volta che sentivo uno dei miei amici ansimare, la tentazione di rivolgere l'arma contro Luciana era quasi irrefrenabile. Se solo non fossi stata più che certa che alla sua morte sarebbe seguita la nostra, l'avrei fatto.

<<Allora?>> chiesi, quando terminai la prova.

<<Sei stata davvero brava e ci hai messo appena un'ora per assemblare e sparare con venti armi.>>.

<<Grazie.>>.

<<Figurati. Allora, vuoi sapere del Leader?>>.

<<Prima desidero che liberi i miei amici.>>.

<<Così sia, tanto non sono certo una minaccia.>> sorrise lei, facendo appena un cenno con la mano.

Corsi accanto a loro mentre si alzavano.

<<Come vi sentite?>> sussurrai loro.

<<Tranquilla.>> mi rispose Ale.

<<Parla per te! Mi devi una maglia nuova.>> replicò Pasquale.

Sospirai di sollievo e strinsi le spalle ad ognuno di loro. Sanguinavano ancora, ma non erano ferite gravi. Ce ne saremmo occupati in seguito. Mi girai a fronteggiare il Capogruppo.

<< Le sarei molto grata se mi dicesse quando arriverà il Leader e dove trovarlo.>>.

<<Lo farò, perché ti sei dimostrata all'altezza di questo distretto.>> ridacchiò lei.

Continuò a ridere.

<<Cosa c'è di tanto divertente?>> domandai, provando a non sembrare scortese.

<<Oh, questa ti piacerà! Sei in ritardo!>> rise ancora.

<<In che senso?>>.

<<Sei in ritardo!>>.

<< Ho sentito! Spiegati!>> urlai, arrabbiata.

<<Il Leader era qui due settimane fa. Se ne è andato.>> affermò lei.

La testa incominciò a girarmi e dovetti sforzarmi per non urlare e saltarle addosso per strozzarla con le mie mani per avermi fatto perdere tempo, sangue e sudore. Non ero così irata da molto tempo.

<<Ma...ma non doveva venire a Dicembre?>> balbettai.

<<Il Leader può fare tutto ciò che vuole, incluso anticipare la sua partenza.>> si strinse nelle spalle lei.

<<Pasquale! Alessandro! Andiamo via. Lei non ci serve a nulla!>> sbottai, iniziando a riprendere le mie armi rimaste sul tavolo.

Stavamo per andarcene, quando Claudia mi richiamò.

<<Aspetta! Non sai dove trovarlo.>>:

<<Perché tu si?>>.

<<Si. Alcune delle sue guardie sono alquanto loquaci dopo un bicchierino o due. Le ho sentite mentre dicevano che si sarebbero recati presso Palermo. Se ti sbrighi, magari riesci a raggiungerli.>> mi sorrise lei.

<<Grazie. Ecco... se non è troppo disturbo... potresti dirmi anche il nome del Leader o almeno darmi una foto?>> tentennai.

<<No!>> sbuffò lei, girandosi e dandomi le spalle.

<<Grazie lo stesso.>> sospirai, consapevole che non avrei avuto altra risposta e me ne andai, seguita dalle mie guardie sane e salve, sebbene sanguinanti.

Nota dell'autrice

Vi è piaciuta la festa? Adoro i party di classe e mi è sembrato divertente aggiungere questo intermezzo ed approfittarne per delineare altre caratteristiche dell'organizzazione. Eccoci al nostro primo viaggio: Napoli. Ho ritenuto opportuno parlare delle sue origini mitologiche, dato che è stato uno degli argomenti di un mio esame xD Troppo crudele la prova? Spero di no e comunque meglio se vi abituate. Questa storia sta per diventare... cruenta... Muhahahah (risata ancora più cattiva. ) xP


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top