9. "Non ci ho visto più"

"Get it right", Glee Cast

Tyler's pov

"Mi fai male", sussurro mentre mi passa un cotton fiok sul labbro.
Questa sua proposta di medicarmi mi ha colto davvero alla sprovvista. Due ore fa pensavo che mi odiasse e adesso si sta prendendo cura di me.
Averla di nuovo qui accanto me mi fa stare tranquillo, perché so che sta bene.
Ma so anche che durerà poco.
Domani ritornerà a odiarmi.
Ma sarà domani, non ora.

"Davvero? Scusa", dice diventando tutta rossa. Non riuscirebbe a procurarmi neanche un graffio, eppure si preoccupa di farmi male.

"Sto scherzando, nocciolina.
Volevo solo che mi guardassi", dico sorridendole, e vedo che anche a lei spunta un sorriso.
Dio, è così bello vederla sorridere qui,davanti a me, dopo mesi in cui non c'è stata.
In cui non c'è stata per colpa mia.

"Io ti guardo", sussurra piano scrutando i miei occhi.

Mi è sempre piaciuta questa sua paura di guardarmi negli occhi, anche se non so da cosa deriva.
Forse ha paura che possa leggerla.

Che possa capire da un suo sguardo cosa prova, come si sente.
Ma tanto lo capisco comunque.

Se non dagli occhi, lo capisco da come si comporta, da come si muove, da come parla, da come sorride.
In realtà però, so perché guarda sempre in basso.

Ha paura che qualcuno veda la fragilità nei suoi occhi, e che la giudichi.
È così preoccupata di quello che pensa la gente, che non si accorge che una vita le passa davanti.

Onestamente, credo che non ce ne sia motivo. Le persone ci giudicano tutti i giorni, e noi non possiamo impedirlo.
Bisogna imparare a fregarsene, ma so che ci vuole tempo.

"E cosa pensi quando mi guardi?", chiedo ricambiando i suoi occhi, e vedendo esattamente quello che ha paura di mostrare, quello che ha paura di far vedere.
Fragilità.

Ma io non lo vedo affatto come un difetto.
Anzi, il contrario.
Se siamo fragili vuol dire che abbiamo un cuore, che proviamo dei sentimenti, e un cuore non ce l'hanno tutti.

"Adesso, non lo so. Prima pensavo di amarti, che fossi l'unico che potesse capirmi, l'unico che volesse starmi vicino.
Almeno, qualche mese fa", dice con gli occhi pieni di tristezza, e mi si spezza il cuore.
È stata sola per tre mesi, pensando che tutti intorno a lei l'avessero abbandonata.

Fa male sentire queste cose, perché so bene che la causa sono io.
Anche se non sono stato io, da quando la conosco buona parte del dolore che ha provato e che prova è stato colpa mia, e mi odio ogni giorno per questo.

Cerco di non farle capire che fa male sentire queste cose, e le chiedo, nel modo più calmo che conosco:
"E adesso cosa pensi?"

"Adesso sono solo confusa.
Credevo che mi amassi, Tyler, lo credevo con tutto il cuore, ma quello che hai fatto mi ha fatto capire che non è così.
E poi, adesso, sembra che tu mi ami ancora.
Non capisco", dice con voce flebile.

"Ti amo nocciolina, e ti avevo detto che questo non sarebbe cambiato.
Ed è stato così, infatti", cerco di farle capire, nel modo più sincero che conosco.
Non posso spiegarle quello che è successo, ma almeno posso fare in modo che si fidi di me. O almeno provarci.
Ma so che domani sarà tutto diverso.

"Come faccio a crederti?", dice appoggiando la sua fronte sulla mia.
Questo contatto con lei mi era mancato da morire, e chiudo gli occhi per la sensazione che provo in questo momento.

"Ti chiederei di fidarti di me ma, se ti conosco quanto credo, so che fidarti non è il tuo forte", dico piano, riaprendo gli occhi.
E non posso darle torto, dopo quello che le è successo.
Chiudo e riapro più volte gli occhi per cacciare via quel pensiero e concentrarmi solo su di lei, che adesso è qui, accanto a me, e sta bene.
Almeno, fa sembrare che lo sia. Ma so che non è così.

"Allora che facciamo?", chiede.

"Facciamo, eh? Ci hai preso l'abitudine?", dico sorridendo, e sorride anche lei.
Mi riempie il cuore sapere che c'è ancora una speranza che possa fidarsi davvero di me.

"Facciamo... ", comincio calcando la prima parola.

"Cerchiamo di capire cosa è successo.
Cerchiamo di capire chi è stato", concludo con tono deciso.
Se c'è qualcuno che deve essere forte ora, sono io. Lei non ce la farebbe, lo so.

"Insieme?"

"Nocciolina, questo non spetta a me deciderlo. Sai bene quale sarebbe la mia risposta, ma non dipende da me".

"Credevo ti importasse", dice guardando le mie mani e distogliendo di nuovo i suoi occhi dai miei.

"È ancora così, lo è sempre stato.
Quest'estate non ho smesso di cercarti neanche un giorno. Non ho smesso di pensare a te un solo minuto della mia vita.
Tutti i giorni sono venuto a casa tua, e ti ho aspettata fino al tramonto.
Ma tu non c'eri mai", dico ricordando ogni singolo giorno in cui sono andato lì con una speranza nel cuore.
Sempre la stessa, che non arrivava mai.

A quelle parole alza la testa di scatto, come per cercare di capire se sia sincero prima che possa cambiare espressione.

"Davvero?", chiede sorpresa e sorridente allo stesso tempo.

"Hai poca stima di quello che provo per te", dico scherzando.

"Tu cosa faresti al posto mio?
Non saresti confuso quanto me?"

"Certo che lo sarei, e accetto il fatto che tu sia andata avanti.
Ma ti chiedo solo una cosa, nocciolina.
Cambia scuola. Non devi tornare per forza alla Signal, va bene una qualsiasi altra scuola. Quel tipo è pericoloso, non voglio che ti stia vicino", dico in modo serio.

Annuisce poco convinta, e so che è molto confusa in questo momento.
Ma solo a pensare a quel Clay che le ronza intorno...
Lui e il fratello sono due tipi pericolosi.
Anche Clay è venuto agli incontri che organizza Mark qualche volta, ma abbiamo combattuto insieme solo in un paio di occasioni.
Era già un pezzo di merda lui due anni fa, e sembra che il fratello gli somigli molto.

Continua a fare qualcosa di incomprensibile, ma è piacevole, perché è lei a farlo.
E poi, perché ho una scusa per poterla guardare.
I suoi bellissimi occhi verdi seguono scrupolosamente ogni singola mossa che le sue piccole mani compiono sul mio viso.
Le lentiggine sparse sul naso e le guance si conformano anche ad un minimo cambiamento di espressione.
I capelli castani sono posizionati dietro le orecchie, in modo da non intralciare il suo lavoro.

"Sei bellissima", ammetto cercando il suo sguardo.

"Tyler", sussurra.

"Dimmi, nocciolina"

"Non combattere più, okay?"








"Finito", dice con un'espressione pensierosa.
Credo di sapere a cosa stia pensando ma decido di non chiederle nulla per ora.
Rimetto la scatola per il pronto soccorso in bagno e torno in soggiorno da lei.
"Ti porto a casa", le dico prendendo le chiavi dal tavolino.

Annuisce silenziosa e, quando ci troviamo nel vialetto di ingresso, saliamo in macchina.
Sono venuto a vivere in questo condominio di appartamenti con Dan ormai quattro anni fa, e non ho quasi mai visto nessuno uscire ed entrare da queste porte.
Sembra che qui non ci viva nessuno, il che è strano, perché da questa zona di Denver è abbastanza facile arrivare in centro.
Spesso arrivo qui e nel vialetto c'è solo la mia macchina.

Mentre guido, non riesco a smettere di pensare ai fratelli Miller.
Credo che potrei impazzire sapendo che nocciolina va a scuola li tutti i giorni.
E da quello che mi ha raccontato, è già un incubo.
Vorrei che tornasse alla Signal ovviamente, ma non voglio farle pressione.
Se le serve del tempo per pensare e per provare a fidarsi di me e a convincersi che non sono stato io, glielo darò.
Ma devo assicurarmi che in quella scuola vada tutto bene, e che nessuno le faccia del male.

"Che cosa ti ha detto quel ragazzo per provocarti?", chiede girandosi verso di me, con le mani in grembo.

Sapevo che se lo stava chiedendo da prima, quando mi medicava, perché era pensierosa.
Ma non è importante che sappia che cosa mi ha detto, sarebbe solo peggio.

Solo a ripensare a quello stronzo di Jason e alle sue parole...

"Tyler... ", inizia, e quando fa così vuol dire che vuole farmi parlare senza farmi arrabbiare. Ma non è per me che mi preoccupo, quanto più per lei.

"Perché vuoi saperlo?"

"Voglio solo capire che cosa ti ha fatto reagire così. C'è davvero qualcosa di cui ti importa così tanto da ridurlo in quel modo?"

Mi prendo qualche secondo per mettere insieme le parole e per non farle suonare tanto brutte quanto in realtà sono.

"Mi ha fatto immaginare la mia ragazza mentre lui la violentava.
L'ha fatto per provocarmi, lo so, ma non ci ho visto più", dico a denti stretti, per farmi passare la rabbia.

A questa rivelazione, abbassa gli occhi e continua a guardare davanti a lei.
So che ricordarlo le fa male, è per questo che non volevo dirglielo.
Vederla così triste mi spezza il cuore.

"Mi dispiace"

"No, non... preoccuparti, te l'ho chiesto io"

Le prendo delicatamente la mano, per vedere come reagirà a questo contatto fisico, ma lei non si tira indietro.
Anzi, stringe alcune delle mie dita in tutta la sua mano.

Quando capisce che sto per ribattere, mi precede.
"Sto bene, non preoccuparti", dice a bassa voce.

È ovvio che non sta bene, quindi perché dice che è così? Non voglio che nasconda come si sente davanti a me.
In qualunque stato sia, qualunque cosa noi fossimo, e per fortuna capisce che non le credo.

"Scusa, so che non dovrei dirtelo"

"Non scusarti con me, nocciolina, di nulla.
Non ne hai motivo", le dico per calmarla.

"Scus... ", dice, ma poi si interrompe e le spunta un sorriso.
Per fortuna riesco ancora a farla sorridere.

"Allora... perché non hai reagito quando Clay ti ha colpito?", chiede rigirando lo sguardo verso di me.

"Non ce ne era motivo. Era arrabbiato per suo fratello, per il fatto che combatte, e se l'è presa con me perché non poteva farlo con lui."

"Quindi lo conosci?"

"Si, entrambi. Anche Clay combatteva, ma non lo vedo da tempo.
È pericoloso, forse non da a vederlo, ma lo è. Stagli alla larga, per favore", le spiego cercando di farle capire la situazione.

"Non dirmi chi devo frequentare", sussurra.

Stavo aspettando questo momento, quello in cui si sarebbe ricordata quello che pensa io gli abbia fatto.
Non posso darle torto, ma voglio fare in modo che si fidi di me, anche se non so come.
Lascia la mia mano guardando dritta davanti a se, e comincia ad agitarsi sul sedile del passeggero.

Decido di non dire nulla, perché so che con le parole non si arriva da nessuna parte.
Se devo farle cambiare idea, devo dimostrarle che può fidarsi di me.

Arriviamo a casa sua in silenzio e vedo che non sa se scendere o meno.
Se ne sta seduta sul sedile con le mani in grembo, lo sguardo puntato perso nei suoi pensieri.

"Vuoi dormire qui?", le dico scherzando.

Sentendo le mie parole si risveglia completamente e mette una mano sulla maniglia della portiera come per scendere, ma non la apre.

Aspetto che dica qualcosa e, dopo qualche secondo comincia a parlare.

"Non voglio andarmene", dice sottovoce.

"Vorrei rimanere qui con te, ma non posso volerlo. Non è giusto. Mi odio perché non ci riesco. So che quando sei accanto a me mi sento al sicuro.
Ma non dovrei sentimi così.
Eppure non riesco a scendere da questa maledetta macchina", finisce con la voce tremante, e si sta trattenendo dal piangere perché vuole essere forte.

"Mi dispiace, nocciolina.
Per tutti i problemi che ti ho causato da quando mi conosci", dico cercando il suo sguardo, e quando lo trovo, ha gli occhi bagnati di lacrime.

"Devi davvero dispiacerti perché mi hai fatto innamorare?", sussurra con gli occhi che vagano nello spazio accanto a noi, per non incontrare i miei.

"Comincia a dispiacerti anche tu, allora"

"Comunque, grazie per il passaggio", mi saluta cercando di farmi un sorriso, e scende dalla macchina.

Rimango lì a guardarla entrare, e me ne torno a casa, da solo come sempre.
Ma questa volta ho il cuore un po' più leggero, perché so che sta bene.

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