"Million reasons", Lady Gaga
"Ele. Non ho visto più molto Susan ultimamente. Prima andavi sempre da lei", affermò mia madre mentre beveva il suo caffè mattutino.
"Già, be' Susan è cambiata e... Ha detto cose che non doveva dire", risposi.
Lei sembrò alquanto sorpresa. "Che tipo di cose?", si informò.
Evitai di rispondere sotto gli occhi accusatori di mio fratello.
"Adesso è troppo impegnata con Tyler", commentò Marty. Jordy le mandò uno sguardo truce dall'altra parte del tavolo, ma lei non sembrò minimamente coglierlo.
"Non dire sciocchezze, Marty. Tua sorella non è il tipo che abbandona le amicizie per uno stupido ragazzo", replicò mia madre.
"Che cosa hai detto?", sibilai.
Jordy si alzò in fretta dal tavolo e mise le mani avanti. "Ha detto che Tyler le piace molto. Ora siediti"
"Mi pare di aver sentito qualcosa di diverso", stridetti.
"Che ti prende, sorellina?", si informò Marty con tono leggero, mentre addentava una fetta di torta al cioccolato.
Mi obbligai a rimettermi seduta. Non mi ero neanche accorta di essermi alzata. Tolsi le mani dal tavolo e gli diedi qualcosa da fare per non cedere al semplice nervosismo che avevo in quei giorni.
"Nulla di che. Un po' di pressione a scuola, tutto qui"
"Credevo che non ti desse poi così tanti problemi, sai. Soprattutto dopo la proposta del tuo professore di filosofia", continuò lei con un'espressione saccente che avrei soltanto voluto farle sparire da quel volto di perfezione dietro cui si trincerava.
"E dài, mamma", intervenne Jordy. "Sembra che lo fai apposta"
Lei lo ignorò completamente, come se non avesse affatto parlato. Quella mattina provavo un'odio nei confronti di mia madre che non avevo mai provato prima.
"Si, be', comunque sia... Devo informarvi che oggi vostro padre verrà qui", dichiarò con un tono di voce che lasciava chiaramente trapelare la sua falsissima indifferenza.
Jordy si allarmò all'istante. "Perché?", domandò con una mezza ironia.
"A quanto pare ha qualcosa da dirci", aggiunse.
"Del tipo?"
"Non ne ho idea, Ele. E' tuo padre, sai com'è fatto"
"Come è fatto", sbuffò Jordy sarcasticamente. "E' fatto male"
"Dovresti saperlo meglio tu, però. Te lo sei scelta da sola, e guarda com'è finita. Tre figli senza un padre", commentai con nonchalance.
Mia madre si portò una mano sul cuore e spalancò gli occhi. Poi mi mollò uno schiaffo in pieno viso. Mi portai una mano sulla guancia destra per lenire il dolore.
Ogni rumore nella stanza cessò, persino i respiri, per un breve istante. Marty alternò lo sguardo scioccato tra nostra madre e me, e Jordy abbassò la testa e si portò le mani davanti al viso.
Mia madre rimase in silenzio per qualche minuto, poi parlò con una sufficienza tale che volevo solo restituirle il dolore che mi aveva inflitto. E non solo quello fisico.
"Come ti permetti di dire queste cose in mia presenza?", strillò. "Che cosa ti ho insegnato?"
"Mi hai insegnato a reprimere i sentimenti e farmi rimanere in silenzio quando volevo solo parlare con qualcuno", sibilai guardandola negli occhi infuocati dalla rabbia.
"Stronzate! Ti ho insegnato il rispetto verso gli altri, soprattutto membri della tua famiglia!"
"Mi hai insegnato a fingere, mamma. Ed è quello che non fai altro che fare tu, ogni singolo giorno, quando ti alzi la mattina. Fingi che questa sia la vita che avresti voluto vivere, ma non è così. La stai vivendo solo perché sei obbligata a viverla"
"Mi stai forse dando della falsa? E' così che mi ripaghi per tutto quello che ti ho dato da quando sei nata?!"
"Che cosa mi hai dato? Una buona dose di dolore, paura e finzione?", replicai alzando le braccia. "E devo continuare a fingere che mi stia bene?"
"Io e tuo padre abbiamo fatto il possibile per darvi quello che è meglio per voi e per dimostrarvi quanto vi vogliamo bene". Si girò verso Marty e Jordy, ma abbassarono entrambi lo sguardo.
Offesa, tornò a guardarmi. "E' perché mi volete bene che fate finta che io non abbia vissuto una vita nascosta? Perché da quando sapete che cosa mi è successo fate sempre più finta di non saperlo e fingete che io sia sempre stata bene?"
"Ele, non cominciare con questa storia. Abbiamo capito che sei stata male, ma adesso stai meglio, no?", domandò alzando una mano verso di me.
Stavo ancora cercando di capire se fosse seria o se stesse solo scherzando. Per lei, quella, era solo una storia.
Mi resi conto solo in quel momento che non aveva probabilmente mai compreso che cosa avesse significato e continuasse a significare per me. Era mia madre, maledizione. Come faceva a non vedere quello che aveva sotto gli occhi?
Che lo vedesse ma facesse finta di niente? In fondo, quella era una delle sue specialità.
Da che ricordassi, non aveva mai speso più di due parole per parlarne con me. Sembrava che fosse addirittura imbarazzata dalla povera figlia che era stata violentata.
"Sto meglio, mamma, hai ragione tu, in effetti. Grazie per avermelo chiesto", mormorai con un filo di voce. Ed ecco quell'odioso nodo alla gola che tornava a farmi visita.
Non ne potevo più di piangere. Mi meravigliavo persino di quante lacrime avessi in corpo, non finivano mai.
"Torna a casa in tempo per vedere tuo padre!", gridò prima che potessi uscire di casa.
"Fanculo", sibilai sbattendomi la porta alle spalle.
Mi ritrovai nelle strade buie. Il sole doveva ancora sorgere, nonostante fossero passate da poco le sette. Mi cacciai furiosamente le mani nelle tasche del giacchetto e presi a camminare furiosamente senza una meta.
Era ancora presto per andare a scuola e, in tutta onestà, non avevo neanche voglia di andarci. Avrei dovuto subire le lamentele di Tyler su quanto avessi bisogno di... Insomma, si... Di quelle specie di dottori.
E chiaramente era solo paranoico, perché non ne avevo bisogno. Non capivo perché insistesse tanto. Ammetto che non ero nel periodo migliore della mia vita, ma era solo perché ero stressata.
Due sere prima aveva addirittura insinuato che stessi diventando pazza. Ma io non lo ero. Non potevo esserlo.
Solo perché avevo alzato un po' di più la voce ed avevo pianto davanti a lui? Ero solo un po' nervosa. Non c'era nulla di cui preoccuparsi.
"Dove te ne vai in giro a quest'ora, dolcezza?", strascinò una voce alle mie spalle.
Mi girai di scatto e sobbalzai quando vidi nell'oscurità, un uomo che si strascicava a fatica verso di me. I suoi vestiti erano tutti stropicciati, e avevano delle macchie sul davanti. I capelli sembravano fradici, gli occhi iniettati di sangue e spaventosamente vitrei, ed un sorriso malizioso sul viso. Era ubriaco fradicio.
Feci automaticamente qualche passo indietro e mi guardai intorno. Non c'era nessuno, e non passavano macchine a quell'ora. Mi assalì il panico.
"Io... Io... Devo andare ", farfugliai, ed indicai frettolosamente con il pollice il marciapiede dietro di me.
"Mmh ", biascicò. Mi squadrò da capo a piedi per qualche secondo con quello sguardo gelido e confuso. Feci il possibile per stringermi il giacchetto intorno alla vita, invano. "No, io non credo proprio", concluse con un sorriso spaventoso.
"Mi dispiace, signore, io non posso... ", sussurrai. Ero terrorizzata a tal punto che i piedi non mi si mossero più. E mentre lui si avvicinava a me, io me ne stavo lì immobile a guardarlo e sperare che qualcuno mi aiutasse.
"Non puoi fare cosa ?", insinuò agitando le braccia nell'aria gelida.
"Non posso... Devo andare a scuola e... ", mormorai terrorizzata.
Si fermò a pochi centimetri da me e mi guardò socchiudendo gli occhi. Sentivo nell'aria puzza di alcol mista a vomito, e trattenei la nausea che mi salì in gola. Rabbrividii quando allungò una mano verso di me. All'inizio si fermò a mezz'aria. Poi scattò sul mio viso e mi afferrò una ciocca di capelli. Se la rigirò tra le dita mentre mi guardava come se mi vedesse come una povera vittima.
"Devi andare a scuola, eh ? E' ancora più eccitante, così... ", disse.
Lasciò andare i miei capelli e, un secondo dopo, la sua mano era sul mio viso. Passò le sue luride dita sulle mie sopracciglia, sulle labbra, sulle palpebre.
Quando scese verso il collo e pericolosamente più giù mi venne da piangere.
Trattenei le lacrime e mi costrinsi a svegliarmi e fare qualcosa. Racimolai tutta la forza che mi era rimasta in corpo e gli sferrai una ginocchiata nelle parti basse.
Quell'uomo viscido urlò dal dolore e si accasciò a terra reggendosi con le mani il punto in cui l'avevo colpito. "Brutta troia!", ululò in mezzo alla strada.
Prima che potessi fare qualche passo indietro e scappare via si aggrappò ai miei piedi con le mani. Cercai di scalciarlo via con i piedi. Si dimenò, ma non mollò mai la presa, fino a quando non si riprese e non si alzò in piedi nuovamente.
Si avvicinò in modo minaccioso a me. "Me la pagherai cara ", mugugnò.
Ero completamente terrorizzata. Non sapevo cosa fare. Sarei dovuta scappare verso casa mia, ma i miei piedi non obbedivano ai comandi del mio cervello. Non avevo più una via di fuga.
I fari di una macchina che si accostò dalla mia parte del marciapiede mi fecero risvegliare. Socchiusi gli occhi per quanto era forte la luce, ma ne approfittai per tenermi a debita distanza dall'uomo e fare dei passi indietro.
Per fortuna sembrava completamente intontito dalla luce. Qualcuno scese dalla macchina e mi venne incontro. Indietreggiai, terrorizzata dall'idea che qualcun altro potesse farmi del male.
"Che diavolo stai facendo qui?"
Il blocco che avevo nel petto si sciolse all'istante quando vidi gli occhi verdi di Tyler in mezzo a tutta quella confusione.
Non ci pensai nemmeno due volte. Percorsi i pochi passi che ci dividevano e gli strinsi le braccia intorno al petto.
Affondai la fronte nella sua felpa e strinsi nelle dita tremanti la stoffa del giacchetto. Avevo così tanta voglia di rimanere lì per tutta la vita e piangere fino ad accasciarmi a terra al suo fianco.
Sembrava perplesso, all'inizio. Dopo qualche secondo realizzò la situazione. Spostò le mani sui miei capelli ed appoggiò la guancia sulla mia fronte. Chiusi gli occhi e mi lasciai confortare da lui per un tempo che mi sembrò infinito.
"Ti amo. Va tutto bene, ora", mi sussurrò all'orecchio prima di separarsi dolcemente dall'abbraccio.
Mi prese una mano e mi spostò dietro la sua schiena.
Indugiò qualche secondo sull'uomo davanti a noi, ancora intontito dai fari accesi dell'auto. Tyler ne approfittò e gli sferrò un pungo in piena faccia. Sussultai e chiusi gli occhi.
Lo sentii sferrargliene altri, finché l'uomo non cadde a terra inerte.
Non osai riaprire gli occhi. Tastai la mano davanti a me in cerca del suo corpo rassicurante. Sentii la stoffa del suo maglione sotto le dita e lo strinsi automaticamente.
"Sono qui", mormorò. Riaprii gli occhi, e la prima cosa che vidi fu il corpo dell'uomo a terra. Sembrava spaventosamente senza vita, e per un attimo mi passò per la mente di accucciarmi verso di lui e tentare di aiutarlo a rialzarsi.
Tyler mi afferrò la mano e mi trascinò via da lì. Mi accorsi appena quando entrai dalla parte del passeggero e chiusi la portiera.
Mi lasciai andare sul sedile e chiusi gli occhi. Non volevo pensare a quello che era appena successo, altrimenti sarei scoppiata a piangere. Non riuscivo a credere che me ne fossi rimasta impalata lì senza fare nulla.
Ripensandoci dopo, mi sarebbero venuti in mente così tanti modi per allontanarmi. Ma lì, ero solo paralizzata dalla paura.
Tyler salì dalla parte del guidatore e sbatté la portiera. Sospirò e si passò una mano sui capelli. Rimase in silenzio troppo a lungo, ed io volevo solo che parlasse e mi distraesse dal mio cervello.
"Da quanto eri lì?", mi chiese. Guardava dritto davanti a sé, come se fosse arrabbiato per qualcosa, ma si sforzò di sembrare calmo e pacato.
"Non lo so... Qualche minuto", ammisi. Sapevo fosse qualcosa di più di qualche minuto, ma non volevo dirglielo.
"Stai bene?". Si girò verso di me e mi guardò in modo preoccupato. Non meritavo il suo amore in quel modo così intenso. La sua non era solo preoccupazione, ma terrore puro.
"Sto bene", ripetei in modo neutrale.
"Perché devi mentirmi anche su una cosa così seria? So che non è così, Ele. Volevo solo che lo ammettessi davanti a me"
"Scusa", mormorai.
Lui sbuffò e si ricompose sul sedile. Tirò fuori le chiavi dalla tasca dei jeans e le infilò nella serratura.
"Cosa c'è? Devo scusarmi anche per averti chiesto scusa?", replicai nel suo fastidioso silenzio.
"Smettila di fare così. Non voglio litigare con te"
Mi rifiutai di ricambiare i suoi occhi e mi girai per afferrare il lembo della cintura di sicurezza. Lui mise in moto la macchina e si allontanò.
"Lo lasciamo lì così?", gli chiesi guardando la figura dell'uomo a terra che si allontanava dallo specchietto.
"Porca troia, Ele! Ti stava per mettere le mani addosso e tu vorresti anche offrirgli la tua carità?", sbottò battendo il pugno sul volante.
Sussultai a quel suo scatto d'ira ma non dissi nulla. Lo conoscevo e sapevo che di lì a poco si sarebbe sentito in colpa da solo.
"Okay. Ho recepito il concetto", mormorai con tono infastidito girandomi verso il finestrino.
"Se vuoi ti riporto a casa. Capirei se tu volessi saltare le lezioni, per oggi", rifletté con lo sguardo sulla strada. Il sole cominciava a farsi vedere all'orizzonte, e fui stranamente felice di vedere la luce.
"No, no... E' tutto okay. Non voglio andare a casa", replicai, in modo un po' troppo brusco.
"Perché?", si informò.
"Dannazione, Tyler! Perché diavolo devi fare tutte queste domande?", sbottai.
Lui rimase impassibile. Non si girò neanche a guardarmi. Non disse una sola parola, il che non fece che aumentare il mio inspiegabile nervosismo a livelli tremendamente elevati.
Presi respiri profondi e cercai di calmarmi pensando a qualcos'altro. Ma mi venne in mente la scena di soli pochi minuti prima, e dovetti sbattere le palpebre più volte per scacciarla via dalla mia testa. Presi a giocherellare con l'orlo della maglietta per darmi qualcosa da fare. Sapevo che mi lanciasse occhiate di tanto in tanto, ma non mi importava. Stavo solo cercando di distrarmi.
"Perché giravi per strada così presto e con il buio, comunque?", domandò dopo svariati minuti. Stava girando in largo e in lungo per le strade di Denver. Era ancora troppo presto per andare a scuola.
Alzai le spalle e mi morsi la lingua. Non avevo voglia di dirglielo, ma sapevo che avrebbe voluto avere una spiegazione. "Una... leggera discussione con la mamma. Nulla di che"
"A proposito di... ?"
"Uhm... Lei ha parlato di papà, ed io ho detto che... Okay, forse ho esagerato un po'. Ma ho detto solo la verità. E poi sono uscita un po' prima di casa"
"Tutto chiaro", affermò ironico. Si capiva dalla sua voce che avesse capito quanto la cosa non fosse così semplice, ma gli fui grata per non aver insistito.
"E tu? Che stavi facendo in macchina così presto?"
"Nulla di che", ripeté le mie parole alzando le spalle. Mi spuntò un sorriso, ma lo repressi. Mi ritrovai incantata a guardarlo per un breve istante.
"So che un grazie non basta, Tyler. E non solo per questo"
Lui si girò a guardarmi e mi rivolse un tenue sorriso. "Un grazie sarebbe anche troppo, nocciolina, credimi. Ma se proprio ci tieni, troverò un modo per permetterti di ricompensarmi", scherzò.
"Okay, allora. Ricordami che ti devo un favore", lo canzonai accennando ad un sorriso. Non ne avevo veramente voglia in quel momento, ma volevo solo che stesse un po' più tranquillo.
Vagammo ancora un po' per la strada senza una meta. Scoprimmo bar e ristoranti che non sapevamo esistessero.
Era bello poter tornare a ridere con lui. Mi alleggeriva il cuore, in un certo senso. Eppure non riuscivo a sbloccarmi del tutto. Non capivo che cosa fosse stato ad aver cambiato le cose.
Mi rifiutavo di pensare che fosse stata la notte che avevamo passato insieme. In quel momento sembrava tutto così perfetto. C'eravamo solo io e lui. Non volevo che nulla si intromettesse.
"Smettila di pensare", disse Tyler al mio fianco, strappandomi ai miei pensieri.
Decisi di non replicare. Ero cosciente di cosa lo infastidisse, ma il problema era che non mi rendevo ancora conto del perché mi stessi comportando così.
Non avevo una spiegazione da dargli. Né a me stessa, né tantomeno a lui.
* * *
"Ele, aspetta!", sentii gridare dietro di me. Mi girai prima di uscire dal portone della mia scuola.
Vidi una ragazza con lunghissimi capelli biondi venirmi incontro. Le arrivavano fino ai fianchi. Era sorridente e portava una salopette scolorita che le copriva il corpo esile.
Quando arrivò davanti a me si fermò. Appoggio le mani sulle ginocchia e si piegò per riprendere fiato. Mi sembrava di conoscerla, in effetti, ma non ricordavo il suo nome.
Si riprese e, ancora con il fiatone, disse: "Ti ricordi di me?"
Scossi la testa un po' imbarazzata, ma a lei non sembrò fare differenza.
"Sono Stacey, un'amica di Susan. Abbiamo pranzato insieme una volta, lo scorso anno. Non ricordi?", continuò.
"Uhm... Certo. Si, mi ricordo", mentii.
Mi guardò di traverso, ma sembrò prendermi in parola. "Comunque, Susan mi ha detto che vuole vederti"
"Susan vuole vedermi?", ripetei perplessa.
"Proprio così", rimarcò, annuendo per ribadire il concetto.
"E... ". Mi guardai un po' intorno. "Perché non è venuta lei a dirmelo di persona?", le chiesi.
"Ha detto che preferiva non... Insomma, ha detto che aveva paura che tu... Okay, ha detto chiaramente 'Se glielo chiedessi io non verrebbe mai. Tu obbligala finché non si arrende dall'esasperazione "
"Ha detto davvero così?", mi stupii.
"Si. E' sembrato strano anche a me, sai? Perché non dovresti voler andare?", rifletté alzando lo sguardo verso il soffitto.
"Oh... Okay. Grazie, Stacey"
Feci per allontanarmi, ma mi chiamò ancora una volta. Mi voltai quando ero già lontana, così riprese a correre per raggiungermi. Era un po' strana, quella ragazza.
"Cosa c'è?", le chiesi, sforzandomi di mostrarmi il più gentile ed educata possibile.
"E' nel bagno delle ragazze. Pensavo che... Sai, si. Avresti voluto saperlo. Per sapere dove andare e tutto il resto. Questa scuola è maledettamente grande, non volevo che... "
"Ho capito", la interruppi. "Grazie, Stacey", aggiunsi, prima di voltarmi di nuovo ed allontanarmi.
Cercai di non lasciarmi prendere dall'ansia nel sapere che cosa volesse Susan. E se avesse voluto tagliare definitivamente i rapporti con me? Non sapevo se ce l'avrei fatta.
Mi diressi verso il bagno delle ragazze attraversando il corridoio semideserto. Aprii la porta del bagno e me la chiusi alle spalle, quando vidi Susan appoggiata ad un dei lavandini.
Mi avvicinai un po' timorosa. Alzò la testa di scatto quando mi vide, e sorrise raggiante.
"Grazie per essere venuta", disse.
"Prego. Hai mandato Stacey perché pensavi davvero che non l'avrei fatto?"
"Si, scusa... Avevo bisogno di parlarti, e non potevo accettare un no come risposta. Ti dispiace?"
Scossi la testa e la scrutai attentamente. Sembrava sul punto di scoppiare dalla gioia e correre ad abbracciarmi da un momento all'altro.
"Okay, be'... ", bofonchiò. Si sistemò distrattamente i capelli biondi dietro le orecchie ed abbassò per un momento lo sguardo. "Devo dirti una cosa", ammise infine.
"Questo mi era abbastanza chiaro", scherzai.
All'inizio sembrò sul punto di sorridere, ma le sue labbra si bloccarono a metà strada e tornò improvvisamente seria. "E' una cosa importante, Ele. Davvero"
"Oh... Scusa", mormorai. Ammetto che cominciavo ad essere leggermente nervosa. Susan era una persona piuttosto esuberante, perciò vederla così seria era strano.
Pensai che fosse qualcosa di grave. Forse qualcosa nella sua famiglia. O che volesse tagliare i ponti con me una volta per tutte. Mi resi conto che non avrei neanche potuto biasimarla, alla fine.
"Allora... ", borbottò, prima di mettersi a girare in tondo nel bel mezzo del tavolo. Sembrava agitata, e sentii l'ansia salire. Non era da lei quel comportamento.
"Puoi stare ferma? E' abbastanza inquietante", ammisi tentando di sembrare ironica. Per fortuna servì per stemperare un po' la tensione che si era creata, e di cui io ignoravo la ragione.
"Okay, lo dico", ammise infine, dopo qualche minuto di silenzio. Si fermò in mezzo al bagno e mi guardò come se volesse rendermi preparata.
"Già, be', in effetti è un po' che sto aspettando", scherzai.
Lei prese un respiro profondo e chiuse gli occhi. Li riaprì dopo svariati secondi e disse: "Mi hanno presa"
"Presa dove?"
"Come presa dove, Ele? Ricordi? L'università in Inghilterra dove avevo fatto domanda... "
Sgranai gli occhi e mi trattenni dal portarmi una mano sulla bocca per soffocare lo stupore. Ero piuttosto confusa. Rimasi lì ferma qualche minuto a riflettere sue quello che aveva appena detto, ed a cercare di leggere tra le righe il significato della sua affermazione.
"Quindi sei felice?", dedusse lei nel mio silenzio dopo qualche minuto di riflessione.
Maledizione, non lo sapevo neanche io. Ovviamente ero entusiasta per lei, e anche molto fiera. Sapevo quanto era difficile entrare in un college del genere, soprattutto all'estero. Ma avevo un dubbio riguardo tutto quello.
"Cavolo, si... Si. Certo che sono felice, Sus, è una notizia magnifica", farfugliai. Aprii la bocca per dire altro, ma non ne uscì alcun suono. Così mi avvicinai a lei e la strinsi in un amichevole abbraccio.
"Grazie", esclamò entusiasta strofinandomi la schiena con le mani.
Odiavo dover essere io a dover interrompere quell'allegra e molto rara atmosfera di allegria. "Sono felice. Davvero. Ma questo che cosa significa, esattamente?", le chiesi, sperando che la sua felicità non si spegnesse.
"Che cosa intendi", domandò corrucciata.
Mi grattai nervosamente la nuca. "Insomma, si... Ti hanno presa, ed è davvero fantastico, ma... Significa che ci andrai? Voglio dire, si può scegliere se andare o no... Tu non devi per for... "
"Ci andrò, Ele", mi interruppe bruscamente. L'allegria era scomparsa, ed aveva lasciato soltanto posto per serietà e rassegnazione.
Il mondo minacciò di cadermi addosso. Forse ero convinta di averle potuto far cambiare idea, perché non mi persi d'animo e continuai a cercare di persuaderla, da egoista quale ero.
"Sei sicura ? E' molto lontano, e dovrai lasciare Brus ed i tuoi genitori... E poi le spese Saranno moltissime. Forse dovresti pensarci un po' meglio. Magari non è la decisione giusta per te... ", arrancai.
Susan chiuse gli occhi e scosse la testa. "Lo è, Ele, ne sono più che sicura. E' la decisione giusta"
"E Clay?", esclamai, per non lasciarmi ricadere nella disperazione.
"Clay lo sa già", ammise con rammarico.
"E cosa ha detto? Gli sta bene?"
"E' felice per me. Perché non puoi esserlo anche tu?"
"Io... Sono felice per te. Davvero, lo giuro. E' solo che... "
Mi interruppi e lasciai cadere le mie parole. Ero stata già abbastanza egoista con lei. Sapevo di aver tentato di persuaderla dalla sua scelta solo perché non volevo rimanere sola. Non potevo dirle che volevo che restasse solo per me, sarebbe stato troppo.
Susan lasciò passare qualche minuto di soffocante silenzio. Poi si avvicinò un po' di più a me. "Mi avevi assicurato che ti sarebbe andato bene se io fossi partita"
"Ed era così, ma... Non lo so. E' tutto troppo improvviso. Ho bisogno di qualche giorno per pensarci su"
Lei annuì. Mi dispiaceva così tanto averle distrutto l'entusiasmo per una cosa così bella. Mi sentivo in colpa per come il mio egoismo si fosse ripercosso su di lei ancora una volta, ma per qualche strano motivo non mi scusai.
"Non vorrei lasciarti sola, soprattutto sapendo cosa stai attraversando in questo momento. Credimi, Ele"
"Che cosa sto attraversando?"
Sospirò ed abbassò lievemente il viso, sconfitta. "Lascia perdere. Comunque... Mi dispiace davvero. Non avrei mai pensato che mi avrebbero presa. E che mi avrebbero dato una borsa di studio", aggiunse risollevando un po' l'allegria.
"Borsa di studio?"
"Si... A quanto pare hanno letto le mie medie e visto i miei voti, ed hanno deciso di assegnarmi una borsa di studio. Per gli studenti che provengono da fuori significa che le rette universitarie il primo anno sono gratuite", spiegò entusiasta.
"Oh... Splendido, no?", risposi, tentando di tenere alto il suo stesso livello di entusiasmo.
"Già. Splendido... ", ripeté improvvisamente fiacca.
Ci fu' un momento di totale imbarazzo da parte di entrambe. Avrei voluto scusarmi, ma non avevo voglia neppure di pensare a che cosa significasse per davvero la notizia che mi aveva appena dato. Così rimanemmo in silenzio finché non suonò la campanella.
Uscimmo dal bagno delle ragazze e ci ritrovammo incastrate nella folla di studenti che scalpitava per passare ed uscire da lì il più in fretta possibile. La metà degli studenti si dirigevano verso il parcheggio, ed era la stessa cosa che stavamo facendo noi.
Quando ci ritrovammo all'aria aperta e avemmo un po' più di spazio per parlare, Susan mi sorrise davanti alla sua macchina. "Vuoi uno strappo a casa?"
"No... Tyler, ultimamente, non mi lascia sola un momento. Ha detto che mi porterà lui", replicai.
Per fortuna sembrò felice che passassimo tanto tempo insieme, e non delusa come mi aspettavo. Fece per salire in macchina, ma poi ci ripensò. Si girò a guardarmi e mi rivolse un sorriso. "L'ha fatto perché ti ama, Ele. Non scordartelo mai", disse, prima di rifugiarsi nell'abitacolo caldo della macchina e mettere in moto.
Mi lasciò con la confusione più totale nel bel mezzo del parcheggio, finché non vidi Tyler posizionarsi davanti a me qualche minuto più tardi.
"Che stai facendo qui imbambolata?", domandò.
Guardai di nuovo la direzione in cui era sparita Susan, poi mi risvegliai e scossi la testa. "Niente, ha solo detto qualcosa di strano"
Tyler annuì e, dopo avermi rivolto un'altra rapida occhiata, percorse i pochi passi che ci dividevano dalla sua macchina. Lo seguii persa tra i miei pensieri. Perché Susan aveva pronunciato quelle parole?
"Te l'ha detto, eh?", disse dopo qualche minuto in macchina.
Mi girai verso di lui e gli rivolsi uno sguardo truce. "Lo sapevi anche tu?"
"Già. Sono un privilegiato, a quanto pare", si vantò ridendo.
"Perché non me l'hai detto?", lo accusai puntandogli un dito contro.
"Semplicemente perché non spettava a me dirtelo", replicò con una scrollata di spalle. "Non sei felice per lei?"
"Certo che lo sono", ribattei offesa.
"Allora perché sembra che ti sia morto il gatto?", scherzò.
"La conosco da una vita. Non è così semplice accettare che se ne vada dalla mia vita così, di punto in bianco. E non sa neanche quando ritornerà"
"Sarebbe la prima volta che se ne va dalla tua vita, eh?", azzardò.
Sbuffai e mi ricomposi sul sedile. "Intendo in senso fisico"
"E io intendevo in un altro senso"
"Lo so ", sospirai. Mi costava così tanto ammettere che aveva ragione. Che avevano ragione entrambi. Maledizione, chiunque intorno a me sembrava avere ragione. Mi sentivo così vuota e priva di sentimenti e volevo solo smettere di sentirmi così, anche se non sapevo come fare.
Ogni giorno mi svegliavo e mi convincevo che quel giorno sarebbe stato meglio di quello precedente. Poi, come mettevo un piede fuori dal letto, mi cadeva il mondo addosso. Sembrava che si stessero tutti prendendo gioco di me. Persino quella mattina ero convinta che sarebbe stata migliore, ed invece era stata solo la peggiore. Una buona dose di paura, rabbia e terrore ed ero ripiombata in quell'oblio in cui non vedevo una fine. In cui mi chiedevo se ci fosse effettivamente, una fine. Cominciai a pensare che non fosse mai esistita, dopo un po'.
"So che sono bello, ma mi stai fissando da un quarto d'ora, siamo arrivati, ed è maledettamente inquietante"
Misi a fuoco la figura davanti a me e vidi Tyler che mi sorrideva. Mi girai e mi ritrovai davanti casa.
"Oh, okay. Grazie del passaggio", dissi slacciandomi la cintura. Improvvisai un sorriso e raccolsi lo zaino ai miei piedi.
Mentre aprivo la portiera lui spense il motore e slacciò la sua.
"Che stai facendo?", gli chiesi allarmata.
Estrasse le chiavi e se le ficcò in tasca. Poi scese dalla macchina, fece il giro, e mi fu' accanto in men che non si dica. "Un saluto alla tua famiglia", replicò con leggerezza.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top