41. Botte!

"Keep Holdin On", Avril Lavigne

Non che mi sembrasse familiare, ma si sapeva che la mattina la lucidità non era quasi mai al massimo.

Quindi fù qualcos'altro che mi fece capire che ero in un luogo in cui non sarei dovuta assolutamente essere. Tentai di divincolarmi, ma avevo il braccio bloccato da qualcosa e non riuscivo ad alzarmi. Aprii gli occhi e vidii il petto di Tyler, la sua mano che mi cingeva.

Balzai giù dal letto in meno di un secondo in preda al panico. Ero morta. La mia vita era finita.

"Nocciolina? Che fai qui a quest'ora?". Vidi Tyler aprire pigramente gli occhi e mettere a fuoco la situazione. Si guardò un po' intorno, videe la mia figura al centro della stanza e mi scrutò sospettoso.

Quando si rese conto della gravità della situazione, si mise a sedere di scatto e si stropicciò gli occhi distrattamente. Mi rimase difficile non notare quanto era bello anche al mattino.

I capelli neri erano tutti spettinati, alcuni gli ricadevano sulla fronte. I suoi occhi erano così limpidi da sembrare vetro, come uno specchio. "Sono nei guai. Tuo fratello mi farà a pezzi", disse lasciando spazio al panico.

Afferrai in fretta e furia il telefono dalla scrivania. Nessuna chiamata persa, nessun messaggio di minaccia di morte o di esilio in casa per il resto della mia via. Quando lessi l'ora sull'orologio tirai un sospiro di sollievo. Erano le 06: 32.

"Vado a casa prima che qualcuno si svegli e noti che non ci sono", esclamai raccogliendo tutte le mie cose. Afferrai la giacca, il telefono, e quando vidi il libro di filosofia stette per crollarmi il mondo addosso.

"Aspetta". Si alzò dal letto. "Vuoi che ti accompagni?"

"No, assolutamente. Se per caso qualcuno di loro dovesse uscire di casa in quel momento sarò davvero nei guai. Ci vediamo a scuola", dissi in fretta e furia.

Non mi presi neanche la briga di sentire la sua risposta e mi lanciai in corridoio mentre mi infilavo il giacchetto, aprivo al volo la porta di casa ed uscivo. Dato il freddo, forse un passaggio non mi avrebbe fatto male.

* * *

"Sono riuscita ad arrivare in tempo e a infilarmi nel mio letto prima che qualcuno si accorgesse della mia assenza", spiegai a Tyler quando uscimmo dall'aula di filosofia dopo il compito peggiore della mia vita.

"La prossima volta dovremmo studiare di meno, così non ci addormentiamo"

"Come è andato il test?"

Sospirò e mi osservò posare i libri nell'armadietto. "Dubito che sia andato bene. Sicuramente meglio delle scorse volte"

"Come sono andate le scorse volte?", gli chiesi ridendo.

"Una sfilza di insufficienze", rispose tranquillamente. Chiusi il mio armadietto un po' titubante. Non era un'argomento che mi piaceva affrontare con il mio cervello, figuriamoci esternarlo a qualcun altro, ma erano mesi in cui non farlo era praticamente impossibile.

"Vuoi andarci al college?"

"Perché mi chiedi una cosa così seria proprio adesso?". Mi accorsi di avergli rovinato il buon umore, ed un po' mi sentii in colpa.

"Prima o poi, no?"

"Ne parliamo un'altra volta, okay? Non ne ho voglia ora", rispose leggermente infastidito. Forse era davvero meglio non andare oltre.

Quando suonò la campanella della pausa pranzo, ci dirigemmo in mensa percorrendo i corridoi già completamente vuoti.

"Che diavolo sta succedendo?", esclamò Tyler quando entrammo. Una folla urlante e strepitante si era accalcata al centro della mensa, e stavano tutti urlando verso qualcosa davanti a loro.

Le cuoche della mensa accorsero proprio in quel momento e si misero le mani davanti alla bocca, alcune anche nei capelli. Mi ritrovai dietro la schiena di Tyler a scalpitare per cercare di capire che stesse succedendo.

"Fallo fuori, Miller!", urlavano tutti intorno a noi.

"Vedi qualcosa?", gridai verso Tyler.

Lui scosse la testa e si immerse ancora nella calca, cercando di capire a che cosa si stessero riferendo tutti.

Qualche secondo dopo lo persi di vista, nello stesso esatto momento in cui riuscii ad arrivare davanti, e vidi Clay a terra, a cavalcioni su un ragazzo mentre gli tempestava la faccia di pugni.

Susan era dietro di loro, terrorizzata dalla scena davanti a lei. Quando vide Tyler affianco a me urlò: "Fa qualcosa! Separali!"

Mi portai le mani davanti alla bocca quando vidi Clay continuare a sganciare pugni al ragazzo sotto di lui, come se il resto del mondo non esistesse, come se non si fosse accorto di nulla. "Tyler, maledizione!", gridai.

A quel punto, percorse i pochi passi che lo dividevano da Clay. Lo afferrò per le spalle e lo spinse verso di lui, tentando di farlo staccare dal ragazzo.

"Non rompermi il cazzo, Evans! Non sei mia madre!", ringhiò Clay contro di lui. Si divincolò in tutti i modi, ma per fortuna riuscì a non farselo sfuggire e con uno strattone veloce lo portò con il sedere a terra.

Mentre pronunciava quelle parole Clay sembrava completamente fuori di sé. Era irriconoscibile.

Attraversai la mensa e mi affiancai a Susan, mentre le prendevo la mano. Era sconvolta e aveva gli occhi lucidi. Si stava trattenendo dal piangere per tentare di non peggiorare la situazione, e perché sapevo non fosse da lei.

"Che cazzo hai fatto? Ti ho chiesto di aiutarmi?". Con il volto contorto dalla rabbia e le mani sporche di sangue, Clay si scagliò contro Tyler provando a dargli degli spintoni sul petto. Non l'avevo mai visto così, neanche durante il loro combattimento, e faceva tremendamente paura.

"Calmati, amico", gli intimò Tyler. "Ci stanno guardando tutti"

Solo allora lui si guardò intorno, e sembrò intimorito da tutta la folla formatasi intorno a lui, tanto che abbassò i pugni e, a spintoni, abbandonò i riflettori imprecando contro chiunque gli si ponesse davanti.

"Qualsiasi cosa tu abbia fatto per farlo reagire così, è meglio che sparisci per un po' ". Tyler si rivolse al ragazzo steso a terra. Sembrava conoscerlo: immaginai faccesse parte della squadra di football. Aveva il labbro e la mascella sanguinanti ma, nonostante ciò, sembrava che non fosse lui la vittima. Dalla sua espressione sembrava consapevole di esserselo meritato.

In pochi secondi la folla si sciolse. Tornarono tutti a sedersi ai tavoli e un mormorio generale si diffuse tra un boccone e l'altro.

Ci sedemmo anche noi, ma nessuno sembra intenzionato a commentare l'uscita di folle di Clay. Mi dispiaceva essere la prima a doversene rendere conto, ma non avevo altri modi per descrivere quello che avevo appena visto. Non mi venne in mente nessuna motivazione plausibile che giustificasse il picchiare in quel modo qualcuno.

Stufa del silenzio, mi presi le responsabilità di parlare per prima. "Okay. Sappiamo tutti che cosa ha fatto Clay in passato, ma pensavo che fosse tutto risolto. Che cosa l'ha fatto reagire così bruscamente?"

"Kendall è uno stronzo. L'idea di prenderlo a botte mi ha sfiorato più a volte", commentò Tyler con tono sprezzante.

"Sus? So che probabilmente ora sei un po' sconvolta ma... "

"Nulla di importante", replicò duramente con lo sguardo fisso.

"Nulla di importante", ripetei. "Non mi sembrava nulla di importante"

"E' così", disse piccata.

"Okay". Il suo comportamento mi lasciò intuire che forse non era il momento adatto per obbligarla a parlare.

"Chi ha iniziato?", le chiese Tyler. Lei sospirò ed abbassò tristemente lo sguardo.

"Tecnicamente Clay", cominciò, ma vedendo le nostre facce si affrettò a correggere immediatamente: "Ma verbalmente Kendall! Ve lo giuro, Clay ha solo reagito male a qualcosa che ha detto. Lui non è così"

"Che diavolo ha detto per farlo reagire così?", domandò Tyler con un pizzico di ironia. Già, a volte la delicatezza non era il suo forte.

Susan prese a giocherellare con i piccoli ciondoli appesi ad una catenina d'argento che portava legato al braccio, alzando le spalle e lasciando intuire che l'idea di confessare tutto per filo e per segno non la entusiasmava particolarmente. "Una cosa su... "

"Su?", la incitai, cercando di non mostrarmi spazientita quanto in realtà ero. Le volevo bene e non ce l'avevo con lei. Non mi aveva ancora detto come era andato il loro appuntamento la sera prima ma il comportamento di Clay mi aveva spaventata. Avevo solo paura per lei.

"Non è nulla. Una stupidaggine".

Non andai oltre. Avevo capito che i suoi erano tentativi di evitare la conversazione, e non volevo stressarla né obbligarla a dirmi qualcosa che era ovvio non volesse dirmi.

Mi scambiai una rapida occhiata con Tyler. Immaginai avesse pensato la stessa cosa. Così aspettammo il suono della prossima campanella per congedarci in un silenzio imbarazzato.

"Ci vediamo più tardi, vado agli allenamenti", annunciò Tyler lasciandomi un bacio a stampo sulle labbra prima di affrettarsi verso la palestra.

"Mi dai un passaggio a casa?"

"Sei pessima a far finta di non voler sapere che cosa ha detto Kendall a Clay", ribatté con tono vagamente autoironico.

"Sono la tua migliore amica. Queste cose si dicono alle migliori amiche, no?"

"Andiamo", disse solamente. Uscimmo dalla porta che dava sul parcheggio ed in meno di un minuto eravamo già nella sua macchina, dirette verso casa mia.

"Devo dedurre che l'appuntamento ieri sera sia andato male?"

Le spuntò un sorriso ripensandoci. "No, in realtà. E' andato piuttosto bene"

"Piuttosto bene tipo da bacio? Un abbraccio?". Non commentò. "Oddio, un anello?", scherzai portandomi le mani davanti alla bocca con fare teatrale.

"L'ultima opzione, in realtà"

La guardai sbigottita, sperando che fosse solo uno scherzo. "Sto scherzando"

Buttai fuori tutta l'aria che non mi ero accorta nemmeno di star trattenendo. "Mi hai fatto prendere un infarto. Quindi non cercare di cambiare discorso!", la ammonii dandole un leggero schiaffo sul braccio.

"Va bene, va bene". Sospirò disarmata. "Kendall mi ha insultata. Sai che era lui il quaterback, prima, no? Probabilmente gli rodeva solo perché Clay gli aveva soffiato il posto e aveva bisogno di sfogarsi"

"Cosa ti ha detto?"

"Mi ha chiamato in modi non proprio carini. Sai, ha insinuato che facessi un certo mestiere sulla strada ". Lasciò sfumare la frase senza continuarla.

"E tu non hai detto nulla?"

"Ti sembro il tipo che se ne resta in silenzio?". Si girò a guardarmi facendo finta di essere offesa. "Gli ho risposto a tono. Forse ripensandoci sarebbe stato meglio non farlo. Comunque, lui si è infastidito Ha provato a tirarmi uno schiaffo, ma per fortuna mi sono spostata in tempo. E li Clay è intervenuto"

"Kendall ti ha picchiata?". Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Che razza di viscido uomo tratta così una donna?

"Non mi ha picchiata, Ele Era solo uno schiaffo, e non mi ha neanche presa, quindi è come se non l'avesse fatto", replicò guardando dritta davanti a sé.

"L'intenzione c'era tutta quindi, che l'abbia fatto o no, è grave, ed orribile"

"Lo so", ammise con rammarico.

"Mi dispiace, Sus". Le presi la mano, tentando di consolarla. Non spiccicò più parola, e cominciai a sentirmi in colpa per averla obbligata a raccontarmi la verità contro la sua volontà.

Cercai di smettere di pensarci. Come se non bastasse, farlo mi ricordava che stavo nascondendo una cosa del genere a Tyler. Una cosa così importante, che ero più che sicura volesse sapere.

"Sono a casa!", gridai strusciando i piedi sul tappetino all'ingresso.

"Ehi, sorellina!". Marty mi venne incontro e mi tolse allegramente lo zaino e il cappotto dalle mani.

"E tutta questa felicità?"

"Oh". Se la rise beffarda. "E' a causa tua. Sei altamente nei guai, e non vedo l'ora di vederti al macello!"

"Sono nei guai? Cosa ho fatto?". Jordy doveva aver scoperto che quella notte non avevo dormito a casa in qualche modo. Ero davvero nei guai, in quel caso.

"Ciao mamma. Jor", salutai tutti entrando in cucina. Un duo di espressioni serissime, interrotto da quella divertita di Marty come rincuorante finale. Non vedevo gli occhi di mia madre così duri e imperturbabili da tempo. Teneva le braccia incrociate sul petto con fare minaccioso ed il panno da cucina poggiato su una spalla.

"Dove hai dormito stanotte, Ele?". Dritta al sodo, quel giorno.

"Nel mio letto?", feci dell'ironia, consapevole che mentire non servisse poi a molto.

"Nel tuo letto. Stanotte non c'eri, nel tuo letto, quando mi sono alzato per controllare che fossi tornata tutta intera dal tuo ritiro per 'studiare' ", replicò Jordy socchiudendo gli occhi.

"Il compito è andato benissimo, a proposito! Era su Berkley, vi va di parlarne?"

"Ele", mi rimproverò mia madre. "Dove sei stata?"

"Te l'ho già detto, mamma", intervenne Jordy.

Mi finsi disgustata per cercare di far ridere qualcuno, a parte Marty, che non smetteva di coprirsi per soffocare le risate. "Sei un fratello terribile, te l'ho mai detto?"

"Ha fatto bene a dirmelo, invece. Hai dormito da Tyler?"

Oh, maledizione. Come ci si salvava da una situazione così evidente e controproducente? Insomma, avrei potuto negare, ma non sarebbe servito poi a molto. Avrei potuto altrimenti continuare a scherzare, ma probabilmente avrei ricevuto in risposta solo occhiatacce e qualche insulto.

"Okay, è vero. Ho dormito da Tyler. Ma ti giuro che non è come pensi"

"Che cosa dovrei pensare, secondo te? Mia figlia diciasettenne dorme dal ragazzo con cui sta da mesi. Posso pensare bene?". Aveva gli occhi infuocati.

"Okay, ammetto che la situazione possa sembrare quella che sembra, ma giuro che non è andata così"

"Allora cosa avete fatto tutta la notte? Giocato a ping pong?", domandò mio fratello con più che lecito sarcasmo.

"Tyler non ha un tavolo da ping pong", mi difesi in modo offeso.

"Ele", mi riprese ancora una volta mia madre.

"Mamma, ti prego di credermi. Abbiamo studiato per il compito di filosofia, e poi ci siamo addormentati. Tutto qui"

"Siete due ragazzi, e so a cosa si pensa alla vostra età. Gli ormoni impazziscono. Mi rimane difficile crederci", replicò aprendo le braccia spazientita.

"Secondo me ci hanno dato dentro", commentò Marty con totale nonchalance.

Sentii le guance andare a fuoco. "Marty!", urlò mia madre inorridita.

Jordy sembrava semplicemente confermare le sue teorie. "Non è vero, lo giuro!", gridai indicandola come se fosse un'insetto.

"Sei in punizione. Niente più scappatelle la notte a casa di Tyler. Sono stata chiara?"

Beh, più che comprensibile. Non me la sentivo neanche di protestare o cercare di farle cambiare idea. Sapevo avesse ragione.

"Okay".

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