27. È finita
"I look to you", Glee Cast Cover
Tyler's pov
"Dio, che freddo". Ele si strinse la sciarpa intorno al collo, mentre salivamo in macchina. Non sapevo perché, ero nervoso, tremendamente nervoso. Sentivo un blocco nello stomaco, non riuscivo a pensare ad altro.
Il caldo della macchina riuscì a rilassarmi un po', per lo meno.
"Conosci la via?", domandò girandosi verso di me.
"17 Mile Drive", affermai, e misi in moto la macchina. Come sempre, il motore impiegò qualche minuto a riscaldarsi dal freddo.
Tra le indicazioni su dove girare e quando, e l'evitare la neve per strada per non slittare, arrivammo al... a destinazione.
Non riuscivo a fare a meno di sospirare per lo sconforto. Sapevo che probabilmente era stupido, era una cosa successa mesi e mesi fa, ed io ero qui solo ora. Eppure, evitare le sensazioni di paura, mista a dolore, quel giorno più che mai mi riuscì troppo difficile.
Scendemmo dalla macchina, entrambi a malincuore.
"Stai bene?", mi chiese preoccupata. Averla lì era probabilmente l'unica cosa che mi confortava in quel momento.
"No. Non sto bene"
Non riuscii neanche a mentirle, quella volta. Ero sicuro che i miei occhi avrebbero raccontato una storia completamente diversa.
Mi affiancò, si strinse a me, un po' per il freddo, ed un po' per starmi vicino.
Entrammo nel grande cancello. Il buio della sera ci inghiottì entrambi.
Per il resto della giornata avevo dormito. Ero crollato subito dopo pranzo, e mi ero risvegliato qualche ora prima. Per fortuna le medicine mi avevano fatto abbassare un po' la febbre ed il mal di testa pungente.
Nocciolina, invece, si era data da fare. Aveva cucinato per tutti e due, ed aveva pulito e sistemato un po' la casa. Mi aveva visto stanco, ed aveva pensato di aiutarmi. Non riuscivo neanche a pensare a quante volte avrei dovuta ringraziarla per tutto quello che faceva per me, e per quanto mi stesse vicino.
Ci muovemmo lentamente, ed a causa del buio, e della neve che le ricopriva, non riuscimmo neanche a vedere chiaramente tutte le lapidi intorno a noi.
"Mi allontano un attimo, okay?", sussurrò.
Non volevo che se ne andasse, che mi lasciasse da solo, soprattutto in quel momento. Ma, come uno stupido, la lasciai andare.
Annuii silenziosamente e continuai sulla mia strada.
Osservai le file di croci posizionate nella grande distesa d'erba. Almeno, credevo fosse erba prima. Ora era tutto completamente bianco. Il marmo delle lapidi, anch'esso era ricoperto di neve, e cominciai a pensare che sarebbe potuto essere difficile trovare quello che stavo cercando.
I miei piedi avrebbero voluto rimanere fissi dove erano, affondati ad ogni passo nella neve profonda.
Reclamavano, mi chiedevano di non muoversi oltre. Sapevano che, ancora solo pochi passi, e tutto quello che mi era rimasto in questa città sarebbe crollato.
Osservai le scritte incise sul marmo. Mi infilai tra le file di croci, cercando la lettera C. Quindi mi girai verso destra, e lessi il cognome Cabritte. Andai avanti per la mia strada, doveva mancare ancora poco.
Lanciai occhiate di sfuggita ai cognomi incisi sul marmo.
Campbell, Callers, Cannon, Carter, Casey...
Tornai indietro bruscamente, anche se il mio cervello mi chiese tutt'altro. Mi chiese di andare avanti, di continuare per la mia strada.
E non si riferiva a qualcosa di letterale.
Mi fermai davanti ad una delle tante croci in mezzo a quella distesa di neve. Le lettere che lessi incise, furono quelle a spaccare il mio cuore. Il mio cuore, e tutte le speranze costruite nel tempo.
Non essendo lì, da Denver mi sembrava più facile evitare la verità.
Dal momento che il problema non c'era, facevo finta di niente.
Ma il problema c'era, eccome se c'era, solo che non ce l'avevo davanti agli occhi, quindi facevo finta di non vederlo.
Ma ora che era lì, il dolore lo vedevo eccome, inciso in corsivo su quel pezzo di marmo bianco. Non potevo più scappare.
Maggie Carter
14 Maggio 1967 - 2 Luglio 2018
Le mie ginocchia vennero a contatto bruscamente con la neve, mentre sentivo le lacrime pungermi gli occhi. Non ci provai neanche a fermarle, non avevo le forze per lottare anche con loro. Mi offuscavano la vista, non riuscivo a vedere nettamente.
Il freddo si ripercosse su tutto il mio corpo, ma non lo sentii. Le mie mani nude affondarono nella distesa. Ne estrassi una, e spazzai via la neve dal pezzo di marmo davanti a me.
Incise, le parole:
"Un animo gentile e premuroso.
Rimarrà per sempre nei nostri cuori"
La rabbia mi assalì, mentre le lacrime percorrevano il mio viso, mi solleticavano il collo.
Nessuno avrà mai letto quelle parole, e nessuno le avrebbe lette mai. Sarebbero rimaste lì, indistinte tra le tante altre. Una, tra tante altre. La neve le avrebbe ricoperte per tutto l'inverno, fino a che nessuno avrebbe potuto più ricordarsi di lei, perché nessuno avrebbe passato la sua mano per scostarla.
Sarebbe rimasta letteralmente sepolta lì . E quando il caldo estivo l'avrebbe sciolta, già tutti si sarebbero dimenticati di lei. Probabilmente erano state scritte da qualcuno che non la conosceva neanche, che non sapeva che cosa aveva dovuto affrontare nella sua vita.
Che non aveva idea di che donna forte fosse. Quando era morta, non avevano trovato nessun parente a cui chiedere che cosa avrebbero dovuto incidere sulla sua tomba.
A quel pensiero mi si spezzò il cuore.
Qualcuno si fermò accanto a me, immobile.
Mi girai a guardare, e vidi nocciolina, il suo volto pieno di dolore. Le lacrime si impossessarono del suo splendido volto, e mi fecero sentire meno solo. Potevo condividere il mio dolore con lei. Non ce la facevo a farlo da solo. E sapevo che era un gesto egoista, ma egoisticamente sapevo che lei era l'unica in grado di capire.
Si portò una mano davanti alla bocca mentre si avvicinava di più a me. Si inginocchiò davanti alla lapide, immersa nella neve. Tornò a guardare il dolore, personificato in quella stupida croce, quando posò dolcemente un mazzo di fiori colorati ai piedi del marmo.
Quei colori, nonostante il buio, riuscirono a dare un po' di vita e di spensieratezza a tutto il contrario che quella costruzione avrebbe dovuto rappresentare.
Fece passare il suo esile braccio sotto il mio e mi strinse più forte, mentre posava la testa sulla mia spalla e chiudeva gli occhi, abbandonandosi alle lacrime.
Mi sentii impotente, maledettamente impotente. Era come se, se fossi stato lì, avessi potuto pensare di poter fare qualcosa.
Salvarla. Salvarla dal baratro della malattia che me l'aveva strappata via.
Perché lei non se lo meritava. Aveva avuto una vita difficile in tutti quegli anni. Aveva dovuto sopravvivere da sola.
Senza un figlio che le stesse accanto, un marito che l'amasse, anche un semplice amico. Stare in quella città da sola l'aveva distrutta.
Ogni giorno, il pensiero che suo figlio non ci fosse più, che non avrebbe potuto più rivedere il suo sorriso, i suoi occhi illuminati che le dimostravano quanto amava la sua mamma. Era questo che l'aveva rovinata.
Ed io avevo fatto lo stesso. L'avevo abbandonata quando più aveva bisogno di me. Avevo permesso che continuasse a sopravvivere da sola, lottando contro se stessa ogni giorno, lavorare di giorno e di notte per mangiare e coprire le spese. Arrancando per arrivare a fine mese da sola, senza nessuno che le desse una mano.
Non ce la facevo a starmene lì, inerte, a versare lacrime amare su quello stupido pezzo di marmo. Sentivo di non meritarmelo.
Le mani nude affondate nella neve, con la speranza che la sensazione di fastidio mi facesse dimenticare tutto.
Lei era più di questo, lei non se lo meritava.
E questo trattino era la cosa che più mi devastava il cuore. Sapere che, tutta la sua vita, i suoi sforzi, le sue lacrime, i suoi sorrisi, fossero racchiusi in quel semplice trattino.
1967 - 2018
Come se la sua vita, per il mondo, non avesse contato nulla. Come se, gli ostacoli che le si erano stati messi davanti, non fossero poi così difficili da superare.
Chiusi gli occhi, lasciando che il freddo si impossessasse di me, mi strappasse a quel dolore che minacciava di schiacciarmi.
Da oggi, quello stupido pezzo di marmo, aveva trascinato con se una parte del mio cuore, che sapevo per certo non avrei potuto avere mai più.
L'unica cosa che riusciva a consolarmi era l'idea che quella parte, sparita per sempre, potesse essere colmata da qualcuno che occupava tutto il resto del mio cuore.
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