24. Un viaggio estenuante
"I need your love", Ellie Goulding
La prima cosa che feci quando mi svegliai fu controllare le previsioni ad Atlanta.
Digitai velocemente su internet, ed in meno di un secondo vidi la risposta.
Due gradi, alto pericolo di neve.
Perfetto, Atlanta mi piaceva sempre di meno.
Anche a Denver faceva freddo, ma non dovevano competere con la neve la maggior parte dell'inverno.
Mi alzai dal letto, per niente assonnata.
Ero sveglia da praticamente due ore, ed avevo fissato il soffitto come un idiota per tutto il tempo.
Frugai nell'armadio, cercai tra le cose che erano rimaste, e che non avevo messo in valigia.
Ieri sera avevo lasciato fuori un maglione molto pesante, la calzamaglia invernale ed un paio di pantaloni della tuta.
Amavo il freddo, ma fino ad un certo punto. Quando cominciavo a non sentire più le dita, o la punta del naso, non mi piaceva più così tanto.
Andai in bagno e feci una doccia calda, per rilassarmi, sperando di farmi passare il nervosismo. L'acqua calda, per fortuna, riusciva sempre a sciogliere un po' i miei muscoli tesi.
Quando uscii mi vestii immediatamente, già percorsa da brividi di freddo in tutto il corpo.
Portai silenziosamente giù la valigia ed il mio zainetto da viaggio. Erano le sei e mezza, ed in casa dormivano ancora tutti.
Arrivai in salotto e posai le mie cose accanto alla porta, mentre mi sedevo sul divano ed aspettavo impaziente.
Tyler avrebbe dovuto essere lì a momenti.
Sentii scricchiolare le scale, e dopo qualche istante fece il suo ingresso mia madre nel largo salotto. Indossava la camicia da notte ed aveva gli occhi leggermente socchiusi, infastiditi dalle prime luci dell'alba che spuntavano insistentemente dalle finestre.
Se li stropicciò distrattamente, mentre metteva a fuoco la mia figura sul divano.
"Già in piedi? Potevi dormire ancora un po'", sussurrò con voce assonnata.
"Lo so, ma ero già sveglia da qualche ora"
"Sei nervosa? Non preoccuparti, andrà tutto bene", mi rassicurò.
Si avvicinò e si sedé sul divano accanto a me.
"Grazie per avermi lasciato partire, mamma. Davvero, non sai quanto mi faccia piacere"
"Non preoccuparti, tesoro, te lo meriti"
"Non vi... dispiace che non ci sia per Natale?"
Ci pensò un attimo, anche se credo sapesse già la risposta da darmi.
"Staremo bene, non devi preoccuparti di noi. E poi, sai che non avremmo fatto nulla di speciale. Tu pensa a stare bene, e goderti le vie illuminate di Atlanta la notte di Natale.
Nella piazza principale mettono sempre un grandissimo albero, completamente illuminato, e chi vuole può lasciare appeso un bigliettino con su scritto un pensiero, un sentimento. Quello che vuoi, insomma. E poi, mentre gli americani scrivono le loro frasi emozionanti, un gruppo musicale suona le più belle canzoni natalizie mai state scritte".
Sorrise con occhi sognanti.
"È un'idea carina. Tu ci sei stata?", domandai.
"Si, anni fa, con tuo padre. Abbiamo contribuito ad allestire quello splendido albero. Dio solo sa quante di quelle frasi continuano ad essere vere anche nel presente. Chissà quanti amori si sono spezzati da quel momento", sussurrò tristemente.
"Sono sicura che se ne siano formati altrettanti di meravigliosamente splendidi".
Le sorrisi, sperando che ricambiasse. Vederla così triste era difficile.
"Spero che tu e Tyler possiate entrare a far parte dello stesso tipo di amore. Tesoro, sono felice che tu parta con lui, credimi. È un ragazzo d'oro, e qualche sera fa me ne ha dato la dimostrazione. Ammetto che l'ho giudicato troppo in fretta, ma capiscimi, che cosa avrei dovuto fare?", domandò accigliata.
"Lo capisco, mamma, non preoccuparti. L'importante è che adesso le cose siano un po' più chiare", la tranquillizzai.
"Si, lo sono... Mi dispiace solo per tuo padre, ma credo che vada bene per lui", mormorò pensierosa.
"Immagino di sì", risposi.
Per poco non saltai sul divano quando mi arrivò un messaggio di Tyler.
Sei pronta? Sono qui fuori.
"Che cosa dice?", chiese mia madre.
"È arrivato, devo andare".
Stavo per uscire dalla porta, quando mi bloccò.
"Tesoro, forse non dovrei dirtelo, visto che... Però, mi sento in dovere di farlo, come tua madre. In caso tu e Tyler decidesse di... diciamo, andare oltre... ", cominciò titubante.
"Mamma, per favore non... "
"No, tesoro, ascoltami."
A dir poco imbarazzata, dovetti obbligarmi a non scappare a gambe elevate. Quel discorso era davvero l'ultima cosa che mi era passata per la testa negli ultimi giorni. Io non ci avevo mai pensato, forse neppure Tyler, ma mia madre a quanto pare ci aveva preceduti tutti.
"Se decideste di farlo, in tal caso, io vi... inviterei, diciamo... a prendere le giuste precauzioni, per evitare incidenti di percorso, rovinarvi la vacanza e... "
Non vedevo l'ora di uscire da quella porta. La cosa stava diventando a dir poco imbarazzante.
Con mia madre non avevamo mai parlato di questo genere di cose. Probabilmente non l'avevo mai sentita parlarne neanche con Jordy, non avendo mai portato una ragazza a casa.
"Si mamma, ho capito. Ti prego, non andare oltre"
Annuí , con la piena consapevolezza che non fosse ancora finita lì la tortura.
Quindi feci per uscire una volta per tutte, ma ricominciò a parlare.
"Ah e, tesoro, non devi sentirti obbligata, capito? Non fare nulla se non vuoi, parlatene insieme e... "
"Oddio, mamma! Basta, mi stai facendo ammattire!", esclamai imbarazzata.
"Tranquilla, è tutto", ammise tristemente.
Prima di uscire, posai le mie cose e l'abbracciai dolcemente. Ricambiò quasi subito, come se avesse bisogno di stare accanto a sua figlia ora più che mai.
"Ti voglio bene. Prova a... divertirti. Ad essere felice, okay?", sussurrò tra i miei capelli.
"Lo farò".
Raccolsi nuovamente le mie cose. Mi misi lo zainetto sulle spalle, afferrai la valigia in una mano e con l'altra aprii la porta.
"Ele, porta le mie più sincere condoglianze a Tyler", mi ricordò dietro di me.
Annuii, girandomi verso di lei per farmi vedere, e qualche secondo dopo mi chiusi la porta alle spalle.
Il sole era appena sorto, e nel cielo si distinguevano un'infinità di sfumature di arancione. Il freddo era fastidioso. Si insinuava nei miei vestiti e mi provocava i brividi. Provai a stringermi il giacchetto sulle spalle, ma non cambiò poi molto. Se non sopportavo già il freddo di Denver, non volevo neanche pensare a quando saremmo arrivati ad Atlanta.
Tyler scese dalla macchina. Il freddo rendeva il suo viso più pallido, e ciò metteva in risalto i suoi occhi, ed i capelli scuri.
Venne verso di me e mi prese la valigia dalle mani. Prima di lasciarlo allontanare, lo afferrai per la giacca e lo feci rimanere fermo dov'è, ad un millimetro da me.
Mi alzai in punta di piedi e gli lasciai un bacio a fior di labbra. Prima di lasciarmi andare, afferrò le mie labbra con un movimento rapido.
Quando ci staccammo , mi osservava curioso. Un grandissimo sorriso si aprì sul suo volto.
Tornai con i piedi completamente a terra.
"Ci hai preso gusto?", domandò ridendo, afferrando la mia valigia.
Si avvicinò alla sua macchina, aprì il bagagliaio e cercò di metterla nel migliore dei modi, incastrandola con la sua.
"Potevi tirarti indietro", replicai.
Scosse la testa divertito, come se avesse perso le speranze. Sapeva che avevo ragione.
"Ce la facevo da sola", ammisi riferendomi alla valigia.
"Faccio il gentiluomo. Quale signore lascia la sua donna caricare in macchina la valigia?".
"Uno qualunque, immagino".
"Cosa hai detto?", domandò fingendosi minaccioso.
Si avvicinò bruscamente a me, cercando di intimorirmi, ma mi fece solo ridere.
"Non sei obbligato a farlo, Tyler, è un suicidio", gli ricordai ridendo.
Quando mi aveva "proposto" questa cosa, mi era sembrata un'idea carina.
Poi però mi ero informata, e mi ero rimangiata tutto. Mi sembrava una gran follia.
Ci pensò un po', un sorriso incerto solcava il suo volto.
"Allunghiamo il tempo da passare insieme così, no?", disse tranquillamente.
"Certo, infatti a me fa piacere. Devo solo starmene seduta a dormire, a sentire buona musica, ed a.... dormire. Sei tu quello che deve guidare per venti ore di seguito".
"Faremo qualche sosta." Con una scrollata di spalle, chiuse il bagagliaio e salì sul sedile del guidatore. Io feci lo stesso, e quando sentii il caldo all'interno della macchina, tirai un sospiro di sollievo.
"Ne riparleremo quando arriveremo", commentai.
"Oh, a proposito di musica". Sembrò leggermente imbarazzato. Allungò una mano e frugò nel vano porta oggetti, in cerca di qualcosa. Pochi secondi dopo ne estrasse una pennetta e me la porse.
"Che cos'è?", domandai.
"Beh... ho pensato che il viaggio sarebbe stato lungo, e ti saresti potuta annoiare. Così, ieri sera ho cercato un po' di canzoni su internet e le ho messe qui dentro. Ce ne sono anche alcune natalizie, ho messo quelle che ho trovato".
Lo guardai incredula.
"Grazie", sussurrai, ancora leggermente sorpresa.
"Non è nulla", rispose. Accese la macchina, ma impiegò qualche secondo per riscaldare il motore, rimasto troppo tempo al freddo.
Quando partimmo , immisi la pennetta nel lettore CD, e feci partire la prima canzone.
Nelle casse ai lati degli sportelli, si diffuse "Run to you", di Lea Michele.
"Adoro questa canzone", sussurrai, canticchiando la melodia sottovoce.
Lo osservai sorridere di soppiatto per le mie parole.
Aspettai che finisse la canzone per parlare di nuovo.
"A che ora pensi che arriveremo?", gli chiese.
Lanciò un'occhiata all'orologio digitale sullo stereo della macchina.
"Considerando che sono le sette, e dovremmo viaggiare per circa venti ore e mezza... ". Rise, rendendosi conto a cosa stava andando in contro. "Dovremmo arrivare per le quattro del mattino, considerando almeno due soste", concluse.
"Cavolo, ne abbiamo di strada da fare".
"Oh, si. Dobbiamo solo attraversare cinque stati, e poi arriveremo in Georgia. Una passeggiata".
"Ehi, è stata una tua scelta!", gli ricordai.
"Non mi dispiace affatto. Poteva essere un po' più lungo, questo viaggio", scherzò, con una strana incertezza nella voce.
Sorrisi, ma decisi di non ribattere per paura che il mio cuore potesse esplodere di gioia. Non volevo dargli anche quella soddisfazione.
Continuai ad ascoltare le canzoni della playlist creata da Tyler, che aveva soprannominato "Nocciolina e le sue canzoni sdolcinate".
Mi veniva da ridere solo a pensarci.
Passò"We wish you a marry Christmas", "Last Christmas", e infine "All I want for Christmas is you".
"You, baby!", canticchiai sottovoce. Lo spirito del Natale si stava impossessando piano piano di me, e mi stavo lasciando contagiare.
"Hai un futuro come cantante davanti a te", commentò Tyler ridendo.
"Non credo, sono stonata come una campana. Ma mi piace cantare", ammisi.
Scosse la testa, mentre mi rivolgeva una rapida occhiata, come per assicurasi che io stessi bene. Poi tornò a concentrarsi sulla strada.
Ci fermammo la prima volta in un Autogrill a Jefferson City, in Missouri. Il tempo di prendere un caffè per tenerci svegli, anche se sarebbe servito più a Tyler che a me.
Quando risalimmo, il sonno cominciò ad impossessarsi di me, e mi addormentai.
La seconda sosta la facemmo a Nashville. Eravamo anche tentati di fermarci qualche ora, per andare a visitare la ricostruzione del Partenone, ma saremmo arrivati troppo tardi ad Atlanta. Ed eravamo già abbastanza stanchi.
Tyler non demordeva ancora. Non mi capacitavo come facesse a guidare per una giornata intera e rimanere sveglio senza problemi.
L'ultima volta che guardai l'orologio della radio segnava le 23: 57. Mancavano tre minuti alla vigilia di Natale. Quella sera, la sera del 23 di Dicembre, a Denver i gruppi musicali si esibivano in canzoni natalizie per le strade più affollate. Chissà che cosa facevano ad Atlanta.
Ancora una volta, mi addormentai sulle note di una canzone natalizia. La playlist era ricominciata da capo almeno dieci volte in tutto il viaggio, ma non mi dispiaceva ascoltare le stesse canzoni.
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