33. Sono pronta?
I demoni della partita hanno infestato la nostra scuola per l'ennesima volta.
Ogni volta, questo edificio sembra ripopolato, come se la gente spuntasse fuori dopo un mese di pioggia come i funghi.
Però questa volta è diverso: l'eccitazione non è tanto per la festa, come le altre volte, ma per la partita.
L'ultima volta la nostra squadra ha perso, e Tyler mi ha spiegato che se perdiamo anche questa partita finiremo in pareggio, e molti dei nostri giocatori non otterranno la borsa di studio per l'anno prossimo.
A lui manca ancora un anno, come me, ma so che ci tiene comunque, e vuole aiutare i suoi amici a ottenere quelle borse di studio.
Questa settimana è un po' assente, si allena molto, ma lo capisco.
Passa molto tempo con la squadra in palestra o sul campo, e purtroppo, anche con le cheerleader.
Dopo che Bridget ha detto quelle cose in corridoio, lui non ne ha più parlato, e ovviamente non l'ho fatto neanche io.
Ma se devo essere sincera, un po' male ci sono rimasta.
Non posso dirglielo, però, perché non ne avrei motivo.
Come potrei giustificarmi senza essere invadente?
Un'amica non può dire al suo amico con chi stare e quando.
Susan però dice che dovrei dirgli come la penso, perché gli amici lo fanno.
Forse dovrei ascoltarla, ha sicuramente più esperienza di me.
Ho paura però.
L'ultima volta che io e Tyler ci siamo detti cosa provavamo non ci siamo parlati per due mesi e, nonostante tutto, anche se da amici, so di avere bisogno di lui come lui ha bisogno di me.
Almeno a mensa riusciamo a passare del tempo insieme, anche se a volte Susan se ne va ad un altro tavolo, perché non vuole "disturbarci".
"Ne abbiamo già parlato, nocciolina.
Non andremo a quella stupida festa", dice Tyler in modo serio, mentre mi guarda mangiare.
Invece, io voglio andarci.
Devo controllare solo un paio di cose, tutto qui.
"Non succederà nulla, Tyler, smettila di preoccuparti.
E poi sono abbastanza grande da potermi difendere da sola e da poter decidere da sola cosa voglio fare e dove posso andare.
Ed io voglio andarci", dico, abbassando lo sguardo.
Se mi conosce come penso, capirebbe che non sono del tutto sincera.
"Non è vero, non vuoi andarci, smettila di farlo per me.
Ti ho detto che non mi importa nulla."
"Non lo faccio per te, non illuderti Evans", scherzo, cercando di buttarla sul ridere.
"Allora guardami negli occhi e dimmi che vuoi andarci"
Maledizione, non voglio mentirgli così.
Ho imparato a mie spese che le bugie non portano a nulla di buono.
"Voglio andarci", dico guardando il mio patto.
Ecco,l'ho detto!
Che differenza fa se lo guardo o no?
"Guardami, nocciolina"
Alzo lo sguardo, e quegli occhi verdi mi stanno scrutando come sempre.
Amici o no, l'effetto che mi fanno è sempre lo stesso, e non so perché.
"Va bene, è vero che non voglio andarci, ma solo perché mi fa tornare in mente brutti ricordi.
Ma non per questo non puoi andarci neanche tu.
Non voglio obbligarti a stare con me.
E poi, forse potrei farmi qualche nuovo amico"
"Io non ti basto?", chiede in modo offeso.
Davvero se l'è presa?
"Non intendevo quello, Tyler.
Sto solo dicendo che una festa potrebbe essere l'occasione per farmi qualche nuovo amico, oltre a quelli che ho già, tipo te e... Te, insomma", spiego, cercando di non ferirlo.
"Non se ne parla. Se ci andiamo è perché mi stai costringendo, ma ti è vietato farti degli amici al di fuori di me.
Per quanto riguarda le ragazze, puoi anche parlare con tutte quelle della scuola, non mi importa"
"Chi sei, mio padre?", dico scherzando.
"Nocciolina, sei troppo ingenua.
Non tutte le persone sono quelle che mostrano, soprattutto i maschi, e te lo dico perché lo so bene.
So quello che pensano quando ti vedono e, credimi, non sono mai bei pensieri.
Non posso portarti ad una festa piena di gente così e dirti di farti degli amici, perché non lo sarebbero.
Non potrei sopportare che ti capitasse qualcosa per colpa mia."
"Questo me lo hai già detto", gli faccio notare, piantando lo sguardo nel suo, cercando di decifrare cosa provi in questo momento.
"E non ti dice nulla?", chiede.
Dal tono della voce sembra arrabbiato, e io non volevo che andasse a finire così.
"Va bene, ho capito Tyler, niente amici.
Non prendertela però, non voglio che tu ce l'abbia con me"
Per fortuna sembra calmarsi e, dopo un rapido saluto, si dirige verso la palestra, per l'ennesima prova con la squadra.
Quando torno a casa, non c'è nessuno.
Marty è ancora a scuola e Jordy all'università.
E la mamma, beh, spero sia a lavoro.
Ultimamente mi sembra un po' distratta, e passa davvero poco tempo a casa, a volte non torna neanche per cena.
Per fortuna Marty ama cucinare, altrimenti in questa casa non si mangierebbe più.
Nel pomeriggio vado a casa di Susan, ultimamente sto trascurando gli studi e devo rimettermi in carreggiata.
Anche se è un po' sulle nuvole a volte, a scuola ha il massimo dei voti, e per fortuna si è offerta di aiutarmi con le materie in cui vado peggio.
"Semplicemente, se nella prima legge di Mendel si manifesta soltanto il gene dominante, come gli occhi scuri, Mendel dice che nella seconda si manifesterà anche il gene recessivo, come gli occhi azzurri, che era rimasto nascosto nel primo incrocio", spiega Susan.
"E nella terza?", domando, presa dall'accurata spiegazione che ha fatto.
"La terza legge di Mendel è la legge
dell' indipendenza.
Dice che incrociando due individui che differiscono per due o più caratteri, questi si trasmettono indipendentemente l'uno dall'altro", continua, ed annuisco convinta.
"Va bene, va bene, basta, non ce la faccio più con queste leggi. E poi davvero, perché crearle? Non possiamo semplicemente stare a vedere se il bambino verrà con gli occhi scuri o con gli occhi chiari?", chiedo esasperata.
"Chiedilo a Mendel, magari risorge dalle sue ceneri solo per darti una spiegazione", scherza, chiudendo il libro di scienze davanti a noi.
"Comunque, pranzare non è più lo stesso senza te, Ele"
Dispiace anche a me, ma in fondo è lei che decide sempre di andarsene, senza motivo, tra l'altro.
"Non ti obbligo, infatti.
Sei tu che mi abbandoni sempre"
"Non voglio disturbarvi", commenta maliziosamente.
"Non c'è nulla da disturbare, lo capisci da sola?", sbotto, ma mi accorgo dopo di quello che ho fatto dalla sua faccia quasi sconvolta.
"E ti dispiace?", domanda Susan cauta, per cercare di non farmi arrabbiare di nuovo, come se avesse paura di me.
Mi dispiace cosa, che non ci sia nulla da disturbare?
No, perché dovrebbe.
"Insomma, ti dispiace che tu e Tyler siate solo amici?"
Non lo so davvero.
Insomma, so che tra me e Tyler non c'è mai stato nulla di serio, ma so anche che quella che stiamo vivendo non è amicizia.
Non so cos'è, e nemmeno lui.
Ma so che non potrebbe essere qualcosa di più.
Tutte le volte che ho provato ad avvicinarmi a lui ho sempre sofferto.
Lui mi respingeva, e io ci stavo male.
E poi, so che non sarebbe possibile.
Io devo affrontare i miei problemi, le mie paure e le mie insicurezze, e non so se lui può aiutarmi.
Insomma, non so neanche se è disposto a farlo.
E poi non posso ignorare come è fatto.
Per me significherebbe qualcosa che non so se lui è disposto a fare per me.
Sarebbe difficile, e a questo ci ero arrivata già tanto tempo fa.
E da lì le cose non sono cambiate.
Ma forse noi si.
No, non potrebbe essere altrimenti.
Anche perché, se fosse così, dovrei affrontare per la prima volta in vita mia qualcosa che non tiro fuori da tanto.
Qualcosa che non ho mai tirato fuori con nessuno, in realtà.
Io non so se sono pronta a farlo, e non so neanche se lui è pronto ad accettarlo.
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