1. La mia convinzione


Da anni ormai, convivo con solo una convinzione.

Tutto il resto non mi sembra reale, come se non potesse succedere davvero.
Come quelle cose che pensi potresti fare, ma che alla fine sai che non farai mai, perché sono troppo assurde.
Almeno, lo sono per te.

Come quando abbiamo una verifica, ma non ci va di studiare e cerchiamo di convincere noi stessi che non ci importi nulla.
Quindi pensiamo di non studiare ed andare impreparati, anche se poi non lo facciamo mai, perché ci sentiremmo troppo in colpa.

O come quando siamo bambini, e vorremo tanto andare dalla nostra mamma e dirle che le vogliamo bene, ma non lo facciamo quasi mai, per paura che magari lei non ricambi.
Anche se in fondo lo sappiamo che è così, perché è la nostra mamma.
Quando è così, non puoi mai fare a meno di paragonarti alle persone che ti circondano, e chiederti come facciano a vivere così serenamente.

Come fanno ad andare avanti con la loro vita, e instaurare rapporti tra di loro così facilmente?

Non si chiedono mai se siano fuori posto?

Forse queste stesse persone non hanno neanche mai pensato a come potesse essere una vita diversa da quella che hanno sempre vissuto.

Onestamente non credo che abbiano mai provato a calarsi nei panni di qualcun altro, per vedere il mondo da una prospettiva diversa.

Non si sa mai, magari quella prospettiva potrebbe essere migliore.

Beh, io lo faccio tutti i giorni.
Mi immagino spesso una vita diversa da quella che vivo, piena di insicurezze, nascondigli da tenere tali, e persone da tenere lontane.

Non sono brava a instaurare rapporti con le persone che mi circondano.
Come puoi sapere se una di loro ti pugnalerà alle spalle prima o poi?

Come fai a leggere dentro ad una persona e vederci la fiducia?

Come posso fidarmi di qualcuno che non conosco?

È questa la mia unica convinzione: non posso fidarmi di nessuno.

E forse questo è anche il motivo per cui ci sono poche persone nella mia vita.
Forse quasi nessuna.

C'è la mia famiglia, e Susan, l'unica persona che io abbia mai sentito vicino a me, ma la cosa finisce qui.

E si, non potrò mai avere la completa certezza che mi staranno sempre vicino, perché in loro non ho mai trovato un elemento che me lo facesse capire del tutto.

So che è un pensiero meschino, perché sono la mia famiglia, quelli che mi hanno cresciuto, ma sono arrabbiata con loro.
A volte ho l'impressione che non mi capiscano, e spesso me lo dimostrano anche.

Questo è il pensiero che mi viene in mente tutte le mattine quando mi sveglio, e so da cosa deriva.
Deriva da un ricordo, vivido nella mia mente come se fosse ieri.

Ma il ricordo non rappresenta immagini, bensì soltanto sensazioni e sentimenti.
E quella è la cosa peggiore.
Finché sono immagini, puoi provare a sostituirle con qualsiasi altro ricordo che trovi nella tua mente.
Ma le sensazioni non sono solo nella mia testa, ma anche sul mio corpo.

Ti rimangono incise sulla pelle come le cicatrici, insieme alle emozioni che suscitano dentro di te, e fanno male per tutta la vita.
Non è un dolore che puoi provare a cancellare, devi solo imparare a conviverci.
Molti dicono che se si trova la persona giusta, il dolore diminuisce un po', fino a scomparire, a volte.
Ma le mie domande sono molte.

Come si capisce chi è la persona giusta?

E come ci si può fidare?

Per una come me, con la continua paura del contatto fisico, queste sono le domande fondamentali.

Da anni ormai, la paura di essere toccata mi tormenta.
Ma non parlo di un tocco semplice, dove non c'è nulla di importante dietro.
Non parlo del tocco accidentale che avviene tra due persone per strada, per esempio, perché è inevitabile.

Ma parlo del tocco che cela un sentimento.
Amore, amicizia, tristezza, paura...

Un po' ho imparato a conviverci, ma non del tutto. E poi, è inevitabile. La vita è fatta di questo, contatto fisico, e io mi ritrovo a farne parte, anche se a volte non vorrei, perché non è stata una mia scelta.

Oggi per me inizia una nuova sfida contro me stessa: un anno scolastico.

Ogni anno mi prefisso degli obbiettivi da conquistare, e a volte li raggiungo, ma la maggior parte delle volte fallisco.
Ci provo con tutto il cuore ad andare avanti, ma a volte sento che non ci sia una vera ragione per cui dovrei farlo.
È come se una vocina dentro di me mi dicesse che non posso cambiare quello che sono, perché non si va contro la natura.
Alcuni di questi punti sono diventati fissi nella mia vita.

Provare a farsi nuovi amici e lasciarsi andare. Superare le mie paure.
Non prestare attenzione al pensiero delle persone. Imparare a fregarsene.

A volte ci riesco, a volte no, ma per fortuna gli anni passano in fretta.

Questo è il mio penultimo anno alla Signal High School, e da quando sono qui, si può dire che io abbia parlato con due persone in tutta la scuola.

La Signal è una delle tante scuole che ci sono qui a Denver, e come tante altre scuole, i pettegolezzi sono l'unica cosa che tiene in piedi gli studenti.

Quando percorro i corridoi le persone mi riconoscono come l'asociale e la difficile, perché sono una di quelle persone che cercano di passare il più inosservate possibile, e di vivere un tranquillo giorno di scuola senza che nessuno le disturbi.

Ho impostato un'opzione nella mia sveglia,che consiste nel ripetere incessantemente la frase:
"La giornata si prospetta allegra e gioiosa".
Si, diciamo che quando ho scelto le parole ero particolarmente ottimista.

Comunque, è sempre un buon augurio, anche se la sensazione di sprofondare nel letto la mattina non me la toglie nessuno, ed è proprio quella che sento in questo momento.

Dopo essermi alzata a fatica dal mio comodo letto, mi guardo intorno per orientarmi un po'.
Mi sembra di essermi appena risvegliata dopo un sonno durato decenni.
Arrivo in cucina dopo qualche minuto, dove trovo soltanto Marty e Jordy.

Marty è la mia sorellina, ha undici anni e da qualche tempo ha sviluppato una sfrenata passione per la cucina. A me non dispiace affatto, anche se a Jordy si, perché deve mantenere una "certa immagine", a detta sua.

È il mio fratello maggiore, ha ventun anni e studia ingegneria all'università di Denver.
È un po' lui che mantiene unità la nostra famiglia, perché sono anni che le cose non vanno per il verso migliore.
Gli voglio bene perché mi ha sempre protetta dalle situazioni difficili, sia a casa che a scuola, e per questo non potrò mai ringraziarlo abbastanza.

Si preoccupa molto per me e cerca di starmi vicino il più possibile, anche se ha la sua vita. Purtroppo spesso mi sento in colpa però, perché nonostante ci provi a capirmi, non potrà mai riuscirci a pieno.
Nessuno mi conosce davvero, neanche una sola persona nella mia vita.

Chiunque intorno a me vede solo quello che io soltanto posso decidere di mostrare.

Mi siedo sullo sgabello accanto a quello di Jordy, e comincio a mangiare la colazione che Marty mi ha preparato.
Onestamente, non so bene cosa sia, ma il cibo è cibo, e non voglio distruggere i sogni da pasticciera di mia sorella.

"Come è andato questo splendido risveglio?", mi chiede sorridente mio fratello, mentre addenta la stessa cosa che Marty ha messo nel mio piatto, anche se non ho la più pallida idea di cosa sia.

"Non c'è molto da dire, in fondo.
Come potrebbe andare?", gli rispondo ridendo, per non scoraggiare me stessa, mentre mia sorella lava gli arnesi che ha usato per preparare la colazione.

Mia madre entra in cucina qualche minuto dopo molto silenziosamente, con la sua solita vestaglia di seta grigia e le occhiaie ancora più pronunciate.

In questi giorni lei e papà stanno litigando molto, anche se cercano di non darlo a vedere per non farci preoccupare.
Non che sia una novità, comunque.

La mamma ha cominciato a dormire sul divano, anche se a volte non dorme neanche più
A volte mi sembra di sentirla piangere tutta la notte.

Non posso dire che la cosa sia completamente nuova per me, perché non sono mai stati la coppia perfetta, ma speravo nel meglio, ecco.

Marty è ancora un po' piccola per capire cosa stia succedendo, anche se sono sicura che non sia stupida, ma io e Jordy ci scambiamo di sfuggita un'occhiata preoccupata.

"Hai dormito bene, mamma?", le chiedo improvvisando un gran sorriso.

Lei non mi risponde, anzi non sembra neanche avermi sentito, e si mette seduta su uno sgabello proprio davanti a me.

"Senti, Ele", comincia, e queste due parole messe insieme non promettono mai nulla di buono.

"Visto che tuo padre questa mattina se ne è andato presto, probabilmente per non vedermi, mi toccherà farlo.
Qualche giorno fa il preside Helmor mi ha chiamata per dirmi che quest'anno ti hanno spostato diversi corsi con altri studenti del terzo anno.
Mi sembra abbia parlato del corso di matematica, biologia, inglese ed educazione fisica", continua fissando il suo piatto, senza guardarmi negli occhi.

A questa notizia, rimango un po' perplessa.
Perché mai dovrebbero spostare i miei corsi con studenti del mio stesso anno?
Non ha molto senso, anche se comunque non è una gran perdita.

Nel corso di matematica non conoscevo comunque nessuno, a parte un ragazzo, Paul, che era davvero molto gentile con me,e e forse l'unico essere vivente maschile con cui parlavo in quella scuola.
Anche se abbiamo il corso di inglese insieme, quindi non fa nulla.

Mi dispiace più che altro per il corso di biologia, perché c'era Susan, e non ho altri corsi con lei.
Già non ho quasi nessun amico, se mi tolgono anche l'unica che ho mi toccherà iniziare a parlare con i muri.

Rimane solo la classe di educazione fisica, anche se credo che non sarà un problema visto che...


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