Capitolo 12
Ci sediamo sul lettino della mia migliore amica e inizio a raccontarle tutto quello che è successo dal giorno in cui è iniziata la scuola fino ad oggi. Vedo l'espressione del suo viso cambiare ad ogni mia frase. Prima interessata, poi sconcertata, poi sorpresa, poi infastidita. Insomma, fra tutte le faccia che ha fatto nessuna è molto positiva. Però è molto attenta ad ogni mia parola e ad ogni minima parte del mio racconto. Quando finisco di parlare lei tira un sospiro e si viene a mettere vicino a me.
"Ran, non capisco perchè tu non me l'abbia detto prima. Hai passato tutto questo ed io non ne sapevo niente" dice con un tono leggermente deluso.
Credevo di avere una risposta molto semplice a questa sua domanda ma, in realtà, non è vero che non gliel'ho detto per non farla preoccupare. Non le ho detto nulla per paura di essere criticata o per paura che lei ci ridesse sopra. Sono stata una stupida, Sonoko non avrebbe mai fatto uan cosa del genere. Perchè qualsiasi cosa io faccia ultimamente, alla fine, risulta una cazzata?
"Scusami, avrei dovuto dirtelo subito"
La mia amica sospira di nuovo e poi mi passa una mano sulla schiena da conforto. Dopodichè scatta improvvisamente dal letto e si porta una mano chiusa a pugno davanti la faccia.
"La pagherà cara, lo giuro! Come si è permesso di farti questo?!" enfatizza con quasi le fiamme che le escono fuori da gli occhi.
Rido per la sua scenetta buffa e lei mi guarda con tenerezza e mi stringe in un confortevole abbraccio. Io l'adoro, davvero. Con lei sembra che ogni mio errore, in verità, sia sola una piccla cosa, ma so che non è così.
"Vado a prendere qualche snak da sgranocchiare. Sto tornando!" dice e mi fa l'occhiolino.
Le sorrido e poi la vedo uscire dalla stanza e chiudere la porta alle sue spalle. Faccio un sospiro che neanche mi ero accorta di trattenere e mi affaccio dal balcone della grande casa della mia migliore amica.
Qua fuori è tutto così incompatibile con quello che sto provando. L'aria di primavera è fresca e piacevole, però la bellezza dei fiori di ciliegio, delle nuvole bianche, del cielo azzurro e il cinguettio delle rondini che sorvolano la città non c'entrano niente con tutto quello che è in questo momento la mia vita. Assolutamente nulla.
Nella mia mente passa solamente il pensiero di lui che mi sorride, di quel bacio che ci siamo dati, delle sue carezze. C'ho provato in tutti i modi a piacergli, ho anche provato ad essere migliore più per lui che per me. Inconsapevolmente ho provato a renderlo orglioso di me. E anche adesso che mi ha ferita così tanto non desidero altro che ricevere una sua chiamata in cui mi dice che gli manco, che vuole che lo raggiunga e che lo abbracci.
Perchè lo farei. Lo farei e non ci penserei neanche più di una volta. E' sempre stato così, anche prima di conoscere lui. Ho paura di non riuscire mai a trovare qualcuno che mi ami e che resti. Ho paura di farmi sfuggire tutto dalle mani.
A richiamarmi dai miei tormentati pensieri c'è la vibrazione del mio cellulare. Lo prendo e guardo chi è: Shinichi.
"Non ti ho vista all'uscita, dove sei? Ran, dobbiamo parlare"
Stringo il cellulare in un pugno per la rabbia e mi trattengo dalla voglia di scaraventarlo dal balcone. Sento le lacrime calde ma amare scendere giù per il mio viso e finire sullo schermo illuminato del cellulare.
"Rispondigli"
Sento Sonoko venirmi vicino con in mano un piatto pieno di biscotti. La guardo contraria alle sue parole e lei sbuffa.
"Fallo. Digli tutto quello che vuoi ma rispondigli. E' inutile scappare" risponde a tono posando il piatto sul comodino nella sua stanza e venendomi di nuovo vicina.
Scuoto la testa in segno di negazione. Non ho assolutamente voglia di rispondergli. In primis perchè mi sento troppo delusa. In secundis perchè ho seriamente paura di litigare ancora con lui e mi sento una stupida per questo.
"Oddio Ran, rischia cazzo! Rischia! Scrivigli la prima cosa che ti passa per la testa. Non pensare a quello che ti risponderà lui, pensa solo a tutto quello che gli vorresti dire se lo avessi davanti, non avere rimpianti, mandalo a fanculo se lo merita, pensa a te stessa, sii egoista quanto basta, non ti fare mettere i piedi in testa da sto coglione. Se hai cose da dire, dille, vai contro corrente, fà quello che vuoi ma vivi. Così non vai da nessuna parte. Cerca di capirlo una volta per tutte" mi urla lei contro le mie continue paranoie e lamentale.
Forse ha ragione. Devo smetterla di preoccuparmi di quello che gli altri potrebbero dirmi o farmi. Prendo il cellulare fra le mani e inizio a digitare la mia risposta.
"Oggi ti ho visto con Usagi all'uscita da scuola. Sei solo un grandissimo pezzo di merda. Stammi lontano"
Invio e stop. Tiro un sospiro di liberazione e mi giro verso Sonoko che mi guarda negli occhi e nota la mia infinita tristezza. Mi abbraccia e mi fa un sorriso inteneruto provando a rincuorarmi.
"Amica mia, si sistemerà tutto. Fidati" mi conforta e mi da un bacio sulla guancia.
Resto un altro po' da Sonoko a parlare di cose varie e poi vado via. Papà è a casa stasera ed io devo preparare la cena. E' davvero difficile stare da soli quando ci si trova nella mia situazione perchè non riesco ad ascoltare quello che ho dentro, fa troppo male. Non riesco neanche ad accettare quello che provo per lui. Mi sento una stupida per il modo in cui mi sono fatta trattare. Ed è frustante. Molto.
Sono super incazzata. Eppure, se penso ai suoi occhioni azzuri svengo. Non riesco ad odiarlo, neanche ad essere infastidita da lui. Nella mia testa si susseguono come su tante diapositive tutti i suoi movimenti, tutto quello che ho di lui. Il suo modo di spostarsi il ciuffo con le mani, soprattutto quando è nervoso. Sempre gli stessi ciuffi castano scuro cadergli davanti agli occhi nascondendo parte di quel blu. Il modo che ha di guardarmi fissa negli occhi quando è arrabbiato. Le sue labbra morbide e perfette.
Ogni centimetro del suo corpo, ogni centimetro di lui. Non posso provare qualcosa di negativo se penso a tutto questo e, ancora meno, se penso a tutte la belle parole che mi ha detto. Se ripenso alla sua bocca che le pronuncia sento ancora le stesse emozioni. Un misto di confusione e timidezza, insieme ai miei sentimenti che crescono. Non riesco a rinunciare a tutto ciò. Ma questo vale per me. Per lui è stato facile rinunciare dopo avermi presa per il culo.
Alzo gli occhi da terra e noto di essere quasi davanti al Poirot. Giro per salire le scale e i miei pensieri prendono vita facendomi trovare quegli stessi occhi azzurri che mi tormentano proprio qui. E' seduto nelle scale di casa mia con le mani intrecciate, le gambe leggermente divaricate e la testa bassa. Quando sente i miei passi fermarsi alza lo sguardo facendo scontrare i nostri occhi in modo quasi violento.
Resto un attimo immobile a guardarlo. Nel suo volto vedo spuntare un sorriso di immenso sollievo e felicità. Che cazzo ci ride? Pensa che spuntando sotto casa si aggiusti tutto? Beh, se pensa una cosa del genere...ha ragione. Non riesco a tenere una sguardo severo su di lui e mi addolcisco subito. Lui deve averlo notato. Infatti, si alza e mi viene vicino sfoderando un sorriso soddisfatto. E' consepevole dell'effetto che mi fa, sa che solo guardandolo mi sento in estasi. E lui adora giocare con questo, facendo tutto quanto il figo. Bastardo. Però stavolta devo fargli vedere che non può sempre ammaliarmi col suo fascino.
"Che ci fai qui? Ti ho già detto di starmi lontano" dico con tono severo e con sguardo accusatore.
"Sono venuto a spiegarti tutto e tu starai zitta ad ascoltarmi, chiaro?" mi sussurra avvicinandosi pericolosamente a me per poi soffiarmi sulle labbra.
Mi coglie un piccolo sussulto e abbasso lo sguardo imbarazzata. Così mostro tutto il contrario di quella che si chiama rabbia. E non va bene.
"Non starò nè zitta nè, tantomeno, ti ascolterò. Puoi giurar--"
Non riesco a finire la frase che mi trovo a testa sotto presa di peso sulla sua spalla, come un sacco di patate. Inizio a dargli pugni sulla schiena per farmi mettere a terra ma lui continua insistente. Ma io non demordo e inizio a fare gridi attirando l'attenzione di coloro che passano.
"Ran, se non smetti di fare gridi ti butto nella fontana del parco, giuro. Tanto non è distante di qui. E sai che se una cosa la dico, la faccio!" mi dice con tono autoritario senza darmi possibilità di ribattere.
Mi porta in uno dei parchetti abbandonati della città e mi siede su una delle panchine. Adesso inizia la lunga discussione.
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