Capitolo 8
Blake
Lasciò cadere sulla moquette il braccio dell'aspirapolvere e incrociò le braccia sul petto, doveva aver capito cosa le stessi guardando. Le ragazze si mostravano sempre compiaciute delle mie attenzioni, ma era evidente che lei non era come tutte quelle che mi gironzolavano intorno. Spostai lo sguardo sui suoi occhi e, nonostante la spessa montatura degli occhiali, lo vidi. Il suo viso d'angelo. Il suo fascino deriva proprio dalla sua innocenza, quella che aveva tentato in tutti i modi di nascondere con un atteggiamento strafottente. E mi chiesi il perché. Cosa la spingeva a comportarsi da stronza con un ragazzo appena conosciuto? Dovevo irritarla. La cosa non solo mi avrebbe divertito parecchio, ma sarei riuscito a portarla dove volevo.
«Dubito che troverai un ragazzo, conciata così.»
«Che cosa hai detto?». Mi lanciò uno sguardo truce. Dovevo averla fatta proprio arrabbiare e non riuscii a trattenermi. Le sorrisi, convinto che le avrei dato ancora più sui nervi, mentre lei diventava sempre più adorabile. «E chi ti dice che io non ne abbia già uno?» ribatté, sistemandosi gli occhiali con un dito.
Si stava trattenendo più di quanto fosse umanamente possibile per non saltarmi addosso e strangolarmi. Si spostò dall'altra parte del letto, in modo da darmi le spalle e afferrò un cuscino. Non potevo biasimarla, adesso, quello che si stava comportando da stronzo ero io.
«Quanti anni hai?» le chiesi. Mi guardò di sottecchi, girando lievemente la testa e lasciando che un ciuffo di capelli le coprisse il viso. «Mia sorella dice che hai la sua età, ma sono sicuro che si sbaglia.»
«Perché?»
«Sembri una ragazzina.»
I nervi stavano per saltarle uno ad uno come corde di violino, ne ero sicuro. «Ho diciassette anni, contento?»
«Davvero?». Alzai un sopracciglio. «Ne dimostri quattordici, non di più». Il suo corpo, invece, gridava la mia di età. Quelle curve sembravano le chicane dei circuiti su cui ero solito correre. Tutto in lei mi ricordava una donna, maledizione! «Deve essere stato quel bel faccino acqua e sapone a tradirmi, ma non ti trucchi?»
«Sono qui da appena un giorno. Vivo nella casa di uno zio che a malapena conosco. Mi sto sforzando di rendere pacifica questa convivenza forzata e vorrei uccidere mia madre per questo. Quindi no, non mi trucco. Ho ben altro di cui occuparmi in questo momento, che pensare a cose così sciocche. E adesso, scusami, ma ho molte cose da fare». Strinse la bocca di scatto e il suo sfogo terminò lì.
Bingo.
Lo sapevo che c'era qualcosa in lei, qualcosa che doveva tormentarla. Non mi restava altro che scoprire cosa fosse. Curvai leggermente la testa e la fissai. Il suo mutismo stava diventando intollerabile. Aveva appena raccontato la storia della sua vita ad un ragazzo che neanche conosceva, dovevo fare qualcosa per rimediare.
«Okay, ti do una mano». Mi avvicinai alle finestre e le spalancai. Una brezza di fine estate entrò nella stanza, rifrescandola. «Come prima cosa, bisogna far prendere aria alla camera». La vidi precipitarsi alla finestra con una tale velocità, che pensai volesse buttarsi giù. La fermai, afferrandola per i fianchi. «Ehi, stai attenta! Potresti cadere di sotto.»
Le mie mani la fecero sussultare tanto da battere la testa contro il soffitto. «Ahi!»
«Fammi vedere». Infilai le dita tra i capelli, per controllare dove si fosse fatta male o stesse perdendo sangue. In quel momento notai il suo sguardo, profondo e sensuale. Il contorno degli occhi sembrava tracciato con una matita tanto era scuro, così come le lunghe ciglia. Invece, era tutto naturale ed io la stavo contemplando come un idiota.
«Sto bene» dichiarò stizzita, spintonandomi via.
Quella vicinanza le stava creando qualche problema. «Cosa succede?»
«Niente» ammise serafica. «Basterà metterci del ghiaccio.»
«Non mi riferivo a quello». Feci qualche passo verso di lei e tentai di afferrarle un braccio, ma fu più rapida ed evitò il contatto, spostandosi dall'altra parte del letto. Agguantò un cuscino e incominciò a sbatterlo, facendo finta di niente. «Ho fatto qualcosa che non dovevo?»
«No, niente» rispose senza neanche guardarmi.
La raggiunsi. «Cosa ti ha fatto?»
Mi guardò sbalordita, come se le avessi sussurrato una frase oscena. «A chi ti riferisci?»
Arretrai di qualche passo alzando le mani, a rimarcare la mia innocenza. «Al cuscino. Lo stai martoriando, poveretto.»
«Oh» tirò un sospiro di sollievo, ma non poté nascondere il rossore che le era apparso sulle guance.
«Si fa così». Le tolsi il cuscino dalle mani, gli diedi un paio di colpetti e lo lanciai sulla poltrona. «Prova tu» le suggerii, passandogliene un altro.
I nostri sguardi si incrociarono per un istante, ma lei distolse il suo immediatamente. «So come si fa» dichiarò stizzita. Il cellulare le squillò. Lasciò andare il cuscino e rispose al secondo squillo. «Ciao, Ethan.»
Indietreggiai di qualche passo per lasciarle un po' di privacy, ma inciampai in uno dei tanti scatoloni disseminati per la stanza. Imprecai per la figura di merda che avevo appena fatto davanti a lei.
«Oh, nessuno» disse, prima di girarsi a guardarmi. «Solo un grosso scimpanzé scappato dallo zoo.»
Sbattei le palpebre incredulo, poi mi ricomposi. Appoggiai una spalla alla parete e le lanciai uno dei miei sguardi ammalianti.
«Blaze, Bevis» si interruppe, poi si voltò di nuovo verso di me. «Scusa, come hai detto che ti chiami?»
Sollevai un sopracciglio. Avrei voluto strangolarla, nessuna ragazza aveva osato tanto prima d'ora, ma rimasi al gioco. «Blake.»
«Dice di chiamarsi Blake» proseguì. «Sì, lui». Continuava a mantenere lo sguardo fisso su di me, con un sorrisetto impertinente sul suo bel visetto. «Per accertarsi che io conosca la strada per Harrods, immagino» dichiarò, fulminandomi con un'occhiataccia. «A quanto pare, non apprezza il mio abbigliamento». Stando alle sue parole, Ethan doveva averle chiesto cosa ci facessi lì. «Una tuta, Ethan. È un problema anche per te? Come hai detto?» chiese. A quel punto, attivò il vivavoce. «Non credo di aver capito, puoi ripetere?»
«Ho detto che hai fatto bene a chiamarlo scimpanzé.»
Sorrise compiaciuta, puntando il cellulare verso di me. A quel punto, lo salutò e chiuse la conversazione. «Allora, Blaze...»
«Blake» la corressi. Poi, mi avvicinai a passo svelto e mi fermai solo quando fui a un centimetro da lei. Le misi dietro un orecchio una ciocca di capelli sfuggita dalla crocchia. La vidi sussultare e puntai con lo sguardo le sue labbra. «Il mio nome è Blake.»
Mi schiaffeggiò la mano per allontanarla dal suo viso.
«Cristo!» urlai, facendo un salto all'indietro. E per poco non inciampavo in uno degli scatoloni. Di nuovo. «Ma che problemi hai?»
«Sarai tu ad avere dei problemi, se mi metti un'altra volta le mani addosso» mi minacciò.
«Non sei per niente carina.»
«Ma io non voglio essere affatto carina con te.»
Stavo per controbattere ma il suono di un clacson mi fermò. Una parte di me avrebbe voluto farla finita con quella farsa, abbassare la testa e assaggiare il sapore della sua bocca. Ero pronto a scommettere un braccio che non mi avrebbe respinto, ma pensai che non valeva la pena prendersi quella piccola soddisfazione. Uscii dalla stanza senza neanche salutarla.
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