Capitolo 6
Emma
Verso le sette di sera bussammo alla porta della famiglia Evans. Quando Ethan mi lanciò un'occhiata e si accorse di come stesse traballando il tiramisù che stringevo tra le mani, doveva aver capito quanto fossi agitata.
«Lasciamo il dessert e andiamo via, okay?» mi tranquillizzò, appoggiandomi un braccio sulle spalle.
Scossi con fermezza la testa. «Sto bene.»
Ethan mi diede un leggero bacio sulla fronte. «Sicura?»
«Sicura» mentii. Ethan mi stava servendo la fuga su un piatto d'argento e io avevo solo voglia di svignarmela da quella situazione, per trascorrere il resto della serata barricata nella mia stanza. Ma che impressione avrei dato? E che figuraccia avrebbe fatto Ethan per colpa mia?
Poco dopo, la porta si aprì e fece capolino una figura snella, molto più bassa di me e con gli stessi capelli biondi di Kate. Fece un passo indietro e chinò la testa di lato. «Tu devi essere Emma, giusto?». La sua voce era mielata e bassa, come il miagolio di un gatto. Pensai a Happy e alle fusa con cui mi accoglieva, quando andavo a casa di Ari.
«Giusto» dissi, virando lo sguardo verso il pavimento e giocherellando con una ciocca di capelli. Evitai di proposito il suo sguardo. Non sarei stata capace di reggerlo; l'imbarazzo e il disagio, che certamente trapelavano dai miei occhi, non erano emozioni che avrei condiviso con una sconosciuta.
«Finalmente ti conosco!» esclamò e le sue braccia mi furono addosso in un attimo. Fu alquanto complicato respirare e doveva essersene accorta anche lei, perché mi lasciò andare poco dopo.
In quel momento, Kate fece il suo ingresso nella stanza con un ragazzo al seguito. «Siete ancora sulla porta, forza entrate». Prese per un braccio Ethan e lo trascinò dentro.
Mi obbligai a mettere un piede davanti all'altro e li seguii.
«Emma ha fatto il tiramisù» esordì Ethan, porgendolo a Kate insieme a una bottiglia.
«Oh, sei stata un tesoro, Emma, grazie.»
«Lui è Jay» asserì Violet, indicando il ragazzo al suo fianco. Il modo in cui era avvinghiata al suo braccio, mi diede l'impressione che stessero insieme.
Fantastico. Il mio primo giorno qui e chi ti incontro? La principessa e il ranocchio.
La nausea mi saltò giù fino allo stomaco. Mi guardai intorno, così da convogliare la mia attenzione su qualsiasi cosa che non fosse la coppietta male assortita davanti a me.
«Come va, Emma?» mormorò Ethan, posandomi una mano sulla spalla.
Una favola. Splendidamente. Mai stata peggio di così.
Mi obbligai a sorridergli, tanto per risultare più credibile. «Benissimo.»
La tavola era addobbata di tutto punto. Ethan e Kate presero posto alle estremità opposte del tavolo, io mi sedetti di fianco a Ethan, mentre Violet e il suo ragazzo sul lato opposto al mio.
Kate cominciò a passare le pietanze. «Mi scuso per Blake, non sarà dei nostri stasera.»
«Un imprevisto rosso fuoco, sbucato all'ultimo minuto» proseguì Violet, con un sorrisetto irriverente.
«Vì» la rimbeccò sua madre.
«Che c'è? È la verità» affermò lei, studiandosi le unghie come se non avesse dichiarato pubblicamente che il fratello fosse un casanova incallito.
«Può anche essere la verità, ma di certo non sono affari tuoi.»
Violet sbuffò, prima di riempire il piatto di Jay di insalata. Poi fece lo stesso con il suo.
«Come ti stai trovando qui, Emma?» mi chiese Kate, mentre mi metteva nel piatto una fettina di roast beef accompagnata con delle patate novelle al forno.
Sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le rivolsi un sorriso forzato. «Molto bene, grazie a Ethan.»
«Ethan ti adora, Emma». Kate guardò lui e poi di nuovo me. «Da quando ha saputo che ti saresti trasferita qui, non ha pensato ad altro. Voleva che tutto fosse perfetto e che non mancasse nulla, per farti sentire a casa.»
«Mi ci sento». Mandai giù un boccone di carne e mi schiarii la gola. «A casa, intendo.»
«Grazie, Emma» mi sorrise Ethan. «Sei molto dolce.»
«Parli molto bene la nostra lingua» esordì Jay. «Per essere straniera.»
Gli gettai un'occhiata attraverso i riccioli castani che mi penzolavano sul viso. «Mia madre è di queste parti, parlo inglese da quando sono nata.»
«Vì mi ha detto che frequenterai la nostra scuola» proseguì Jay, prima di addentare una patata.
Annuii. Mandai giù un sorso d'acqua prima di replicare. «So che le cose qui sono diverse e avrò bisogno di aiuto per ambientarmi.»
«Puoi contare su di noi» affermò lui, voltandosi verso Violet che annuì.
Quell'affermazione mi strappò un sorriso, il che non accadeva da mesi. Jay continuò a fissarmi e lasciai che una ciocca di capelli mi ricadesse in avanti per nascondere il viso. Non sopportavo essere osservata in quel modo.
Chiacchierammo degli orari a scuola, dei tutor, dei corsi sportivi e iniziai ad avere un leggero mal di testa. Violet mi chiese se il mio colore di capelli fosse naturale, perché lo trovava fantastico e voleva assolutamente provarlo. Jay era contrario all'idea che la sua ragazza si tingesse i capelli biondi, li adorava così come erano. Alla fine, si concordarono su una nuance a metà tra il mio castano scuro e il suo biondo platino.
Alzai gli occhi al cielo, quando la discussione sui capelli di Violet si spostò sulla colossale cotta di alcune sue amiche per suo fratello Blake.
«E tu, Emma, hai il ragazzo?» mi chiese Violet a bruciapelo, giusto per rendermi partecipe della conversazione. «È italiano?»
Girai di scatto la testa verso Violet e la guardai come se mi avesse scaraventato addosso un secchio d'acqua ghiacciata. Gli occhi mi si colmarono di lacrime e sentii le guance avvampare. Era riuscita a scavare nel mio passato e, senza saperlo, mi stava tirando fuori quel dolore che non smetteva mai di pulsarmi sotto la pelle, che mi ricordava ogni istante della mia esistenza che non sarei stata più la stessa.
Quattro paia di occhi erano puntati su di me, mentre i miei erano fissi su quelli di Ethan. Per un istante vidi un bagliore di tormento traghettargli sul viso, poi quel tormento si trasformò in prudenza. Aspettavo che intervenisse al posto mio per tirarmi fuori da quella situazione, invece rimase fastidiosamente imperturbabile.
Mi morsicai l'interno della guancia, mentre facevo balzare il mio sguardo tra Violet e Ethan con un certo nervosismo, fino a quando non mi decisi a dire qualcosa. «Nessun ragazzo». Attesi un paio di secondi prima di proseguire, per evitare che la voce mi abbandonasse. «Le relazioni a distanza non sono il mio forte.»
Le rughe di fianco agli occhi di Ethan si distesero e lo vidi sorridere. Evidentemente, la mia risposta diplomatica era più di quanto si aspettasse.
«Brava, la penso esattamente come te» mi elogiò Violet. «Qui sarai corteggiatissima, i ragazzi impazziscono per le bellezze mediterranee come te.»
Mi turbinava la testa per l'agitazione e stavo sudando freddo. Per quanto ancora Violet aveva intenzione di parlare di ragazzi? Incominciavo a non tollerarla più. Lasciai cadere la forchetta nel piatto e, d'istinto, allungai entrambi gli orli delle maniche fino alle mani. Dovevo pur difendermi in qualche modo da quegli attacchi. Mi mossi sulla sedia, cercando di recuperare un minimo di autocontrollo. Sentivo il mal di testa assumere sempre più la forma di un'emicrania e l'unica cosa che desideravo era chiudere gli occhi, trascinarmi fino alla mia camera e mettermi a letto.
Ethan mi posò una mano sul polso coperto dalla manica. Dovevo dargli l'impressione di essere estremamente vulnerabile, mentre lui trasudava sicurezza. Quella che voleva infondere in me, per incoraggiarmi ad affrontare le mie paure più che a reprimerle. Avrei voluto avere la sua stessa sicurezza, perché non ero sicura che, in quel momento, parlare di ragazzi fosse terapeutico per me, non quando il volto arrabbiato di Alessio continuava a tormentarmi.
«Sai già quali corsi frequenterai?»
La voce squillante di Violet mi riportò a Nottingham. Cercai di ricordare quello che mi aveva chiesto, ma fu un vero fallimento. «Scusami... dicevi?»
Violet si raddrizzò sulla sedia, visibilmente infastidita dalla mia distrazione. «I corsi» ripeté. «Quali pensi di frequentare?»
«Dalle tregua, Vì» l'ammonì Jay. «Ha ancora una settimana per pensarci.»
Jay, incominci a piacermi.
A causa del mio mal di testa, io e Ethan andammo via subito dopo aver mangiato il dessert.
Mi infilai il pigiama e, dopo aver ingoiato un antidolorifico, andai a letto. Sentii salire Ethan e, poco dopo, il solito messaggino sul cellulare. Gli dissi che poteva entrare.
Un'ombra altissima si avvicinò al mio letto. «Sogni d'oro, Emma» mormorò, prima di baciarmi la testa.
Abbracciai quelle parole come fossero il mio vecchio orsetto peloso, mi ci tenni stretta con tutta la forza che avevo. La mia prima notte lontana da casa. Poi, mi addormentai.
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