Capitolo 5
Emma
Quando scesi in cucina, dopo aver fatto la doccia ed essermi infilata un paio di jeans e una maglia a maniche lunghe, trovai le borse della spesa sul bancone della penisola.
Ethan era appena arrivato e ne stava svuotando una. «Spero di non aver dimenticato niente.»
Mi avvicinai e diedi una rapida sbirciata all'interno dei sacchi. «No, c'è tutto» gli feci notare. «Ma c'è più roba di quella che ho richiesto.»
«Faccio raramente la spesa, di solito mi fermo a mangiare da qualche parte nei pressi del mio studio ma, adesso che ci sei tu, mi piacerebbe che almeno a cena mangiassimo insieme. Va bene per te?»
Annuii, poi disposi sul tavolo gli ingredienti che mi sarebbero serviti per il tiramisù, era quello il dessert che avevo in mente di preparare. Era in assoluto il mio dolce preferito ma anche quello che sapevo fare meglio e, quella sera, avevo intenzione di fare bella figura.
«Posso darti una mano?». Ethan tirò fuori da una credenza utensili vari, non sapendo evidentemente di cosa avrei avuto bisogno. Si voltò verso di me stringendo in una mano dei misurini e nell'altra una bilancia. «Hai bisogno di questi?»
«Solo della bilancia, grazie». L'afferrai e, dopo averla accesa e tarata sui grammi, misurai lo zucchero. «Potresti preparare il caffè» gli suggerii. Presi una boule che trovai all'interno di una vetrinetta e gliela diedi. «Devi riempirne metà .»
«Oh, bambina». Il suo sguardo meravigliato perlustrò il contenitore molto affondo. «Bevi così tanto caffè?»
Mi lasciai sfuggire un sorriso. «à per il tiramisù, ci devo inzuppare i savoiardi.»
«Ah». Scoppiò a ridere. «Non avevo capito». Si avvicinò alla macchinetta e iniziò a versarci dentro del caffè in polvere. «Saranno secoli che non lo mangio. Beverley lo preparava ogni domenica.»
«à stata lei ad insegnarmi come si fa». La voce mi si troncò all'improvviso, come se mi fosse scivolato in gola un chicco d'uva. Era una delle poche cose che mia madre mi aveva insegnato, gli unici momenti della sua vita che mi avesse dedicato. Le mie mani si strinsero con forza attorno alla confezione di uova.
Ethan si avvicinò e me le tolse prima che ne facessi una frittata. «Non farmi tornare al market, ti prego» disse in tono implorante. «La fila alla cassa è la cosa che detesto di più.»
«Scusa». Il mio sguardo rimase fermo a fissare il vuoto. Una serie di immagini iniziarono a scorrermi davanti. Una vasca. Mia madre. Un aereo.
«Emma, non è con lei che devi prendertela ma con me.»
«Con te?» chiesi, sorpresa. Mi scostai una ciocca dalla fronte con il dorso della mano. «Non capisco, perché dovrei prendermela con te?»
«Sono stato io a dire a tua madre di mandarti da me, ho dovuto spaventarla dicendole che l'avresti rifatto» confessò, posando le uova sul tavolo. Mi appoggiò una mano sulla spalla, costringendomi a guardarlo. «Beverley non voleva, credimi. Si sentiva in colpa per averti trascurata.»
«Non è per lei che io...» non riuscii a concludere la frase. Quei ricordi erano ancora troppo vividi e, ogni volta che tornavano a galla, rischiavo di annegare. Le lacrime mi bucavano gli occhi, ma non avrei pianto. Non un'altra volta. Non per causa sua. Sentivo la rabbia ribollirmi dentro. Continuavo a fissare Ethan, incredula. La sua confessione mi aveva spiazzata. Ero convinta che l'idea del trasferimento fosse opera di mia madre, che avrei dovuto convogliare su di lei tutta la mia rabbia ma, inspiegabilmente, non mi interessava.
«Io, invece, penso che lei abbia avuto un ruolo determinante in tutta questa storia, per questo ho ritenuto opportuno allontanarti da lei.»
«Perché non mi ha detto la verità ?»
«Non lo so, Emma. Quando mi ha chiamato e, in lacrime, mi ha raccontato quello che era successo, immagino cercasse solo un modo per aiutarti. Era disperata, aveva paura per te e non sapeva cosa fare» fece una pausa, si sedette su uno sgabello e mi prese il viso tra le mani. «Alla tua età , le delusioni d'amore sono all'ordine del giorno. Questo non significa che non siano importanti o che non facciano male, ma ricorrere al suicidio non è la soluzione adottata dalla maggior parte degli adolescenti. à evidente che il dolore che ti ha spinto verso un gesto così estremo ha un'origine più profonda, un'origine che devi individuare per non cadere un'altra volta in quella trappola. Io posso aiutarti, per questo ti ho voluta qui.»
«E' grave?»
Ethan doveva aver colto la mia preoccupazione perché, quando riprese il discorso, lo fece con un tono meno drammatico. «Lo è, ma sei una Stevens. Puoi affrontare qualsiasi cosa, non dimenticarlo.»
«Dovrò venire nel tuo studio?»
Ethan sorrise, divertito. «Non ce ne sarà bisogno, potremo chiacchierare anche qui, come abbiamo appena fatto.»
«Questa è stata la nostra prima seduta?»
«Certamente, come ti è sembrata?»
«Non saprei, non ero preparata.»
«E non devi esserlo mai, altrimenti non sarai onesta con te stessa. Sei arrabbiata con me?»
Scossi il capo. Non lo ero. Le sue parole ebbero l'effetto opposto, quasi calmante. Ethan voleva che stessi lì con lui. Voleva aiutarmi e, rendermene conto, mi fece sentire subito meglio. Gli feci cenno di passarmi le uova e iniziai a separare i tuorli dagli albumi.
«Avrei bisogno di uno sbattitore.»
Ethan mi guardò come se avessi parlato in giapponese. «à il caso che io sappia di cosa stai parlando?»
«à un piccolo elettrodomestico dotato di fruste» gli spiegai, mimando con le mani il movimento. «Mi serve per montare le uova.»
«Forse Kate ne ha uno, mi porta spesso dei dolci fatti in casa». Si grattò il mento con un dito, incerto sul da farsi. «Provo a chiederglielo» concluse, scendendo al piano di sotto.
Rimasta sola, presi il cellulare. C'erano una infinità di messaggi di mia madre, li cestinai tutti con un click. Poi, chiamai Arianna. Mentre gli squilli si susseguivano, uno dietro l'altro, il battito del cuore iniziò ad accelerare in un miscuglio di attesa e paura. Era la mia migliore amica, ma erano mesi che non ci vedevamo né sentivamo e temevo che la lontananza l'avesse portata via da me. Rispose al quarto squillo.
«Emma, Finalmente!» esclamò, perforandomi un timpano. Per essere piccoletta, aveva un vocione niente male.
«Ciao, Ari. Tutto okay?» le domandai, prima di lisciarmi una ciocca di capelli che si arricciò subito dopo averla lasciata.
«Sì, okay. A te come vanno le cose?»
«Bene, direi. Sono in Inghilterra.»
«Cosa?» esclamò. «Non ci credo, giura!»
«Lo giuro» sospirai. «Ari, mia madre mi ha spedita a Nottingham da mio zio.»
«Pazzesco!»
«Già » sbuffai. «Sono arrivata questa mattina.»
«E per quale motivo?»
«Per via del curriculum scolastico» mentii. Ari sapeva della mia rottura con Alessio, ma non era al corrente di quello che era accaduto dopo. «Sai come è fatta.»
«Non ci siamo neanche salutate, mi manchi da morire.»
«Anche tu mi manchi, Ari.»
«Okay, pensa al lato positivo.»
«E quale sarebbe?»
«Diventerai una leggenda, quando lo racconterò a scuola. Pensa alla faccia che farà quella snob di Monica», affermò con un ghigno.
«E questo dovrebbe tirarmi su il morale?»
«Certo che no!» esclamò di nuovo, come se avessi dovuto cogliere l'ovvio. «Quello te lo farai risollevare dai boys!»
«Cosa?» urlai, scioccata. Non potevo credere che lo avesse detto davvero. Dopo tutto quello che stavo passando, pensava veramente che il mio primo pensiero fossero i ragazzi?
«Emma...». Si fermò e la sentii sospirare.
«Sì?»
«Alessio mi ha chiamata, ti cercava.»
La testa mi ricadde di schianto all'indietro e alzai gli occhi al cielo, angosciata. Il fatto che mi avesse cercata, nonostante quello che ero stata capace di fargli, mi faceva sentire in colpa. E i duemila chilometri che ci separavano non alleviavano il dolore.
«Hai cambiato numero, per caso?»
«Sì, mia madre». Emisi un sospiro. Se voleva tagliarmi fuori dal mondo, ci era riuscita alla grande. «Non ho potuto impedirglielo, mi dispiace.»
«Tranquilla. Devo dargli il tuo numero?»
«Non lo so, Ari». Ripensai alle parole di Ethan: "Alla tua età , le delusioni d'amore sono all'ordine del giorno... ma ricorrere al suicidio non è la soluzione adottata dalla maggior parte degli adolescenti". Era evidente che avessi un problema e, se non l'avessi risolto, le cose non sarebbero cambiate. «Penso di no.»
«E cosa gli dico, se mi chiede di te?»
«Che sto bene» affermai poco convinta, prima di sentire i passi di Ethan nel vialetto. «Ari, devo andare.»
«Non fare sciocchezze, okay?»
D'istinto mi guardai i polsi. Le cicatrici sarebbero sbiadite prima o poi, ma non scomparse del tutto come monito a non cadere un'altra volta nel vortice della disperazione. «Nessuna sciocchezza, tranquilla.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top