Capitolo 17
Blake
Giunto alla fine della strada, svoltai a sinistra per completare l'anello e ritornare a casa. Rallentai, mi sfilai la felpa dalla testa e me la legai alla vita; faceva troppo caldo per sopportarla ancora. Quando riguadagnai il passo, sentii la t-shirt zuppa di sudore incollarsi addosso. Ero fradicio, ma mi sentivo più rilassato che mai. Ero riuscito a sgomberare la mente da tutto, soprattutto dalle parole di mia madre che avevano continuato a risuonarmi nelle orecchie lungo tutta Radcliffe. Sapevo che Kate non avrebbe scommesso neanche un penny sull'amicizia tra me e un qualunque essere umano di sesso femminile. Non potevo darle torto, in tutta la mia vita non avevo mai avuto amiche, né fidanzate fisse. Zero legami. Zero rotture. Le ragazze sapevano essere fastidiose anche solo come compagne di classe, perciò le tenevo alla larga fino a quando non ero io a cercarle e solo per approfondire un certo tipo di conoscenza.
Quando imboccai il vialetto di casa, il cielo si era ingrigito e l'aria pungente annunciava un temporale. Voltai lo sguardo verso la casa di Ethan e mi ritrovai a fissare la mia vicina, che radunava le foglie secche dal prato. La stavo osservando in silenzio, evitando di farmi notare. Rimasi fermo a guardarla per un po', mi piaceva sorprenderla in quei momenti in cui era convinta di non essere osservata da nessuno ed era semplicemente se stessa. Solo così riuscivo a comprendere come fosse veramente, senza corazze né maschere che ne occultavano l'essenza. La vera Emma, quella che da un po' di tempo aveva iniziato a provocare in me un sentimento insolito che non riuscivo a spiegare con esattezza. Amore, forse. Non ero mai stato innamorato, perciò non potevo esserne certo. Sapevo solo che, quando non era con me, mi mancava più dell'aria che respiravo. Puntualmente, però, quel sentimento si mescolava alla paura, al tormento di non volermi legare a nessuna né tanto meno a lei, non in quel momento. Non a quella età.
Non prenderti gioco di lei.
Le parole di Kate tornarono a perseguitarmi come una maledizione a cui non mi sarei potuto sottrarre. Io non avevo mai conosciuto mio padre, aveva mollato mia madre subito dopo aver scoperto che era in attesa di me. L'aveva inebriata di promesse solo per portarsela a letto e aveva continuato a illuderla fino a quando la mia presenza era diventata un attentato al suo matrimonio. Sparì dalle nostre vite con la stessa velocità con cui un uragano stermina un intero paese, lasciando dietro di sé soltanto macerie. Sua madre la ritirò da scuola, non poteva continuare ad incontrare il suo insegnante di ginnastica mentre il suo girovita lievitava mese dopo mese. Sì, perché Kate aveva scelto me. Poteva abortire, cancellarmi dalla sua vita così come aveva fatto lui con la sua, ma non lo fece. Non voleva far ricadere su di me le sue colpe e non voleva che io giocassi con Emma perché temeva che diventassi come lui. Come mio padre. In un certo senso, quella timida ragazza inglese solo a metà le ricordava se stessa alla sua età: ingenua e sognatrice, un binomio perfetto per cadere nella fauci di uno squalo senza scrupoli.
«Cosa ci fai lì?». La sua voce mi ridestò. Emma si era avvicinata alla recinzione di cespugli che separava i nostri vialetti e aveva entrambe le braccia appoggiate sul manico del rastrello.
Mi strinsi nelle spalle, prima di spararle una risposta ovvia. «Io vivo qui.»
«Ah ah, divertente» rispose, caricando la voce con tutto il sarcasmo che riuscì a trovare. «Intendevo cosa fai lì impalato a fissare il nulla.»
Mi ci volle qualche secondo per far tornare regolare il respiro. Molto di più se lei continuava a sorridermi in quel modo. «Quando si fa yoga si sta impalati, non lo sapevi?»
«Yoga, eh?»
«Sì, vuoi che ti insegni qualche posizione?». Non sapevo cosa fossero le posizioni, le avevo sentite nominare da Jay mentre le spiegava a Violet. Quel ragazzo ero un pozzo inesauribile di informazioni. Le uniche conosciute dal sottoscritto erano di ben altra natura e avrebbero fatto intraprendere al Karma la via della perdizione piuttosto che quella della salvezza.
«Per questa volta passo» ribatté, mordendosi le labbra. Frenai bruscamente il respiro davanti a quella scena, se non l'avessi fatto avrei scavalcato il cespuglio in un lampo solo per lasciarle mordere anche le mie. «E questa, quale sarebbe? La posizione dell'allocco?»
Dio, quando faceva battute del genere mi veniva una gran voglia di sdraiarla sulle mie ginocchia e sculacciarla. «Non credo ci sia una posizione del genere, no.»
«Ne sei sicuro? No, perché te ne stai lì, con quell'espressione instupidita» proseguì, ostinata. «Proprio come un...»
«Okay, okay» la interruppi, mi aveva già ridicolizzato abbastanza. Le prime gocce di pioggia incominciarono a rigare i nostri visi e... come si dice in questi casi? Colsi la palla al balzo. «Offriresti una bibita rinfrescante al tuo Bro?»
«Più che una bibita ti servirebbe una doccia» mi corresse, sempre con quel suo sorrisino impertinente.
«È un modo gentile per dirmi che puzzo?»
La vidi sogghignare e ancora una volta coprì quel bellissimo sorriso con la mano. Chissà perché tendeva a nasconderlo, io lo adoravo e avrei voluto vederla sorridere in ogni momento. Feci un passo in avanti e allungai un braccio verso di lei per rimuovere quella seccante barriera. Le sue labbra tornarono a piegarsi in una posa seria, ma i suoi occhi continuarono a sorridermi.
«Dai, vieni o ti beccherai un raffreddore» mi esortò, avviandosi verso l'ingresso di casa sua.
Aggirai i cespugli e imboccai il suo vialetto, non mi sarei certo fatto pregare.
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