Capitolo 12


Blake

La vidi incamminarsi verso la fermata del tram, con gli occhi trasognati di una barbie. Il suo sguardo mi oltrepassò come fossi invisibile. Quella fu la prima volta nella mia vita che mi sentii così. E non mi piacque affatto. Non mi salutò neanche e mi chiesi se non mi avesse visto sul serio o volesse ignorarmi di proposito. Poi, mi accorsi degli auricolari affondati nelle orecchie. Non mi stava ignorando, era semplicemente immersa in un mondo tutto suo, doveva piacerle molto isolarsi da tutto. In quel momento, mi accorsi che non sapevo praticamente nulla di lei tranne il fatto che doveva essere particolarmente legata a quel ciondolo che continuava a rigirarsi tra le dita.

Sei un mistero, Emma. Un mistero incredibilmente attraente.

Mi stavo arrovellando nel cercare di capire cosa la turbasse quando si distaccava in quel modo dalla realtà, non riuscivo a identificarlo, a decifrare i suoi sguardi malinconici, a placare gli spettri che affollavano i suoi pensieri. Le andai incontro, le appoggiai una mano sulla spalla con un tocco leggero, ma il suo ritorno sul pianeta Terra fu comunque brusco. Una scarica elettrica mi attraversò a quel contatto, una forza impalpabile che diventava ogni volta più intensa.

«Blake, che ci fai qui?» mi chiese sorpresa. Incrociò le braccia sul petto quasi a proteggersi, per un attimo sembrò ancora più indifesa ed ebbi una gran voglia di stringerla a me. I suoi occhi avevano assunto il colore livido delle nuvole quando minacciano pioggia, inquietanti e affascinanti al tempo stesso.

Alzai le spalle, indeciso su cosa dirle. Mi ero ritrovato davanti al cancello della sua scuola, dopo aver saltato ben due lezioni, solo per rivederla. Non riuscivo a guardarla e mantenni lo sguardo puntato sulla mia Harley, parcheggiata poco più avanti. «Volevo accertarmi che fossi sopravvissuta, sai com'è, il primo giorno di scuola, nuovi compagni, nuovi insegnanti. Ci si sente spaesati e fuori posto». Le gettai un'occhiata di nascosto, sperando che le mie chiacchiere l'avessero convinta.

La vidi esitare quando i suoi occhi grigio azzurri così belli si imbatterono nei miei. «Sopravvissuta» sorrise compiaciuta.

Dio, il suo sorriso diventava ogni giorno più sexy. Cavolo se era bella.

Il sole che stava tramontando dietro le spalle le faceva brillare appena i ricci castani che le circondavano il viso. Sembrava un angelo con quell'aurea intorno. Il mio angelo. Abbassai lo sguardo sul marciapiede, per paura che l'espressione ammirata che mi si era stampata in faccia potesse svelare ad Emma più di quanto avrei voluto. Confessarle che i suoi occhi dal colore indefinito avevano un effetto ipnotico su di me e che le sue labbra rosa mi mandavano completamente in tilt, mi avrebbero trasformato nel ragazzo romantico e premuroso da cui cercavo di stare alla larga con tutto me stesso.

«Non credo di averti ringraziato, questa mattina» ammise con un sorriso stentato. Qualcosa mi diceva che le era costato un certo sforzo ammetterlo. «Non sarei riuscita a trovare il mio tutor, senza il tuo aiuto.»

«Figurati». Le misi un braccio attorno alle spalle. «Se no a cosa servono gli amici.»

«Perché, siamo amici?»

Scossi la testa, ma non potevo spiegarle tutto. Non riuscivo nemmeno a spiegarlo a me stesso quello che potevo essere per lei. Optai per un cambio repentino di argomento, come il cibo con quello non si rischiava nulla. «Hai fame?»

«Sì, un po'.»

«Perfetto» dissi, mettendole una mano sotto il braccio e trascinandola via. «Ti porto in un posto in cui non sei mai stata.»

«Ti ricordo che Nottingham per me è una seconda casa» ribatté divertita, senza sottrarsi alla mia presa.«Ci sono cresciuta qui.»

Lo sapevo, avevo fatto il terzo grado a Kate per conoscere ogni dettaglio della sua storia. Ethan era suo zio e non suo padre, come avevo ipotizzato. Sapevo anche che era per metà italiana e doveva essere quella linea di sangue mediterranea ad attrarmi tanto.

«Come va la convivenza forzata con tuo zio?»

«Alla grande, Ethan è fantastico.»

Ci avviammo verso la Harley, quando il suo cellullare iniziò a trillare. Lei lo afferrò e vide che sullo schermo era comparsa la scritta sconosciuto, mi preoccupò il fatto che qualcuno che non conosceva la stesse cercando. Premette il tasto accetta e si portò il telefono all'orecchio.

«Pronto?» rispose, continuando a camminare al mio fianco. «No, figurati. Dimmi» proseguì. Tacque per alcuni istanti, poi mi lanciò un'occhiata come per essere sicura che non stessi ascoltando la conversazione. «Ehm... ecco... non è come pensi» fece una pausa e mi scrutò ancora. Mi chiesi se fossi io l'oggetto della loro chiacchierata, ma questo non scioglieva i miei dubbi. Con chi stava parlando? Sul viso le comparve quell'espressione perplessa che tanto adoravo. «Adesso devo andare, ci vediamo domani» chiuse la telefonata e mi rivolse tutte le sue attenzioni.

Finalmente.

«È qualcuno che conosco?» indagai, senza darlo troppo a vedere.

«Immagino di sì, dal momento che si tratta di una ragazza.»

«E questo cosa significa?»

«Come se non lo sapessi.»

«No, spiegami.»

«L'intero universo femminile della High School desidera diventare la tua fidanzata.»

«Cosa?»

«Non fare il finto tonto, come se non ti fossi accorto che ti sbavano tutte dietro.»

«Non tutte.»

Lei mi guardò stranita, mentre con la mano si torturava i capelli.

                                                                                               *

Aprii la porta del locale e lasciai che Emma entrasse, la seguii e fui subito accolto dal sorriso della ragazza dietro al bancone. Conoscevo molto bene l'occhiatina di apprezzamento che mi stava riservando e, a quel punto, ero solito rispondere con uno dei miei sguardi alla "piccola sarai mia stasera". Ma quella volta no: ero deciso ad ignorare ogni segnale proveniente dall'altro sesso. Le miei attenzioni sarebbero state tutte per Emma.

«Vieni, ti offro da bere tesoro» la sentii dire. La ignorai, senza nemmeno voltarmi a guardarla.

Mille occhiate sospette stavano allerta, sembravano seguire ogni mia mossa desiderosi di scoprire chi fosse la brunetta che aveva varcato con me la soglia del Covent Bar quella sera. Non era mai accaduto prima, gli unici con cui ero solito frequentare i locali erano i miei amici. Tutti maschi. Le ragazze le avremmo trovate lì, pronte per essere conquistate. Tra gli avventori, intravidi un paio di vecchie conoscenze, Hank e Joy. Quando mi intercettarono con Emma, spalancarono gli occhi e fischi di approvazione sgattaiolarono dalle loro bocche. Trascurai i loro sguardi e accompagnai Emma al mio tavolo. Sì, ne avevo uno mio. Janet, la proprietaria, aveva un debole per me. La panca abbracciava il tavolo in un semicerchio, feci accomodare prima lei, poi le scivolai accanto.

«Ci vieni spesso?». La voce di Emma mi riscosse, la vidi guardarsi intorno. «Non è male» ammise con un sorriso che smascherava tutto l'entusiasmo che cercava di camuffare con le parole.

«La sera c'è molta più gente» aggiunsi, godendomi lo spettacolo di quegli occhi cenerini che scrutavano in giro curiosi. «È dura trovare un tavolo.»

«Tu l'hai trovato». Le sue labbra inconcepibilmente carnose si curvarono in un sorrisetto.

«Non l'ho trovato» la corressi. «Questo è riservato a me» precisai, picchiettando l'indice sul tavolo.

Janet ci raggiunse, consegnando a entrambi i menù. Un cocktail di meraviglia, cruccio e piacere le infiammò il viso mentre squadrava Emma. «Cosa vi porto, ragazzi?» domandò, mettendosi dietro l'orecchio una ciocca di capelli neri e mostrando un sorriso cortese che contrastava lo sguardo triviale.

Emma si mise a studiare il menu, poi ordinò un'insalata e un tè freddo. Io, invece, il solito hamburger e patatine.

«Allora, cosa dicevate di me tu e la tua amica?»

«Non ho detto che stavamo parlando di te.»

«Allora, sentiamo, come mai ti sei girata un paio di volte a guardarmi?»

«Volevo accertarmi che la telefonata non ti desse fastidio». I suoi lunghi ricci lambivano il tavolo e io mi chiesi che reazione avrebbe avuto se inaspettatamente mi fossi arrotolato tra le dita una di quelle ciocche color cioccolato.

«Ah... okay». Le versai un po' d'acqua nel bicchiere e lei gradì il mio gesto galante. «La mamma non ti ha detto che le bugie non si dicono?»

A quella battuta quasi si strozzava, le porsi un tovagliolo e approfittai della situazione per massaggiarle la schiena. «È tutto a posto?»

«Non c'è niente da ridere» sbottò, evidentemente contrariata dall'espressione divertita che non riuscivo a togliermi dalla faccia.

«Scusa» risposi, prima di esplodere in una nuova risata.

«Spero ti stia divertendo» mi auspicò, con un sorriso malizioso che le increspava le labbra. Afferrò il suo tè freddo e iniziò a sorseggiarlo.

Vedere quella bocca sensuale stretta intorno al bicchiere mi strappò un gemito. «Sì, un sacco.»


NOTE DELL'AUTRICE:

Il testo del video è di Paulo Coelho.

Il video è stato pubblicato su youtube da totopetilia.

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