Capitolo 58. -J
Mi guarda con un'espressione indecifrabile. Non traspare nessuna emozione, senza farmi capire se sia successo qualcosa di grave oppure no.
Perché se è successo qualcosa di grave sarei anche disposto ad abbandonare il discorso che stavamo per affrontare poco fa, altrimenti gradirei tagliare la testa al toro il prima possibile. Le sue intenzioni, sono più che sicuro, sono uguali alle mie, altrimenti non avrebbe toccato il tasto dolente.
Due anni fa, appena mi ha confessato cosa avevo fatto non mi sono arrabbiato, un po' perché sapevo il motivo per il quale l'aveva fatto, un po' perché sapevo che avrei solo peggiorato la situazione.
Eppure, non avendole mai detto la rabbia che provato nei suoi confronti, lei si è portata dietro il senso di colpa e io ancora ci sto male.
Non mi piace l'atmosfera che si è creata e ho davvero una brutta sensazione al riguardo. Ho il terrore che finisca come due anni fa, ho paura che sparirà di nuovo.
"Cos'è successo?" le chiedo, al suo silenzio.
Lei prende un respiro prima di rispondermi. "Agatha e Jun si sposano". Il suo tono è piatto, la sua espressione neutra e impassibile.
Corrugo la fronte per un attimo. Mi ricordo Agatha, e per quanto non ho mai avuto modo di conoscerla appieno non mi è sembrata una tipa da sposarsi così giovane. Per un attimo mi balena in mente l'immagine di me e Mel sposati, conviventi e felici. Il mio cuore si rattrista profondamente se penso a quanto irrealistica e lontana un'idea del genere possa essere. Ci guardo adesso, e l'ultima cosa che sembriamo è marito e moglie. Certo, le coppie sposate litigano il doppio di quelle libere, ma per qualche ragione non riesco a immaginare noi due una famiglia. Non sappiamo nemmeno se vogliamo stare insieme, e se saremmo pronti a combattere per il nostro amore, figuriamoci essere sposati.
In passato ho pensato più volte a sposarla, soprattutto quando sono andato via per la prima volta di casa e mi sono trasferito qui in Francia. Volevo vincolarla a me così da avere la certezza di averla sempre a fianco. Non è di certo il matrimonio, però, che di questi tempi lega una persona ad un'altra. Cos'è allora che lo fa? Il coraggio? La determinazione?
I pensieri sono sicuramente ciò che fa allontanare una coppia.
Io e Mel dovremmo smettere di pensare. In realtà non abbiamo pensato per tutto il giorno e mezzo passato insieme. Ora è inevitabile.
A questi miei ragionamenti, la lieve sorpresa per l'imminente matrimonio di Agatha viene calpestata dalla preoccupazione e dall'ansia. "Quando?".
"Questa primavera" mi risponde. "Fortunatamente sarò già tornata".
Ovviamente, perché partirà di nuovo tra due mesi. Vorrei tanto che non l'avesse detto, che la smettesse di trattenersi perché sa che tra poco torneremo ad essere degli sconosciuti come per i due anni appena passati.
Solo che per noi ormai è impossibile essere sconosciuti. Ci conosciamo troppo bene, non possiamo ignorarci.
"Sì, lo so" rispondo piccato, senza sapermi trattenere. Mi guarda, con lo sguardo finalmente cambiato, ma anche quello che mi ha rivolto più spesso: lo sguardo di chi si sente in colpa.
Mi copro la faccia con le mani, strofinandomi gli occhi. Torno su di lei e sospiro. "Quello che mi hai detto ieri sera almeno era vero?".
Sgrana gli occhi, incredula. "Certo che sì" esclama. "Lo penso tutt'ora".
"Allora dimmi perché, davvero non riesco a capire" sbotto, alzandomi in piedi. Di certo sarebbe arrivato molto presto il momento per me di arrabbiarmi. La repressione delle emozioni è davvero una pessima cosa. Cerco di controllarmi, perché potrei arrivare ad urlare se non sto attento. E non voglio urlarle contro. "Se sapevi che non ce l'avresti fatta a rimanere con me, perché mi hai chiesto di uscire, perché sei venuta a letto con me per due volte, eh?" le domando, cominciando la frase con un tono di voce normale per poi irrimediabilmente salire alla fine.
Devo lavorare sull'autocontrollo.
"Beh, potrei chiederti la stessa cosa!" esclama, alzando il tono della voce. I suoi occhi incrociano i miei e restano incatenati lì. Glielo leggo fin troppo bene nello sguardo che le mie parole l'hanno ferita, ma se solo sapesse quanto ha ferito me. "Sei tu che mi hai seguita fino alla fermata del tram, che mi hai detto 'perdonati, Mel', che mi hai detto che ti avevo lasciato un buco dentro ma che allo stesso tempo non mi sembra che tu ti sia tirato indietro quando mi sono tolta i vestiti!".
Touché. Ho fatto reagire il mio corpo prima della mia testa, la passione prima della logica. Ma se tornassi indietro non cambierei niente di quello che è successo nelle ultime trentuno ore. Ricommetterei lo stesso sbaglio, anche se consapevole, perché la priorità di rivederla dopo anni, dopo mesi, è stata indubbiamente quella di riscoprirla. Non c'è nessun'altra cosa che avrei mai potuto fare per prima. Questa discussione, invece, sa tanto di qualcosa che va fatto alla fine. Come la conclusione di un atto teatrale, la fine di un libro o le ultime note di una canzone. Quelle parole che appena le senti, le riconosci subito. Ti avvertono, ti mandano dei segnali, ti comunicano che quel qualcosa che stai vivendo sta finendo e di prepararti. Come dovrei prepararmi, io? Ho retto la nostra rottura una volta, sarò in grado di reggerla una seconda?
"Bene, sputa il rospo e io farò lo stesso" propongo, sapendo che ormai tutto ciò non può che peggiorare. "Vuoi stare di nuovo con me oppure no?".
Lei spalanca la bocca per la sorpresa di una domanda così diretta. "I-io..." balbetta, ma poi richiude la bocca, riducendo le labbra ad una fessura. Il mio cuore si stringe in una morsa di delusione.
"Era proprio quello che immaginavo, sai? Lascia che io ti dica questo. Non riesco ad odiarti, nemmeno un po', nemmeno per finta; odio quello che hai fatto, odio che le mani di un altro ti abbiano toccata dove ti ho toccata anche io, odio che tu abbia dovuto far finire tutto in un modo così brutto, immaturo e doloroso. Odio il dolore che sento adesso nel dirti queste cose, ma non odio te" ripeto, riprendendo fiato. Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi. "Non potrei mai odiarti. Ti ho amata troppo e non penso che questi due anni abbiano cambiato qualcosa" concludo, sentendo una lacrima scivolare fino al collo. Anche lei ha gli occhi lucidi, la bocca semiaperta per le mie parole. "Almeno per me" aggiungo, sentendo della rabbia crescere in me.
"Anche per me, razza di idiota!" urla, in preda alla rabbia.
"Analizza bene quello che senti e dimmi se quello che provi è senso di colpa o amore perché sono due cose molto diverse" ringhio, avvicinandomi di un passo.
Lei scuote la testa, cercando le parole. "Come fai a pensare che sia solo senso di colpa?". Semplice, basti pensare al modo in cui mi ha guardato finora.
"Davvero non lo capisci? Va bene, te lo spiego. Ripercorriamo le tue azioni da quando ci siamo incontrati ieri mattina fino ad oggi, d'accordo? Alla fermata del tram eri imbarazzata e impacciata...".
"Come sarei dovuta essere, scusa? Eri impacciato anche tu!".
"Fammi finire. Poi mi hai mandato un messaggio, mi hai chiesto di uscire e ti sei incupita più volte quando il discorso a malapena sfiorava l'argomento di due anni fa. Sei venuta qui e sarei pronto a giurare su qualsiasi dio che quello era sesso di consolazione".
Chiudo gli occhi e mi mordo il labbro inferiore, pentendomi immediatamente.
"Che cosa?" tuona, sgranando gli occhi. "Sei completamente impazzito? Sono venuta a letto con te perché lo volevo".
"Quindi non perché ti sentivi in obbligo di 'farmi stare bene'" dico, citandola.
Di nuovo, cerca le parole per poi serrare le labbra. "Sì, va bene, ho anche cercato di farmi perdonare, me ne vuoi fare una colpa?! Mi sento una merda per quello che ho fatto e non cercherei in tutte le maniere di farmi perdonare se non ci tenessi davvero a te".
"E quale sarebbe il tuo modo di farti perdonare, sesso e cornetti? Non è uno stramaledettissimo film questo" le ricordo.
Ci sto andando decisamente troppo pesante, ma sono troppo arrabbiato per essere lucido.
"Non lo so!" sbotta, singhiozzando. "Cosa dovrei fare, allora, eh? Dimmelo tu, perché io non ne ho la più pallida idea, vorrei solo che tu mi perdonassi e tornasse tutto come prima! Voglio tornare con te, voglio stare con te, ma non se continui a guardarmi in quel modo! Dio, ho sbagliato, sono stata stupida e lo so che sono un casino ma una volta ti andavo bene così. Cosa vuoi che ti dica, eh? Cosa vuoi che faccia?" mi chiede infine disperata, con gli occhi rossi e le guance bagnate dalle lacrime.
Sospiro e decido di abbassare il tono della voce. "Voglio che resti. Ed è per questo che ti propongo un ultimatum. O te ne vai, ma te ne vai per sempre, oppure resti. E resti per sempre". Leggo tutta l'ansia nei suoi occhi alle mie parole, ma continuo. "Non riesco a stare con te se non ho la certezza che questa volta staremo fianco a fianco".
Le sue sopracciglia si avvicinano, in un'espressione triste. "Tra due mesi finirò lo stage, James. Dovrò tornare a casa".
"Allora vai. Sai dov'è la porta" le dico, ringhiando. Se me lo ricorda una quarta volta, non so dove potrebbe spingermi la mia rabbia. "Non ce l'avrò più con te, lo giuro. Se te ne vai non te lo rinfaccerò mai, concluderemo la nostra storia insieme una volta per tutte. Ci saluteremo come vecchi amici. E basta". Pronuncio queste parole, ma dentro non vorrei assolutamente che le cose andassero così.
Se lei se ne andasse, sarebbe meglio per entrambi. Non ha funzionato la prima volta, potrebbe non funzionare nemmeno la seconda. Sarebbe troppo bello per essere vero se lei decidesse di restare. Inoltre, io farei quello che voglio fare nella vita e lei anche.
"Se dovessi rincontrarti tra mesi o anni, ti amerei ancora" mormora, così piano che temo di essermelo immaginato. "Era la nostra promessa".
Sospiro. "È stato così, in un certo senso" le rispondo, con un sorriso.
Lei annuisce, confusa. "Posso chiederti dei giorni per pensarci?" mi domanda, ancora corrucciata.
"D'accordo". In fondo, ne ho bisogno anche io.
Lei annuisce, e mi supera per riprendere le sue cose. Si riveste in silenzio. Si infila le scarpe e si ferma un attimo per guardarmi. Si avvicina e allaccia le braccia al mio busto. Io faccio lo stesso, lasciandole un bacio tra i capelli. "Scusa, sono stato troppo pesante, prima".
"Ne avevi tutto il diritto, ti sei tenuto tutto dentro per due anni" mi ricorda, con la voce ovattata dall'abbraccio.
Non aggiungo nulla, semplicemente mi godo quello che potrebbe essere l'ultimo abbraccio tra di noi.
Dopo un po', non saprei dire quanto, lei si stacca per guardarmi e sorridermi. Poi il suo sorriso si spegne e sospira. "Ci sentiamo, allora". Io annuisco.
Si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio, guardando in basso e dopo essersi presa un momento, esce senza guardarmi dalla camera. La sento prendere la borsa e mettersi il giacchetto, aprire la porta e richiuderla dietro di sé.
Rimango a fissare il punto dove stava fino a pochi secondi fa. Sentendomi le labbra secche, le bagno con la lingua, prima di prendere le lenzuola del letto e tirarle con violenza. Le tiro via tutte, finché non rimane solo il materasso. Le raccolgo da terra, e le infilo con poca delicatezza nella lavatrice. Inserisco il detersivo e la faccio partire.
Non posso avere il suo profumo sulle lenzuola, se non so se la rivedrò.
-
Sono passati tre giorni e non mi ha mandato nemmeno un piccione. O sta analizzando tutte le realtà alternative che potrebbero nascere dalla sua decisione, qualsiasi essa sia, oppure è un modo crudele e codardo per dirmi addio.
Cerco di non pensare alla seconda ipotesi. Mi ha già ferito, non lo rifarà.
Non ho fatto altro che questo, io, in questi tre giorni. Li ho passati ad autoconvincermi che andrà tutto per il meglio, qualsiasi cosa accada. Mi sono ripetuto che Dio ha un piano per tutti noi, anche se non credo in nessun dio, che se mi comporto bene mi reincarnerò in me stesso e vivrò per altri novant'anni, anche se non sono un monaco buddhista.
Mi sono detto che qualsiasi cosa succeda, prenderò la mia strada, come sempre. Senza di lei sarà più difficile, meno bello, più noioso e meno eccitante. Ma questa è pur sempre la vita, non sempre va come si vorrebbe.
Insomma, mi sono rassegnato.
Settantadue ore passate a dirmi "come va, va".
Proprio quando pensavo che le cose non potessero essere più complicate di così, mi ritrovo Priya, seduta al bancone del bar-ristorante dove lavoro che mi guarda con tristezza.
Priya. Tristezza.
Non sapevo nemmeno che si conoscessero.
"Se è finita la maionese, la ricomprerò. Non farmi quella faccia depressa, per favore". È davvero l'ultima cosa che mi serve, quella di vivere con una persona triste.
"Non è per la maionese" mormora. Sento che segue il movimento dei miei gesti, mentre sciacquo i bicchieri e li infilo nella lavastoviglie. Alzo lo sguardo su di lei per averne la certezza e aspetto che continui, ma lei non lo fa.
Sospiro, capendo che vuole una spinta. "Cosa, allora?".
"Ecco... vedi..." borbotta, torturandosi le dita. "Mi..." sospira, per prendere coraggio. "Mi hanno offerto lavoro in un'agenzia pubblicitaria. Hanno bisogno di un grafico talentuoso e giovane, che sappia fare il suo lavoro ma che al tempo stesso abbia delle idee innovative, e a quanto pare sono io!" esclama, senza saper trattenere la sua gioia.
"Porca vacca, Priya!" esclamo, allargando il mio sorriso. "Ma è grandioso!". Lo so che Priya non sembra essere esattamente la persona ideale per fare il grafico, considerando il suo essere disordinata in tutto. In tutto, tranne che nel suo lavoro. Tempo fa, ho visto alcuni dei suoi lavori e sono davvero precisi. In quello, non le si può dire niente: ha talento.
"Sì, vero?" esclama, scoprendo i suoi denti bianchi. La sua espressione però si trasforma in quella iniziale, tornando ad essere triste. "Non qui a Parigi, però. A Londra".
Qualcuno lassù si starà divertendo sicuramente a giocare con il mio futuro. Le sorrido lievemente. "Priya, è un'occasione unica. Vai e non guardarti indietro".
"Mi traferirò, James!" esclama, come se non avessi colto la sua notizia.
"L'ho capito. Cosa pensavi, che avremmo abitato nella stessa casa per tutta la vita?" le chiedo, ironico.
"Sì!" esclama invece lei, molto seria. "Chi ci penserà più a te, adesso, eh? Che cosa farai adesso senza di me, EH?" mi domanda, molto preoccupata.
"Priya, sono adulto e vaccinato, credo di sapermela cavare nel mondo anche senza di te". Evito di dire che sono stato più io a pensare a lei, nella nostra convivenza che non il contrario. Da una parte sono felice che il divano smetterà di essere la dimora delle patatine.
Lei mi sospira e mi guarda come una madre guarda il suo cucciolo. "Esci da questo benedetto bancone, che voglio stritolarti".
Ridacchio e mi tolgo il grembiule, per poi fare il giro e raggiungerla allo sgabello. Mantiene la sua parola e mi stringe le braccia al collo, facendomi mancare l'aria. "Priya, non devi uccidermi però" riesco a dire, con quel poco di fiato che riesco a utilizzare.
Lei allenta la presa, ma non si stacca.
Sorrido, mentre la abbraccio. È un sorriso amaro, perché sono felice per lei ma triste per me. Se anche lei se ne andrà sarò completamente solo in questa grande città. Ovviamente conoscerò persone nuove, ma fa sempre male lasciar andar via quelle a cui ci si è affezionati.
Priya è una di quelle.
Mi stacco lentamente dal suo abbraccio e la trovo con le lacrime che le scendono lungo le guance. "E dai, Priya!" la rimprovero, in tono scherzoso. "Smettila di frignare! La tua carriera sta salendo alle stelle e tu piangi?". Mi controllo la spalla dove ha appena poggiato il mento. "Non mi avrai bagnato la maglia con le tue lacrime, vero?".
"Oh, come se non fosse già piena di sudore e macchie di ketchup!" esclama, tirandomi un pugno sul braccio.
Scoppio a ridere e lei mi segue, mentre continua a versare lacrime. "Sei stato il miglior coinquilino del mondo. Ti voglio bene, idiota che non sei altro" borbotta, ovviamente riluttante mentre pronuncia quelle parole che in un momento qualsiasi avrebbe certamente esitato ad emettere.
"Tu no, non sei stata la miglior coinquilina del mondo" le confesso. "Anzi, mi hai reso la vita parecchio difficile". Lei spalanca la bocca, offesa dalle mie parole. "Oh, andiamo, vogliamo parlare dei capelli nella doccia? O nel lavandino? O sui muri? O ovunque? Il cibo sul divano, i turni di pulizie e tutte le volte che hai rotto la lavatrice?". Lei riduce le labbra ad una linea dritta, alzando le sopracciglia e rendendosi conto che non ho tutti i torti. "Però sei stata una grande amica" aggiungo, sorridendole. "Grazie, per quello che hai fatto per me".
"Oooh, James!" piagnucola, tornando a piangere. Io roteo gli occhi davanti alla sua emotività. Lei si sporge in avanti per tornare ad abbracciarmi. "Sei proprio uno sdolcinato romanticone!".
"E tu una pazza bipolare" le ricordo. La sento ridere contro il mio petto.
Si slaccia un'altra volta. "Beh, ma non è un addio questo, o no? Quando devi partire?".
"Devo essere lì per l'anno nuovo. Ma tra qualche giorno parto per tornare dai miei. Mi hanno detto che vogliono che torni, prima che sparisca di nuovo".
Ridacchio. "Mi sembra giusto" annuisco. "Quindi una settimana e non ti rivedrò più?".
"Esatto, puoi gioire" conferma, con un sorriso triste.
Rido per la sua battuta, ma smetto quasi subito. Priya ha davvero fatto tanto per me e mi rendo conto che io non ho mai fatto niente per lei. In fin dei conti, mi è stata più vicino in uno dei periodi più brutti e difficili della mia vita. Non sarà stato facile per niente.
Se non fossi irrimediabilmente, incondizionatamente e perdutamente innamorato di Melanie, probabilmente avrei anche provato ad uscire con lei, perché è davvero una bella persona. È una brava ragazza e si merita il meglio.
Decido di non dirle tutte queste cose, perché sarebbe imbarazzante. "Mi avrai ancora per una settimana a tua disposizione. Poi, è molto probabile che non ci rivedremo mai più. Hai il permesso di chiedermi qualsiasi cosa, e io la farò".
Spalanca gli occhi, scioccata. "Sei certo di stare bene?" mi chiede, scrutandomi in volto.
"Certo che sì, su spara".
Lei mi fissa per dei lunghi secondi, cercando di capire se io sia serio o meno. "Il modo migliore per farmi felice è regalarmi del cibo" considera, portandosi una mano al mento. "Perciò potresti offrirmi una cena, PERO'" esclama subito, puntando un indice in alto. "Come coinquilini. Non fraintendere, coso, perché ho già troppi problemi a livello relazionale".
Mi accorgo di non sapere praticamente nulla della vita sentimentale di Priya, mentre lei invece sa tutto della mia. "Non avrei pensato ad altro che ad una cena tra coinquilini, stanne certa. Ma" continuo, guardando l'orologio che porto al polso. È mezzogiorno. "Tra mezz'ora faccio pausa. Posso offrirti un pranzo, se vuoi".
Sorride. "Mi piace l'idea del pranzo". Scende dallo sgabello e si avvia all'uscita. Poi si volta, prima di uscire. "Tra mezz'ora, al solito. D'accordo?".
"Perfetto" rispondo, annuendo. Il solito è il ristorante cino-giapponese non troppo lontano da qui.
"Ah" aggiunge, ritornando indietro. Si ferma a un metro di distanza da me e mi pianta un indice sul petto. "Devi fare un'altra cosa per me. E questa volta sono seria". Se è seria per quello che sta per dirmi e non per il cibo, la cosa è preoccupante. "Riprendila. Ad ogni costo, anche se dovessi fare una delle cazzate più clamorose della tua vita. Ti ama, James. Gliel'ho letto negli occhi. Ti prego" dice, addolcendo il tono. "Non fare l'idiota".
Sbatto le palpebre un paio di volte prima di riuscire a metabolizzare tutto quello che mi ha detto. Poi, sento un sorriso spuntare sul mio viso. Annuisco, in silenzio. A quel punto lei gira i tacchi ed esce definitivamente dal mio posto di lavoro.
Resto a guardarla dal vetro, mentre scende le scale per prendere la metro, piacevolmente colpito da lei. Tra tutte le cose che avrebbe potuto chiedermi, ha pensato a me e non a lei. Un'altra volta. Mi sento un po' inutile e amareggiato alla consapevolezza che non riuscirò mai a fare per lei quello che lei ha fatto per me, ma può darsi anche che io sia stato più utile per lei di quanto io non sappia. Magari le ho tenuto compagnia per due anni in un buco di appartamento, mentre cercava di farsi largo per la sua strada. Magari le ho rallegrato le giornate, le ho dato qualcosa a cui pensare che non fossero i suoi problemi.
O magari non fatto nulla, come temo.
Sia come sia, resterà una delle persone più strane che io abbia mai conosciuto.
-
Domani sarà passata una settimana esatta. In realtà già stasera, ma cerco di non pensarci.
È una settimana che sono nervoso e che non riesco a pensare se non a lei, all'orribile ipotesi di doverle dire addio di nuovo.
Sono tremendamente egoista. Voglio che mi dica che vuole stare con me, solo per stare con lei. La voglio qui, al mio fianco, perché non averla mi farebbe troppo male.
In due anni, ho cercato di rifarmi una vita. Ho cercato di cercare altre ragazze che potessero anche solo interessarmi, ma finivo a paragonarle tutte con lei. Ovviamente, nessuna di loro reggeva il confronto. Semplicemente perché nessuna di loro era lei.
Cosa dovrei fare, quindi, se non disperarmi quando mi lascerà?
Non voglio essere pessimista, solo realista. Abbiamo sempre messo i nostri sogni davanti alla nostra relazione, e non mi stupirei se mi lasciasse per andare incontro al suo.
Io l'ho fatto con lei, due anni fa. L'ho abbandonata all'aeroporto, le ho voltato le spalle per venire a vivere in questo buco, fare foto alle comunioni dei bambini e ritrovarmi a dover contare i soldi per non ridurmi al verde a fine mese.
Smetto di fare avanti e indietro per la mia stanza e afferro il cuscino, scaraventandolo sul muro. Fa un lieve tonf per poi cadere per terra inerme. Non mi dà alcuna soddisfazione, così lo raccolgo di nuovo e lo rilancio. Lo faccio finché ho forza, finché i miei respiri affannati dalla rabbia non si soffocano in un gemito e lascio che le lacrime mi ricoprano il viso. Mi ritrovo ad urlare ogni volta che indirizzo il cuscino verso il muro, come se le mie grida e il tonf dovessero in qualche modo riuscire a riempire il vuoto che sento dentro.
Non lo fanno, neanche un po', così abbandono l'idea di prendermela con un cuscino e mi abbandono sul letto.
Mi asciugo le lacrime, cercando di pensare lucidamente.
Cosa devo fare?
È l'unica domanda che mi ronza in mente e l'unica alla quale non riesco a trovare risposta. Ripercorro la settimana passata, tutti i giorni che ho passato senza viverli davvero, in attesa di una certezza o di una condanna a morte.
Forse sono un po' melodrammatico, ma va bene permetterselo ogni tanto.
Mi metto a sedere e davanti a me, la mia lavagna di sughero con tutte le foto a cui tengo di più. Ovviamente c'è anche lei. Mi alzo, per andare a staccarne una. È di Mel. Gliel'ho fatta la mattina dopo il nostro incontro di una settimana fa. Era molto presto, c'erano le luci dell'alba e ho amato la luce, ho amato come le colorava la pelle. Così ho preso immediatamente la macchinetta e le ho fatto delle foto. Avrei voluto fargliele vedere, ma le cose poi hanno preso un'altra piega.
È bellissima, cazzo.
Dorme a pancia in giù, la schiena scoperta a metà, una gamba che scivola fuori dalle lenzuola bianche e le braccia nascoste sotto il cuscino. L'espressione del viso è rilassata e perfetta. Non una ruga, semplicemente la pace di chi è profondamente addormentato. Dietro di lei, il finestrone che da ai soliti palazzi bianchi con i tetti blu che vedo ogni volta che scosto la tenda. Ma con lei nella stanza, hanno tutto un altro significato. Raggiungono la perfezione.
"Riprendila. Ad ogni costo, anche se dovessi fare una delle cazzate più clamorose della tua vita. Ti ama, James".
Riattacco con cura, ma anche con una certa fretta, la fotografia insieme alle altre. Mi catapulto fuori dalla mia camera, prendo il primo giacchetto che trovo appeso all'attaccapanni e spalanco la porta.
Sto per uscire, ma Melanie mi sta fissando.
Il suo sorriso le attraversa il volto, e per un attimo ho la sensazione di trovarmi in un sogno. Anche perché... come diavolo fa ad essere qui?
Poi, sembra notare qualcosa nella mia espressione e si incupisce. "James... cos'è successo?" mi chiede, in preda alla preoccupazione.
"Resta. Per favore. Per favore, resta" la prego, con la voce rotta dal pianto. "Perdonami, sono stato un idiota, non avrei mai dovuto dirti quelle cose in quel modo, è stato tutto sbagliato, avremmo dovuto parlarne prima che il problema diventasse troppo grande. Ma per favore, resta. Non posso vivere senza di te, la sola idea mi sta facendo impazzire. Ti prego, ti prego, non lasciarmi, non di nuovo. Sono stato io il primo a voltarti le spalle e se dovessi tornare indietro non lo rifarei mai! Ti ho lasciato per questo schifo!" urlo, con rabbia. "Se dovessi scegliere tra te e questa merda scegliere sicuramente te. Oppure te e questa merda, perché con te sarebbe tutto più sopportabile...".
"James!" esclama, con gli occhi lucidi. Si avvicina e varca la soglia, sbrigandosi a chiudere la porta alle sue spalle per poi avvolgermi tra le sue braccia. Infilo la testa nell'incavo del suo collo, e respiro il profumo del suo shampoo. "Non parlare del tuo sogno così. È difficile, ma non per questo vuol dire che tu stia fallendo. Non ti avrei mai lasciato andare se non avessi creduto in te almeno la metà di quanto non ci creda già. Io sono orgogliosa di te e non ti devi scusare di nulla". Si scosta quanto basta per prendermi il viso tra le mani e guadarmi in faccia. Mi sorride dolcemente e il mio cuore cerca di ricomporsi come può, pronto a tuffarsi per l'ennesima volta tra le sue mani, dove vorrà restare finché avrà forza di pulsare.
Mi passa i pollici sulle guance per asciugarmi le lacrime, per poi lasciarmi un piccolo bacio sul naso.
"E comunque" aggiunge, infilando una mano nel suo spolverino. "Ero venuta per darti questi". Allunga il braccio, in mano una busta di carta bianca, aspettando che io la afferri. Lo faccio, ma non senza un'esitazione.
Ti prego, fa che non sia una lettera d'addio, dove mi spiega perché deve lasciarmi, ti prego, ti prego fa che non sia una lettera d'addio.
Non è una lettera.
Sono dei biglietti.
Dei biglietti per Disneyland Paris.
"Disneyland?" chiedo, con la voce ancora grattata dal pianto.
"Sì" conferma, sorridendo. "Andremo a Disneyland!".
La guardo, confuso. "Perché?".
Rotea gli occhi. "Perché è lì che ti dirò che voglio stare con te" mi dice poi, sorridendomi dolcemente.
Non aspetto altro. Incastro le mani tra i suoi capelli, premendo le labbra sulle e baciandola senza impegnarmi ad essere troppo delicato. Se i baci di una settimana fa erano stati quelli di due innamorati che cercano di ricostruire una storia passata, questo unico bacio è un nuovo sigillo, racchiude tutta la felicità e la speranza che finora non c'eravamo azzardati a liberare.
Le circondo la vita attirandola più vicino a me, facendo aderire i nostri corpi, mentre lei incastra le dita tra i miei capelli. Mi allontano solo per riprendere fiato, così fa anche lei, lasciando che il suo petto si alzi e si abbassi lentamente per stabilizzarsi. Non che io non conosca già a memoria il suo corpo, ma fissare il suo petto lasciato scoperto dalla sua maglia scollata, non mi dispiace affatto. Anche se provo di più di un semplice desiderio sessuale. Mi ritrovo a fissare le sue clavicole, i suoi seni e l'incavo tra i due vedendoli semplicemente per quello che sono: una parte di lei. La parte esterna della donna che amo, la pelle che racchiude dentro tutto quello che è, che a partire da questo momento mi starà affianco e che non lascerò andare di nuovo tanto facilmente. Alzo lo sguardo e rincontro i suoi occhi, perdendomici per qualche secondo.
"Ti amo" sussurro, senza rendermene conto. Non provo nemmeno vergogna nel dirlo, perché è la pura e semplice verità.
Sorride, arrossendo e mi lascia un altro delicato e dolcissimo bacio sulle labbra. "Ti amo anch'io, James".
Le lascio un bacio sulla fronte, per poi poggiarci la mia. "Disneyland Paris. Sul serio".
Alza la testa, per guardarmi e scrollare le spalle. "Che c'è? Ho sempre voluto andarci. A ventitré anni mi sembrava che fosse il momento di esaudire uno dei desideri di bambina. Devi sentirti onorato che io voglia andarci con te".
Ridacchio, per poi prenderle il viso tra le mani e accarezzarle le guance con i pollici. "Lo sono. Grazie".
Le lascio un altro bacio sulla fronte e in un attimo la mente mi riporta tre anni fa, quando la nostra separazione era imminente, quando eravamo spaventati da quello che sarebbe successo ma nell'ignoranza e nell'ingenuità più totale.
E se ora penso che siamo di nuovo insieme, uno accanto all'altra, perché stiamo imparando a lasciarci il passato alle spalle, perché io sono riuscito a perdonare me stesso e lei e perché anche lei è riuscita a perdonare sé stessa, il mio cuore scoppia di gioia.
"Quanto tempo fa hai preso i biglietti?" le chiedo, mentre ragiono su un fatto a dir poco divertente.
"Ehm" borbotta lei, imbarazzata. "Tre giorni fa".
Annuisco, sorridendo. "Perciò ho vinto io, ora".
Lei corruga la fronte. "Cosa?".
"Noi. Tre anni fa ti disperavi perché non volevi vincere. Beh, questa volta hai perso". La sua espressione rimane confusa ancora per qualche secondo, poi la memoria la aiuta e sgrana agli occhi quando realizza che ho ragione. "Sei tu che hai ceduto per prima, comprando i biglietti. Quindi, hai perso" concludo, vittorioso.
"Tu... tu..." mormora, scuotendo la testa come se non riuscisse a realizzare la situazione. "Tu stavi frignando fino a cinque minuti fa".
"Sì" ammetto. "Ma ho frignato prima di sapere che tu mi avessi comprato i biglietti. Quindi, ho vinto io".
Aggrotta le sopracciglia e mi guarda dal basso, con il broncio e le braccia incrociate al petto. "Beh, complimenti" borbotta, senza nessun tipo di enfasi.
"Che c'è, questa volta volevi vincere?" le chiedo, ridacchiando.
Anche gli angoli delle sue labbra si sollevano in un sorriso e il suo viso si rilassa. "Diciamo che, in un certo senso, volevo lasciarti vincere" dice, alzando il mento con aria fiera.
"Come, prego? Io ho vinto in tutta onestà" protesto.
"Sì e sono così felice che tu abbia vinto" mormora, guardandomi con gli occhi lucidi. "Ho comprato i biglietti perché ho capito che voglio lasciarti vincere in ogni momento della nostra vita insieme, se perdere significa cedere al mio amore per te".
Rimango in silenzio, perché non so che dire. È, probabilmente, la cosa più bella che qualcuno mi abbia mai detto.
Alla mia espressione, che deve essere di puro stupore, lei ridacchia appena e mi circonda il busto con le braccia. Ci metto poco per imitarla e stringerla di più a me.
Poso le labbra tra i suoi capelli, mormorando: "Mi hai lasciato vincere". Ho bisogno di dirlo ad alta voce perché mi sembra così surreale. È successo davvero e dopo tanto buio, finalmente è tornata tra le mie braccia con tutta la luce di cui avevo bisogno, amandomi anche più di prima.
"Sì" dice, alzando il viso su di me. "Penso che questo genere di sconfitta sia tra le migliori. Anzi, ne sono sicura perché l'unica volta che ho vinto io è finita davvero male." Ridacchio appena, annuendo, perché tutti i problemi che c'erano prima tra di noi adesso mi sembrano ridicoli. "Perciò, James" aggiunge, con un sospiro. "Non lasciarmi vincere mai più".
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Comunque la vendita dei fazzoletti è sempre valida...
Come promesso, ecco il capitolo 58 ^^
Spero vi sia piaciuto.
Con affetto,
Mars.
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