Capitolo 57. -M
A svegliarmi è un fascio di luce sulle palpebre. Apro gli occhi lentamente e con una certa fatica. Mi sposto alla mia sinistra per evitare che la luce continui ad accecarmi ma qualcosa mi intralcia. Mi volto e noto un corpo addormentato.
I capelli scuri gli ricadono disordinati sul volto, l'espressione serena e pacifica di una persona ancora profondamente stretta tra le braccia di Morfeo. Sorrido davanti a quella visione, per poi pensare al modo più semplice per sgusciare via senza svegliarlo.
Decido di strisciare fino ai piedi del letto. Mi accorgo che non ho nulla addosso e raccolgo quella che sembra essere la mia camicia di ieri sera da terra e me la infilo velocemente. No, non è la mia. È decisamente troppo grande. Annuso il colletto e ne ho la certezza: James non usa profumi, solo bagnoschiuma e noto con gioia che l'odore è lo stesso di sempre. Esco e richiudo piano la porta, facendo una smorfia quando cigola.
In punta di piedi mi dirigo in cucina, per poi aprire il frigo e prendere una bottiglia di latte. Mi accorgo che il suo peso è un po' anomalo, quindi la stappo e odoro.
"Dio santo!" impreco piano, allontanandola dalla faccia. Controllo la data di scadenza sul tappo: è scaduto da un mese. Scuoto la testa, giudicando il suo modo di tenere il cibo.
Così controllo scaffali, credenze, apro sportelli, ma in questa casa sembra non esserci proprio niente. Certo, lavora molto quindi la maggior parte delle volte mangerà fuori casa, ma così è esagerato.
C'è solo una cosa da fare: andare a comprare la colazione. Decido che potrebbe essere anche una sorpresa carina da fargli così torno in camera, pregando che non abbia notato nulla e mi infilo i jeans. Mi tolgo la sua camicia e mi rimetto la mia. Mi infilo le scarpe e riesco dalla camera, legando i capelli in una coda alta per poi afferrare la borsa e il giacchetto che erano rimasti sull'attaccapanni. Esco di casa silenziosamente, scendo le scale del palazzo e mi ritrovo in mezzo alla strada.
Parigi è ancora silenziosa e dormiente, proprio come lui. Mi accorgo di camminare piano, come se avessi timore di svegliarla. Gli unici rumori sono il canto di alcuni uccellini, il fruscio del vento e qualche macchina in lontananza, probabilmente qualcuno che rientra a quest'ora o qualche povera anima che va a lavoro.
Mi dirigo verso la croissanteria che ho notato ieri sera. Fortunatamente è già aperta. Varco la soglia e un buonissimo odore arriva alle mie narici e al mio stomaco, che brontola dalla fame.
Un signore di mezz'età esce dal retrobottega e mi sorride cordiale. Mi chiede in francese cosa desidero e io mi faccio consigliare, visto che dal bancone sotto i miei occhi prenderei tutto.
Mi consiglia i croissant al cioccolato, che sono la sua specialità, ma anche quelli al burro e alla crema. Decido di prenderne due per gusto. Niente giudizi: ho fame, e so che ne avrà anche lui.
Guardo impaziente il signore prendere i cornetti con le pinze e sistemarli su un vassoio di carta, per poi incartarli e spostarsi in cassa. Io ho già i soldi precisi pronti, perciò quando lui mi dice il prezzo li metto immediatamente sul rendiresto. Cinque secondi dopo sono fuori dal negozio, con un vassoio incartato e caldo tra le mani. Mi sbrigo a tornare a casa, decidendo di svegliarlo mettendogli i cornetti sotto il naso.
Quando mi trovo davanti alla porta, però, mi sento una perfetta idiota.
Le chiavi.
Le. Chiavi.
Sono chiusa fuori, e la mia bella sorpresa adesso può anche sparire.
"Dannazione!" impreco.
Sto per prendere il telefono e chiamarlo, ma la porta si apre.
Davanti a me però non c'è James, bensì una ragazza dai lunghi capelli corvini, la pelle scura e un sopracciglio alzato.
"Tu devi essere Melanie, giusto?" mi chiede, con un forte accento indiano.
"Sì, infatti" le sorrido, cordialmente. "E tu devi essere... Priya, vero?".
"L'unica e sola" annuisce, con un sorrisetto furbo. Mi prendo un momento per guardarla dall'alto in basso per capire quanto possa essere più carina di me. La gelosia non è un bel sentimento, ma non posso proprio farne a meno. Priya è molto carina: dalla forma degli occhi alla lucentezza dei suoi capelli, dal colorito della sua carnagione alla carnosità delle sue labbra, non c'è molto che io possa fare per renderla meno bella. Comincio a sentire una strana sensazione, che mi fa stringere il cuore in una morsa di dolore. "Vuoi entrare?". La sua domanda mi riporta alla realtà e sbatto un le palpebre un paio di volte.
"Sì, magari" sorrido. "Ho preso questi croissant al negozio qui sotto, ho notato che non avevate niente, quindi ho pensato che fosse un gesto carino".
"Un gesto molto carino!" esclama. "Purtroppo, a me non piacciono i cornetti".
Tanto non li avevo presi per te, ringhio in silenzio, cercando l'autocontrollo. "Mi dispiace, non lo sapevo. Ti avrei preso qualcos'altro altrimenti".
"I miei gusti sono particolari, non credo che avresti mai azzeccato la brioche ai semi di papavero" mi fa notare, con aria di sfida.
"La prossima volta la prenderò" rispondo, con il suo stesso tono. Capisco che non mi farà mai entrare di sua spontanea volontà, perciò insisto e la sposto, dirigendomi in cucina per poggiare il vassoio.
"Scusami, non ti ho invitato ad entrare!" esclama, chiudendosi la porta alle spalle.
"Tu no, ma James sì, ieri sera" puntualizzo, piccata.
"Ieri notte vorrai dire" mi corregge, e poi sbuffa. "Senti sono stanca di questa storia, ho visto più ragazze in questa casa che in un collegio femminile, fai come vuoi ma vattene in fretta, chiaro?".
"Come scusa?" domando, cominciando ad irritarmi sul serio. "Io non sono la sua troietta, per tua informazione".
Sì? E cosa sono allora?
"Ah, no?" mi fa, ridendo appena. "È quello che mi dicono tutte, con il trucco sbavato, ogni volta che si fa giorno".
"Sono sicura che nel mio caso è diverso". Questa ragazza mi sta davvero facendo venire i nervi.
"Attenta a crederci così tanto tesoro, gli uomini vogliono solo una cosa, sai?".
"Non James, non da me" rispondo repentina, prendendo a respirare lentamente per non perdere il controllo.
Rimane in silenzio, con le braccia poggiate sui fianchi e con un sorriso strafottente stampato in faccia. "Quanto amo avere ragione".
Sono a dir poco confusa. "Come?".
Il suo sguardo si addolcisce. "Mi dispiace. Era un test. Sono abbastanza brava in queste cose, sai? Volevo vedere fino a quanto ti saresti spinta e dal tuo sguardo mancava davvero poco e mi avresti picchiata. Quindi ricominciamo: piacere, sono Priya" mi dice offrendomi la mano.
Io, scossa, la afferro titubante. È pazza. "Piacere. Melanie".
"Scusami davvero, ma dovevo farlo. Anche perché insomma... Non dirgli che te l'ho detto, ma i primi tempi è stato uno schifo e a sopportarlo c'ero io. Dovevo solo assicurarmi che avessi buone intenzioni".
Alle sue parole il mio cuore si stringe nuovamente in una morsa dolorosa, questa volta più forte, ma cerco di scacciare il pensiero di lui sofferente a causa mia. "I buoni amici fanno questo" le rispondo, con un sorriso.
"Oh, io e lui non siamo amici. Diciamo che ci sopportiamo per quieto vivere" ridacchia.
"Non avrei saputo dirlo meglio".
Sposto lo sguardo dietro le spalle di Priya. Addio sorpresa. Il bell'addormentato ci raggiunge e guarda la sua coinquilina sospettoso.
"Cosa le hai detto?".
"Niente" risponde immediatamente lei. "Mi sono solo assicurata che non ti riducesse come l'ultima volta".
"Cristo, Priya!" sbotta lui.
"Ci sono andata piano!" si difende lei, con un'alzata di spalle.
«Andarci piano» è un po' un eufemismo, ma alla fine non è successo nulla di grave. "Ha ragione, James, non è successo niente".
Lui scuote la testa e passa oltre. "Non devi andare a lavoro?" le chiede.
Lei gli fa una smorfia e prende la borsa per uscire. "Non mi pare che tu sia il mio babysitter".
"Fortunatamente no, ma te ne servirebbe uno!" urla, mentre lei esce dalla porta, lasciandoci soli. Sposta lo sguardo su di me e mi sorride dolcemente. Arriva a pochi centimetri da me e mi circonda con le sue lunghe braccia, annullando la distanza.
"Scusa, avrei dovuto avvisarti. Priya potrebbe mandarti in prigione".
"Non hai niente da scusarti" ridacchio, alzando la testa per guardarlo negli occhi. Sembra veramente dispiaciuto. "È stato divertente. È fantastica".
"Lo pensavo anch'io, poi abbiamo diviso un appartamento per tre anni".
Scoppio a ridere. Poi la mia risata si spegne, quando pensieri più cupi oscurano la mia mente. "Ha fatto bene a chiedermi quelle cose. Ti ho fatto soffrire, era più che normale".
"Mel...".
"No, dico sul serio" dico, sciogliendomi dal suo abbraccio. "Però sono contenta che tu abbia avuto qualcuno che ti è stato accanto. La prendi in giro ma posso ben immaginare cosa ha fatto per te. Ha fatto quello che non ho fatto io, ti è stata accanto nei momenti più bui, è stata la tua spalla su cui piangere..." scuoto la testa, dando voce ai miei pensieri. "Dovresti andare con lei, non con me".
"D'accordo, basta così" dice, furioso. "Non voglio che questo discorso prenda piede. Parliamo di qualcos'altro... di colazione, per esempio. Muoio di fame". Si dirige in cucina e ripete i miei stessi gesti di mezz'ora fa.
"E di noi quando parleremo?" domando, anche se so che dovrei starmi zitta e basta.
Ferma la sua ricerca di cibo e poggia le mani sul bancone, dandomi le spalle. Guardo i muscoli della sua schiena contrarsi sulle scapole e qualche reminiscenza della scorsa notte mi balena in mente, ma la scaccio via.
Si volta e la sua espressione è molto seria.
"Posso chiederti di aspettare, per quello? Non so se sono pronto" mi confessa, con un sospiro.
Era questo che temevo. Io, invece, voglio parlarne subito. Voglio sapere ora se mi ama ancora oppure no, perché in caso i suoi sentimenti fossero cambiati vorrei saperlo immediatamente, senza costruire una teoria sopra l'altra. Non voglio indovinare, voglio che me lo dica, voglio togliermi questo peso dallo stomaco.
"D'accordo".
Mi sorprendo delle mie stesse parole. Non dovrei essere d'accordo. Dovrei dirgli esattamente quello che penso, ma qualcosa mi ha frenato. Probabilmente l'empatia. So cosa prova, so perché non vuole parlarne. Se c'è una cosa più importante della verità, è il rispetto. E io lo rispetto.
Mi sorride dolcemente. "Grazie".
Sorrido in risposta. Poi indico con la testa il vassoio ancora incartato sul tavolino del divano. "Ci conviene mangiarli, prima che si freddino".
Prima, mi guarda confuso, poi sposta lo sguardo sul vassoio e sorride. "Ma dove sei andata?" mi chiede, felice. "Ah, Mel, non dovevi!" esclama, quando arriva sul divano e sedendosi inizia a strappare la carta.
"Sì che dovevo. Non hai un bel niente in cucina" gli faccio notare, sedendomi vicino a lui.
Alza lo sguardo su di me. "Lo so. Scusa".
"Non devi scusarti con me. Dovresti scusarti con te stesso per non esserti nutrito decentemente" lo rimprovero. Mi sembro sua madre.
"Mi sembri mia madre" ridacchia. "Ma hai ragione. Io e il cibo non siamo mai andati troppo d'accordo".
"Sì, e ti odio per questo. Come fai a non assaporare i gusti e spazzolare semplicemente quello che ti ritrovi davanti? Insomma, certe cose sono troppo buone per essere mangiate e basta" sbuffo, infastidita. "Il cibo è vita, è una delle cose più belle del mondo e tu lo usi solo per non morire. Vergognati".
"Dovrei ingelosirmi?" mi chiede, alzando un sopracciglio.
"Come?" chiedo, nella mia più alta innocenza. In realtà ho sentito benissimo.
"Tieni più a me o al cibo?" mi domanda, prestandomi tutta la sua attenzione.
"Semplicissimo. Al cibo ovviamente. Non posso vivere senza il cibo" rispondo, stringendomi nelle spalle.
"Perché, senza di me invece sì?" mi chiede, malizioso, sorridendo con aria furba.
Mi limito a scuotere la testa e ad alzare gli occhi al cielo. "Facciamo così: ti sfido. Devi mangiare uno di questi cornetti lentamente e descrivermi il gusto. Scommetto che non ti sei mai soffermato sul gusto di quello che hai mangiato".
"In effetti no" ammette, con una scrollata di spalle. "Cosa vinco?".
"Niente. Impari a mangiare decentemente. Hai ventisei anni, sarebbe anche ora".
Sbuffa pesantemente, afferrando un cornetto al burro. "Sei noiosa. Non c'è gusto senza un premio".
"Il gusto che cerchi è tutto in quel cornetto" gli ricordo. Mi mette il broncio e io roteo gli occhi. "Io sarei quella noiosa?! Va bene, dimmi cosa vuoi per premio!".
"Bene" sorride, soddisfatto. Posa il cornetto per poi poggiare le mani agli estremi delle mie spalle. Mi sfiora il naso con il suo, senza smettere di sorridere. "Non mi dispiacerebbe un secondo round".
Cerco di non fare caos al mio stomaco in subbuglio a una rivelazione del genere, bensì mi concentro per restare lucida. "E pensi che te lo concederei solo perché hai mangiato un cornetto?".
"Ho degustato un cornetto, è diverso" sottolinea, per poi lasciarmi un piccolo bacio all'angolo delle labbra.
"Dipenderà da quanto sarai bravo a descrivere il sapore" continuo, anche se la mia fermezza vacilla.
Rimane a fissarmi negli occhi per un tempo indeterminato. Abbassa lo sguardo sulle mie labbra e si fa più vicino. Io rimango impietrita come una cretina ma non so fare altro. Il mio corpo sembra non rispondere ai miei comandi. Sfiora le labbra con le mie, e io le schiudo automaticamente.
Lui, però, si allontana all'improvviso. "Sarà meglio mangiare, allora".
Sbatto le palpebre per qualche secondo prima di arrabbiarmi. "Idiota" borbotto, incrociando le braccia al petto.
Lui fa finta di non sentirmi e morsica un corno del croissant. "Beh" fa dopo qualche secondo. "Sicuramente c'è del burro. Molto burro".
"Ma dai?" chiedo scettica, per prenderlo in giro. "Pensavo lo facessero con lo strutto".
MI guarda disgustato e continua: "La pasta è friabile".
"E?".
"Cosa?" mi chiede. "Sono i due ingredienti principali, cosa vuoi che ti dica?".
"Descrivi il sapore, santo cielo!" sbotto, innervosita. "Lo so già da me cosa c'è dentro. Voglio sapere che sapore ha per te. Sai, non abbiamo tutti le stesse papille gustative".
Sospira profondamente, annoiato. "E va bene. È dolce, leggermente acido per via del burro. Come ho detto, la pasta è friabile, ma solo all'esterno. All'interno è più morbida. Questo lascia la bocca impastata. Però è una sensazione piacevole" conclude, annuendo mentre guarda intensamente l'interno dell'alimento. "È anche un po' salato".
Capisco che ha finito la sua descrizione quando torna con gli occhi su di me. Io roteo i miei, sbuffando. "Immagino che per il tuo standard sia una descrizione pari a quella di uno chef pluripremiato".
"Altroché" afferma lui, con vanità. Stacca un altro morso e si alza. "Vuoi del caffè?".
"Se non è del 1860 sì" rispondo, con un sorrisetto.
"Spiritosa" commenta, facendomi il verso. "L'ho comprato ieri, ma ti avverto. Qui di qualsiasi secolo, di qualsiasi marca e con qualunque miscela possibile... Il caffè è uno schifo".
"Lo so. L'ho assaggiato per la prima volta ieri mattina e l'ho immediatamente sputato" lo informo, cercando di non ripensarci. Sia io che Vanessa ci stavamo per strozzare.
Ridacchia, cominciando a mettere l'acqua in un pentolino. "Io ormai mi ci sono abituato, ma penso che se tornassi a casa, mi sentirei in paradiso con un buon caffè".
Rido anch'io. "Fortunatamente io non sto via così tanto".
E le volte in cui avrei potuto tacere salgono a due.
Mi guarda, spegnendo lentamente il suo sorriso. "Per quanto tempo resti qui?".
Deglutisco prima di rispondere. "Tre mesi. Torno a novembre a casa".
Lui annuisce e resta in silenzio.
"Insomma, il tempo necessario per apprendere qualcosa..." aggiungo, senza sapere bene cosa dire.
Mi sorride forzatamente e annuisce. "Mi sembra giusto. Ci sono passato".
Mi sento improvvisamente a disagio e decido di alzarmi. Mi dirigo verso di lui che al momento è poggiato di schiena al bancone della cucina e fissa l'acqua nel pentolino come se contenesse la cura per il cancro.
"James" lo chiamo, per riportarlo sulla terra. Funziona: sposta immediatamente lo sguardo su di me. "Sono qui, adesso".
Le sue sopracciglia si avvicinano e un sorriso triste gli compare sul viso. "Sì. Ancora non l'ho realizzato".
Sento le mie labbra allungarsi in un sorriso. Poi, qualcosa che parte del petto e finisce alla punta dei piedi mi fa avvicinare di più, sempre di più, finché non riunisco le labbra alle sue. Lui non esita a circondarmi il busto con le braccia per stringermi più a sé.
Restiamo abbracciati per qualche minuto, senza che delle parole inutili rovinino tutto. Ho perso la voglia di affrontare l'argomento che avevo fino a poco tempo fa. Il diavoletto sulla mia spalla sinistra mi fa presente che è molto meglio restare in silenzio e godersi il momento, per affrontare il problema solo in seguito.
A farci allontanare però è il rumore dell'acqua che bolle; entrambi ci voltiamo verso il fornello. Lo spengo e guardo James perplessa. "Adesso schiocchi le dita e diventa caffè?".
Lui alza gli occhi al cielo e afferra il pentolino con una presina. Divide l'acqua in due tazze, poi apre uno sportello e prende il barattolo del caffè. Prende un misurino e ne mette due per ciascuna tazza. Mischia con un cucchiaino e mi porge una delle due tazze.
La afferro e già dall'odore sono molto poco fiduciosa. Arriccio il naso. "Maledizione".
Lui ridacchia. "E dicono che sia la marca migliore".
Porto la tazza alle labbra e bevo un sorso. Arriccio le labbra e mando giù con difficoltà. "Dio mio" commento. Ne bevo un altro po'. "Però è migliore di quello di ieri mattina".
"Meno male" dice, con una risata.
Torno per un attimo al divano, dove mi abbasso per prendere un cornetto. Cammino fino al bancone, posizionandomi davanti a lui, e indirizzo il cornetto verso la tazza di caffè.
"No, non farlo" mi blocca lui, appena in tempo. "Ti consiglio di bere prima tutto il caffè, così una volta finito potrai togliere il saporaccio del caffè col cornetto".
"Ma dopo il cornetto avrò sete" gli faccio presente. Chi non beve dopo non aver mangiato un cornetto?
"Puoi sempre bere l'acqua" continua.
Guardo lui e poi il cornetto e decido che non ha tutti i torti. Lo poso momentaneamente per finire il caffè.
Mentre mi sforzo di ingerire della pessima caffeina, lui mi guarda con un sorriso malizioso. "Ti ricordi che mi devi un secondo round, vero?".
"Io non ti devo proprio niente" rispondo subito. Falso, gli devo tutto, a partire da delle scuse decenti.
"Sì, invece! Ho partecipato alla tua sfida, adesso mi merito il premio" esclama, fingendosi deluso.
"Hai solo descritto, e anche piuttosto male, il sapore di un cornetto" gli faccio notare, piccata.
"Ho portato a letto delle donne per molto meno" confessa, con molta leggerezza.
Mi concentro per non farmi uscire il caffè dal naso. "Come, scusa?!".
"Ho dovuto sopravvivere in questi due anni in qualche modo" mi spiega, alzando le spalle.
"Oh, certo, povera piccola creatura fatta dal novanta percento di testosteroni e dal restante dieci percento di stupidità!" sbotto, sentendomi le guance andare in fiamme.
"Che c'è, sei gelosa?" mi chiede, per stuzzicarmi.
"Certo che no. Non stavamo insieme, hai fatto bene a sfogarti. Ma mi fai comunque schifo" aggiungo, piccata.
Ridacchia un po', prima di aggiungere: "Interessante uso del passato".
"In che senso?" chiedo, alzando un sopracciglio.
"Non stavamo insieme" ripete. "Perché, ora sì?".
Il mio cuore scivola alla bocca dell'intestino e per poco non vacillo. Apro la bocca per rispondere ma poi la richiudo.
Non ne voglio parlare.
Non più.
Non adesso.
Si può cambiare idea così repentinamente?
Per tutta risposta poggio la tazza sul bancone e incrocio le mani sui fianchi per afferrare la mia maglia e sfilarla. Guardo il suo viso accigliarsi mentre mi sfilo le scarpe, mi sbottono i pantaloni e li abbasso. Li scalcio via con rabbia, rimanendo solo in intimo e torno su di lui.
La sua espressione è confusa ma mi guarda con desiderio.
"Sei pessima a fare spogliarelli" mi dice, alzando un angolo delle labbra.
Non rispondo e mi slaccio anche il reggiseno, per poi piegarlo e buttarglielo addosso. Atterra sul bancone e lui lo afferra, esaminandolo.
"Che imbrogliona" dice, scuotendo la testa. Alza il reggiseno all'altezza degli occhi. "Ha le coppe imbottite".
"Perché non chiami una tua amica con una quinta?" gli domando, acida.
"Nah, una quinta è troppo" risponde, come se stesse parlando del colore delle pareti. "La terza andrebbe più che bene" aggiunge, controllando l'etichetta del mio reggiseno. "Ah, già, hai una seconda. È un peccato, per una taglia...".
Riduco i miei occhi a due fessure, guardandolo in cagnesco. "Stai firmando la tua condanna a morte".
Lui mi guarda, aggrottando le sopracciglia. "Non capisco se vuoi fare sesso con me oppure uccidermi mentre sei nuda".
"Entrambi" lo informo. "Potrei regalarti uno dei più bei momenti della tua vita e strozzarti con una spallina del mio reggiseno subito dopo, ad esempio".
Scoppia a ridere, scuotendo la testa. Posa il reggiseno sul bancone, piegandolo con cura. Poi, senza distogliere lo sguardo dai miei occhi, fa il giro e si ferma a pochi centimetri dal mio viso.
Non abbassa gli occhi, nonostante abbia più di un motivo per farlo, ma continua a perforarmi le pupille come se fossero la sua cosa più preziosa. Mi sorride dolcemente e mi prende il viso tra le mani per poi baciarmi con foga.
-
Esco dal bagno dopo una doccia veloce. Mi dirigo verso la camera di James, dove noto con disappunto che si è rivestito. Mi da le spalle ed è intento a risistemare il letto, dopo... Beh, dopo quello che abbiamo fatto.
La maglietta che indossa però è a maniche corte, il che vuol dire che posso restare a fissargli le braccia per tutto il tempo che voglio. Sì, sono ossessionata dalle sue braccia, più precisamente dai suoi avambracci. La parte che va dal polso fino al gomito, infatti, è attraversata da vene molto evidenti e, per quanto possa risultare strano, ne sono profondamente affascinata.
Si volta quando varco la soia della sua camera e mi sorride. Mi avvicino per restituirgli il bagnoschiuma e lo shampoo che mi ha prestato. So che li tiene in camera. Sono molto buoni; per il cibo sarà anche pessimo, ma con i profumi ci ha sempre saputo fare.
Lui li afferra e li riposiziona sulla cassettiera. "Ti ho dato il mio bagnoschiuma preferito, sentiti onorata".
"Lo sono" dico, ridendo. "È davvero buonissimo". Mi siedo sul letto, anche se l'ha appena rifatto.
"Lo so" dice lui, raggiungendomi.
Gli sorrido e abbasso lo sguardo sulle sue braccia. Ne circondo uno con le mani e lo poggio sulle mie gambe. Una mano la intreccio alla sua e uso l'indice dell'altra per accarezzargli le vene.
Lui ride piano. "Mi fai il solletico".
"Peggio per te, soffri in silenzio" gli rispondo, senza distogliere lo sguardo.
"Posso chiederti perché ti piacciono così tanto? Sono solo vene".
"Potrei chiederti perché ti piacciono così tanto le tette. Sono solo ammassi di grasso" gli faccio presente.
Lo vedo scuotere la testa con l'angolo degli occhi. "Sei incredibile". Fa una pausa, nella quale io continuo a farmi strada tra le varie direzioni delle sue vene. "No, seriamente. Perché? Ho vene in tutto il corpo".
Roteo gli occhi. "Le vene sulle braccia degli uomini sono sensuali, James" gli spiego, spazientita. "Secondo te cosa vedo dalla mia prospettiva, quando mi prendi il viso tra le mani, o quando mi accarezzi?".
Lui rimane in silenzio per pochi secondi. "Non ci avevo mai pensato" confessa.
Mi fermo per ammirare l'estetica della sua pelle. "E poi hai delle belle mani".
"Grazie, lei è davvero molto gentile" risponde, fingendosi aristocratico.
Rido piano. "Le mani sono fondamentali per noi donne".
"Anche per noi" dice, muovendo le dita e stringendo la mia mano nella sua.
A questo punto alzo lo sguardo e incontro il suo, che mi scruta con interesse. "A cosa pensi?".
In realtà, penso a quanto io sia dipendente da ogni millimetro del suo corpo, a quanto io trovi interessante ogni suo piccolo dettaglio, a quanto sia semplicemente perfetto ai miei occhi. "Penso a poco fa" rispondo invece. Non è del tutto falso.
Sorride. "Ti è piaciuto?" mi chiede, abbassando gli occhi. È imbarazzato?
"Certo che sì". Mi piace sempre con lui. "Solo che...".
"Cosa?" chiede, allarmato.
Mi prendo un attimo per riordinare le idee. Adesso voglio parlarne, di nuovo. Mentre facevamo l'amore, all'inizio -poi per fortuna non ci ho più pensato- mi tornavano in mente i flashback di quella maledetta sera a casa di Adrian. È stato come se il mio senso di colpa mi volesse ricordare che in realtà non lo merito affatto. "Non ce la faccio a farlo per una terza volta".
Scoppia a ridere. "Tranquilla, sei stanca. Non devi giustificarti".
"Idiota" mugugno, con un sospiro. "Intendo che..."; scuoto la testa mentre cerco le parole giuste. "Non voglio farlo con te una terza volta sentendomi in colpa, sentendomi sporca e... stronza" aggiungo, con disgusto. "Non ce la faccio a darti me stessa quando so che ti ho fatto del male. Vorrei solo... farti stare bene" concludo, con la voce incrinata dal pianto.
"Mel..." mormora, avvicinandosi di più a me e abbracciandomi. "Tu mi fai già stare bene".
"No" rispondo, con un lamento. Sono arrabbiata e frustrata ma non voglio urlare contro di lui, è lui che deve urlare contro di me. Ha il diritto di dirmi tutto quello che vuole, perché io gli ho fatto del male. Dovrebbe odiarmi, non portarmi a letto. Perché non mi odia? "Perché non mi odi?" dico, ad alta voce, mentre mi stacco da lui per guardarlo in faccia. Non ha senso neanche il suono. Non ha senso.
Lui mi guarda senza dire nulla. Fa scorrere lo sguardo su tutta la mia figura per poi tornare ai miei occhi e scuotere la testa. "Non ci riesco".
Prendo dell'aria dalla bocca, perché me ne serve. "Sarebbe tutto più semplice se mi odiassi".
"Non ci... riesco" ripete, con più fatica.
"Era bello, sai?" gli dico, alzandomi di scatto, troppo nervosa per restare seduta. "Quel tipo. Tutte gli correvano dietro come oche. Ma nessuna aveva il coraggio di andargli a parlare perché incuteva troppo timore. Io invece ci sono andata".
"Cosa stai facendo?" mi chiede, con gli occhi lucidi.
"Ti sto dicendo come stanno le cose. E le cose stanno che ti ho tradito".
"L'hai solo baciato" mi corregge.
"Ed è già tradimento. Me l'hai detto anche tu quella stessa sera, ricordi? E poi non l'ho solo baciato. Siamo andati in una stanza. Mi ha messo le mani addosso, e io volevo che mi mettesse le mani addosso, proprio come hai fatto tu poco fa. Io lo volevo. Sapevo che era sbagliato, sapevo che avrei rovinato tutto, ma io lo desideravo davvero. Ero quasi completamente nuda, quando mi sono accorta di non averne il coraggio. Questo, probabilmente, mi rende ancora peggiore di quanto non lo sia già".
Lui tira su col naso, e guarda in alto, per impedire alle lacrime di scendere. Si bagna le labbra con la lingua. "È successo tempo fa".
"Solo due anni fa".
"È tanto".
"No. È molto poco. Perché ancora ci penso, ancora faccio gli incubi, ancora non mi è passata. È passato troppo poco e me lo conferma il fatto che ti stai sforzando per non piangere. In più, non abbiamo mai chiarito bene questa faccenda".
"E vuoi chiarirla adesso?" mi chiede, scettico.
"Sì, così sarò in grado di andare avanti".
La sua bocca rimane semiaperta alle mie parole. Dalla sua espressione capisco che le sta piano piano elaborando. "E questo andare avanti mi comprende o no?".
Deglutisco, sentendo un pizzicore agli occhi. "Non lo so".
Il mio telefono squilla. Rimango per due secondi a guardarmi i piedi, ancora scossa da questa discussione. Poi alzo la testa e lo cerco per la stanza. Lo individuo sul comodino e vedo se la chiamata è di lavoro. Non è lavoro, ma è Agatha.
Porto il telefono all'orecchio, cercando di parlare con una voce normale. "Ehi, straniera".
"Io straniera? Sei tu che sei in un altro paese!" esclama, ridendo istericamente.
La seguo, ridendo nel suo stesso modo. "Come darti torto".
Si schiarisce la voce e capisco che è nervosa. "Mel... devo dirti una cosa" mi dice, finendo la frase con un acuto.
"Cosa è successo?" chiedo, senza sapere cosa aspettarmi.
Le cinque parole che pronuncia subito dopo mi sembrano irreali. La mascella mi cede, facendomi rimanere a bocca aperta, completamente esterrefatta. Al mio silenzio mi consiglia di elaborare per bene la notizia e richiamarmi quando mi sentirò pronta per sapere com'è accaduto. Le comunico che il suo piano mi piace e attacco.
Il mio umore va dalla malinconia alla gioia infinita e il mix di queste due mi rende impassabile e senza fiato.
"Mel?".
Mi volto verso di lui, senza sapere bene cosa dirgli.
______
Here we go again!
A fine di qualche capitolo fa, avevo detto che mancavano tre capitoli alla fine. In teoria il prossimo dovrebbe essere l'ultimo, ma c'è stato un cambio di programma.
Perdonateci, scrivere in due è sempre complesso, soprattutto quando si arriva alla fine!
Comunque, dopo questo capitolo, ce ne sono altri tre.
E vi ho dato un'altra falsa notizia, un paio di capitoli fa: Agatha e Leo torneranno insieme nel capitolo 59!
Sì, potete gioire.
Sul mio profilo Instagram, poi (c_marthaperegrine_) ho fatto un sondaggio nelle stories per chiedervi se volevate il capitolo 58 pubblicato insieme a questo, essendo già pronto. I risultati sono stati perfettamente pari, quindi, ho deciso che il 58 lo pubblicherò tra pochi giorni ^^
Non mi dilungo ulteriormente, spero solo che questo capitolo vi sia piaciuto almeno quanto a m è piaciuto scriverlo. (E in realtà è stata una tortura perché ho sofferto a vederli così).
Un abbraccio,
Mars.
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