Capitolo 55. -M
"Sono così fiera di te, tesoro".
"La mia bambina che va in Francia!".
"Melanie, mi raccomando, NON mangiare le escargot! Ti prego non farlo... O non dormirò la notte!".
"Noi tre a Parigi, ma ci credi? Adrian è emozionatissimo".
"Lo sono anche io!".
"Se dovessi rincontrarti tra mesi o anni, ti amerei comunque".
Sussulto e spalanco gli occhi, mentre il mio cuore pompa sangue nelle vene con troppa enfasi. Inspiro e espiro, cercando di ritrovare la tranquillità ed il contegno.
Dio, sembrava così reale.
Ho risentito la sua voce nella mia testa, come se fosse qui accanto a me. Il mio cervello ancora ha in memoria il suono della sua voce. Scuoto la testa e chiudo il sipario di quel momento della mia vita che ormai appartiene al passato.
Sono passati due anni ormai e nessuno dei due ha cercato l'altro.
Mi sembra un messaggio abbastanza chiaro.
Eppure ci penso ancora, come se non riuscissi ad andare avanti. Non ci sto male -ho sofferto abbastanza- ma ci penso. Ogni tanto. Non so dire bene cosa provo, se nostalgia o solitudine ma la cosa mi infastidisce molto. Sono stanca, voglio andare avanti.
La vita mi sta spianando davanti una nuova strada, piena di novità. È ora di lasciare il passato dove deve stare: indietro.
Insomma, sono su un maledettissimo aereo e tra venticinque minuti atterrerò nella maledettissima Parigi.
Ah.
Ecco perché ci ho pensato.
Parigi.
Non essere ridicola, Mel!
Mi rimprovero, perché mi sento veramente stupida. Parigi è una città con, all'incirca, due milioni e duecento settanta mila abitanti.
È impossibile. Statisticamente impossibile.
Andrà tutto bene.
"Sei sveglia!" esclama una voce alla mia destra. Mi volto e nel mio campo visivo entra una sorridente Vanessa. "Ti stavo per venire a svegliare io. Tra poco atterreremo! Ci credi? Io no! Dammi un pizzicotto!".
La accontento, stringendo la pelle del suo braccio tra pollice e indice. "Va bene così?".
"Mi hai fatto male!" protesta, massaggiandosi la parte arrossata. "Ancora non capisci che certe cose vanno prese con sarcasmo? Sarcasmo, sai di cosa parlo?".
Scoppio a ridere, divertita dal suo mettere sempre il broncio. Mi ricorda Agatha, e il mio cuore fa una capriola. "Sì, so di cosa parli ma è più divertente se ti prendo alla lettera".
"Quindi se ti dico di buttarti dall'aereo lo fai?" mi chiede, cogliendo la palla al balzo.
"Posso valutare l'idea, sì" annuisco, sempre sorridente. "Ma prima lascerò nella tua borsa una lettera dove dico che sei stata tu a farmi suicidare, così finirai in galera".
"Basta vedere How To Get Away With Murder, Mel. Ti fa male al cervello".
E come darle torto. Da due settimane sono andata completamente in fissa con questa serie. Mi ha quasi fatto venire voglia di iscrivermi a Giurisprudenza e diventare avvocato. Cosa che non farò mai sul serio, ovviamente.
Sto per prendere il mio orgoglio e metterlo davanti alla verità, per dire a Vanessa che quella serie non mi fa affatto male al cervello, ma gli altoparlanti dell'aereo si accendono.
"Signore e signori, vi informiamo che tra qualche minuto atterreremo nell'aeroporto di Parigi Orly. Vi invitiamo a controllare che i bagagli siano stivati correttamente, il tavolino di fronte a
voi sia chiuso, lo schienale della poltrona sia in posizione verticale con i braccioli
abbassati e le cinture siano allacciate. Il Comandante informa che da questo momento, e fino alla riapertura delle porte, non è più consentito l'utilizzo di alcuna apparecchiatura elettronica. Grazie".
Appena terminata la comunicazione, Vanessa comincia a strattonarmi il braccio, e a lanciare piccoli gridolini acuti. "Hai sentito? Hai sentito? Stiamo per atterrare a Orly! Oh, mio Dio, sento che sverrò prima di poter mettere piede a terra!".
"E io sento che dovrò operarmi al braccio prima ancora di poter scendere da questo aereo se continui a torturarmi così!" la rimprovero, cercando di allontanare il suo braccio dalla sua presa ferrea.
"Ma quanto sei noiosa! Stiamo per atterrare, stiamo per vedere la città dove abbiamo sempre sognato di andare e tu sei così musona! Si può sapere che ti prende?!" sbotta, incrociando le braccia al petto.
La guardo, e mi pento di non essere stata un po' più serena e divertita dalla situazione. Vanessa ha ragione; sta per succedere. Ma per qualche strana ragione il mio cervello non vuole realizzarlo. "Scusami" le dico, con un sorriso timido. "Ma non credo che riuscirò veramente a capire che siamo quasi a Parigi finché non vedrò la torre Eiffel con i miei occhi".
"Fidati, secondo me non lo capirai nemmeno allora" ridacchia lei, scuotendo la testa.
"Forse no".
Scoppiamo a ridere entrambe, mentre ci riallacciamo le cinture. "Concediti di essere spensierata e felice, per una volta. Promettimelo, Mel".
Le sue parole mi sorprendono e mi volto di scatto a guardarla, per verificare che le abbia dette davvero. "Cosa?".
"Hai lavorato così duramente... e da quando ti conosco. Non ti sei fermata un attimo, sembrava quasi che gli esami non ti bastassero mai. Ma adesso ce l'hai fatta, Mel. Goditi la gloria e stacca la spina. Per due giorni, almeno! Non dico di non concentrarti... ma di divertirti, anche". Mi sorride dolcemente e mi afferra la mano, stringendola nella sua.
Sospiro e annuisco. "D'accordo. Te lo prometto".
Lei mi sorride entusiasta e io la seguo. Poi, sposto lo sguardo sul finestrino alla mia sinistra e vedo che ci stiamo abbassando. Comincio a vedere le macchine e le case. "Ci stiamo abbassando!".
"Cosa?" esclama, sporgendosi verso di me per riuscire a vedere. "Oh, Dio... Mi sa che me la farò sotto...".
"Non essere ridicola, andrà tutto bene" dico, cercando di tranquillizzarla.
"Tu dici? E tutti quegli incidenti che si sentono in tv su gente che muore sull'aereo? Che precipitano? E se dovessimo morire prima ancora di aver messo piede a Parigi?".
"Oh, santo cielo, Vanessa! Piantala!" la rimprovero. "Non moriremo, la mia vita non deve finire così".
"Come fai a saperlo?" mi chiede, nervosa.
"Perché ho fatto tanto per arrivare fin qui, me l'hai detto tu, quindi non può essere stato tutto inutile".
"Hai ragione" sospira lei, annuendo. "Sono troppo giovane per morire. Troppo giovane e troppo bella" aggiunge, sorridendo sghemba.
"Oh, mamma mia...". Lei scoppia a ridere alla mia reazione ma si zittisce subito quando l'aereo viene percosso da una turbolenza. "È il vento, Ness. Tranquilla".
Lei annuisce e prende a respirare lentamente per calmarsi. Le prendo la mano e guardo fuori, per vedere quanto manca a toccare terra. Terra francese.
Riesco a vedere l'aeroporto in lontananza e so che siamo sempre più vicine. Sempre di più, finché non siamo così basse da sfiorare l'asfalto della pista d'atterraggio.
"Sta per succedere, vero? Sta per succedere..." piagnucola la mia amica.
"Se non siamo morte finora, sicuramente non moriremo adesso che stiamo a un metro da terra" la tranquillizzo.
Vanessa lancia un gridolino spezzato quando l'aereo si poggia con poca grazia sul terreno. Poi comincia a ridere, prima piano, poi sempre più forte. "È fatta! Siamo a Parigi!".
"Beh, non ancora tecnicamente..." la correggo, ma a un suo sguardo d'ammonizione, continuo: "però siamo a Parigi!".
Il suo sorriso si allarga, e si slaccia la cintura, mentre il pilota comunica l'arrivo a destinazione e la temperatura esterna. Slaccio anch'io la mia cintura e mi alzo per cercare Adrian. Gli è stato assegnato un posto più lontano dal nostro, purtroppo, quindi abbiamo dovuto fare il viaggio separati. Mi guardo indietro e lo trovo a tirare giù il suo bagaglio a mano. Incontra il mio sguardo e mi sorride. Ricambio, salutandolo con un cenno della mano. "Siamo vivi!" gli mimo. Lui annuisce e scoppia a ridere.
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Siamo scesi emozionati dall'aereo e abbiamo preso una navetta che fermava a Parigi, vicino al nostro appartamento.
Lungo tutto il viaggio Vanessa si è lamentata della lentezza alla guida dell'autista, ma non ho potuto darle torto... andava veramente molto piano. Da dove veniamo noi siamo abituati a correre molto di più.
Adesso siamo nel nostro appartamentino e siamo sdraiate sul letto, entrambe a pancia in su e fissiamo il soffitto aspettando -forse- che ci riveli il segreto della felicità.
Adrien, invece, vive nel palazzo accanto al nostro, con il secchione dell'accademia. Non starò qui a descrivere la sua immensa gioia nel dividere la stanza con lui.
Il nostro ambiente, comunque, non è male. È piccolo, ma dobbiamo viverci solo io e Nessy, perciò direi che va più che bene. In più, ha qualcosa che mi fa molto ridere ma che allo stesso tempo mi fa pensare che chi abbia progettato questa casa sia davvero un genio: il bagno si trova esattamente a un passo dalla porta di ingresso. Della serie che se stai morendo, rischiando di fartela sotto, devi riuscire a resistere solo per aprire la porta, dopodiché stai già sul wc. È geniale, semplicemente geniale. O anche se sei al bagno e suonano il campanello, puoi sbrigarti a ricomporti e riesci a rispondere in tempi molto più brevi che in qualsiasi altra casa che invece ha, che ne so, il bagno al piano di sopra.
A parte la genialità del bagno, -che non è propriamente il bagno, ma il gabinetto: qui le cose sono diverse. Esiste una stanza per il gabinetto, in cui c'è solo il wc, e una stanza per il bagno, dove ci sono il lavandino e la doccia, lavatrice e cose varie. Il bagno, perciò, si trova accanto alla camera da letto- il resto della casa è molto minimale. C'è un piano cucina sviluppato in lungo, con lavabo, fornelli e frigorifero, un tavolo al centro della "sala grande", immediatamente battezzata così da me e Vanessa visto che è davvero la stanza più grande dell'appartamento, e un divano addossato ad un muro. Ringraziando il cielo, c'è anche una scrivania molto grande vicino al divano, e sicuramente io e la mia compagna la utilizzeremo per lavorare. La camera da letto ha fatto quasi svenire Vanessa, appena l'ha vista. È molto piccola, con un unico letto e giusto lo spazio per circumnavigarlo. La cosa positiva è che l'armadio occupa tutta la parete, perciò non avremo problemi a trovare posto per i nostri amati vestiti.
"Russi, la notte?" mi chiede Vanessa all'improvviso, dopo molti minuti di silenzio.
"Non ne ho idea" rispondo, confusa. "Ma posso dirti che nessuno si è mai lamentato di dormire con me perché russavo".
"Oh, bene" commenta brevemente.
"E tu?".
"Cosa?".
"Tu invece russi?".
"Ma no! Ti pare?!" risponde, facendomi ridere. Se l'è presa!
"Scusami, chiedevo solo!".
"Io ero abituata ad una certa privacy" esordisce ancora, dopo alcuni minuti. "Invece qui credo che dovremo condividere tutto. Non esisterà niente che potremo nascondere all'altra".
Corrugo la fronte. "Io non ho niente da nasconderti. E poi, devi solo abituarti, Ness! Ti ricordi che stamattina appena atterrata, non stavi nella pelle? Adesso ti è calata tutta l'emozione? Staremo davvero poco tempo in questa casa, giusto la mattina per prepararci e la notte per dormire. Il resto della giornata saremo in giro per la città a incontrare stilisti e partecipare a eventi straordinari, a vedere le sfilate, con tanto di cocktail con l'ombrellino dentro! Sai, quelli da ricchi. Vedrai, sarà tutto semplicemente fantastico".
Si volta a guardarmi e mi sorride. "Sì, hai ragione. Sarà tutto fantastico!" esclama, per poi scoppiare a ridere. La sua risata è così contagiosa che la seguo due secondi dopo. Ma la sua risata si spegne, e si alza di scatto a sedere. "Sì, e potrebbe essere subito tutto fantastico se questo maledetto idraulico si decidesse ad arrivare!".
Scoppio di nuovo a ridere. Siamo appena arrivate e già c'è un problema tecnico: è intasato il lavandino della cucina.
Un secondo dopo però il campanello suona e Vanessa scatta in piedi e corre verso la porta. Quello che gli appare davanti è un omone di quasi due metri, ma con la faccia gentile. Lei lo fa entrare e io gli sorrido educatamente, rendendomi conto che tutto il francese che ho imparato al liceo si è misteriosamente polverizzato e adesso non ho la minima idea di come comunicare con lui. Non voglio partire prevenuta, ma a prima vista non penso che quest'uomo conosca l'inglese, perciò guardo Vanessa, sperando che faccia tutto lei.
Lei rotea gli occhi, esasperata, e comincia a spigare la situazione all'idraulico in un perfetto francese. Strabuzzo gli occhi, sorpresa. Non avevo la minima idea che Vanessa conoscesse così bene il francese.
Alla spiegazione della mia amica –che riesco miracolosamente a capire- la risposta dell'uomo è gentile e disponibile, e si mette subito al lavoro. Capisco che è gentile e disponibile, solo grazie ai sorrisi e al suo annuire, perché di quello che esce dalla sua bocca non riesco a capire neanche una sillaba: parla così velocemente e così strascicato che neanche concentrandomi al massimo sulla sua voce riesco a capire quello che dice. Dio, sono messa proprio male.
"Bene" mi fa Vanessa. "Dice che è una sciocchezza e la risolverà in poco tempo. Noi, intanto, penso che sia meglio che cominciamo a disfare le valigie".
Annuisco, ancora confusa. "Buona idea".
Così facciamo, trascinando i nostri bagagli dalla "sala grande" alla camera da letto. "Come mai sai così bene il francese?" le chiedo, senza riuscire a resistere.
"Non te l'ho mai detto? Mia madre è francese, mi ha sempre parlato nella sua lingua da quando ero piccola. E poi, ad ogni festività, veniamo qui dai parenti, perciò posso fare esercizio".
"Allora non è la prima volta che vieni in Francia!" esclamo, sorpresa. "Sull'aereo pensavo che fosse la tua prima volta".
"No, non lo è. Ma è la prima volta che vengo a Parigi e la prima volta che faccio un viaggio senza i miei genitori. Forse per questo ero così nervosa" ridacchia.
"Quindi mi stai dicendo che tu vieni tutti gli anni in Francia ma che non sei mai venuta a Parigi?! Com'è possibile? Una volta che stai nel paese come fai a non visitare la capitale?".
"Prima di tutto, la Francia è enorme, anche se non sembra. E Parigi sta al centro mentre Marsiglia, dove abita mia nonna, è al sud. In macchina sono sette ore e mezza, in treno tre e mezza. Visto che di solito ci sto solo due o tre giorni, non c'è mai stato il tempo di arrivare fino a Parigi".
"Che peccato" commento confusa. "Però so che anche Marsiglia è molto bella!".
"Sì, lo è" mi risponde con un sorriso nostalgico.
Continuiamo a disfare le valigie in silenzio, ognuna persa nei suoi pensieri. Entrambe stiamo pensando a casa, alla nostra famiglia, ai nostri amici e a tutto quello che abbiamo lasciato nella nostra città. È difficile abbandonare tutto e cambiare vita. I problemi più piccoli ti assalgono con le paranoie più grandi, due gocce di pioggia e il mondo potrebbe crollarti addosso. Cosa che non succedeva affatto quando vivevo con i miei. Per quanto strani e completamente fuori di testa, i miei genitori non mi hanno mai fatto mancare niente, avevo sempre un pasto caldo, un letto in cui dormire e un tetto sopra la testa. Tutte cose che quando vivi da solo non sono più scontate come prima. E soprattutto, se sorgeva un problema di qualsiasi genere, ci pensavano gli adulti. Adesso l'adulta sono io, ed improvvisamente mi sento più pesante. Il mio stomaco si rigira facilmente quando penso alle cose che devo gestire da sola, o si contrae quando penso che possa succedere qualcosa di brutto e di come dovrei affrontarlo da sola.
Affrontare. Da sola.
Sola.
Forse è questo quello che mi spaventa di più. Essere sola in un mondo troppo grande, con troppe persone, con troppi problemi. Rischiare di essere schiacciata dalla velocità in cui gira questa realtà ed essere lasciata indietro, senza poter riuscire a tornare in carreggiata. Aver fatto tanto, per poi fallire con poco.
Penso che non dormirò stanotte.
A strapparmi via dai miei pensieri, è una canzone che attira la mia attenzione. Vanessa ha appena messo "La vie en rose" di Edith Piaf.
Mi guarda e mi sorride. Comincia a cantare e a dondolare mentre piega i panni nel cassetto dell'armadio. Al suo coro mi unisco anch'io, ballando in mezzo al piccolo spazio della stanza. Ci fermiamo all'improvviso quando sentiamo anche l'idraulico cantare. Ridiamo entrambe e riprendiamo a canticchiare.
Des yeux qui font baisser les miens
Un rire qui se perd sur sa bouche
Voilà le portrait sans retouches
De l'homme auquel j'appartiens
Quand il me prend dans ses bras
Il me parle tout bas
Je vois la vie en rose
Il me dit des mots d'amour
Des mots de tous les jours
Et ça me fait quelque chose
Il est entré dans mon cœur
Une part de bonheur
Dont je connais la cause
C'est lui pour moi, moi pour lui dans la vie
Il me l'a dit, l'a juré pour la vie.
--
Vanessa e le sue gambe lunghe. Siamo in ritardo, è il nostro primo giorno di stage e dovremmo cercare di essere puntuali... Ma non lo siamo state. Per colpa sua.
Perciò, adesso sta correndo come una pazza. Le mie gambine corte però ci mettono il doppio dei passi per starle dietro e mi sento davvero un'idiota. Mi sembro il suo cagnolino che le trotterella dietro -più o meno l'immagine è questa sul serio- amandola e venerandola.
In realtà, non l'ho mai odiata tanto.
"Ecco il tram!" esclama lei, accelerando.
"Aspetta!" grido, disperata. "Non osare salire su quel tram senza di me!".
Lei non sembra darmi ascolto, e con un salto atletico entra nel tram poco prima che le porte di chiudano.
"Che cosa?!" strillo, incredula. "Non ci posso credere!". Vanessa è dentro che mi saluta sorridente. "Spero che si fermi inspiegabilmente!" urlo, anche se so che non mi sente e che ormai il mezzo si sta allontanando. "Perché sei veramente una stronza!".
Un secondo dopo il mio telefono vibra, e lo tiro fuori dalla tasca del mio spolverino. "Stai tranquilla, ti aspetto alla fermata. Tu prendi quello dopo. Era solo un tram!".
"Solo un tram!" ripeto, facendo la vocina. Questa giornata comincia veramente male. MI siedo sulla panchina, affranta, sperando che il prossimo tram si materializzi dal nulla come il Nottetempo nel terzo libro di Harry Potter.
"Mel".
Il mio corpo lo ha riconosciuto ancora prima del mio cervello. Sento il mio cuore perdere un battito e il mio stomaco ribaltarsi in maniera strana. Alzo lo sguardo e lo trovo lì davanti a me.
Non è cambiato molto. Sembra più grande, ha la barba. Gli sta bene. Ha il fiatone, forse mi ha inseguito correndo. È bello più di quanto mi ricordassi e molti, troppi ricordi mi riaffiorano nella mente. Ricordi che mi fanno male al cuore, ma che spariscono se mi soffermo sui suoi occhi. Gli occhi, che sono stati la prima cosa che ho amato di lui. Adesso, mi rendo conto che forse non ho mai smesso. Che quel fastidio e quella voglia di voltare pagina non era che il desiderio di rivederlo, di abbracciarlo di nuovo, di fermare il tempo e tornare ad amarlo in modo genuino, pulito e salutare. Adesso, mi rendo conto che l'unica soluzione per qualsiasi problema è averlo accanto.
Gli occhi mi pizzicano a queste consapevolezze, ma cerco il contegno e mi sforzo di sorridere nel migliore dei modi.
Noto che mi fissa con interesse, e vorrei tanto sapere a cosa sta pensando. Qualsiasi cosa sia gli fa fare un passo avanti, e ora siamo a meno di mezzo metro di distanza. Il mio cuore sembra essere impazzito e sento che la mia intera faccia si è irrimediabilmente surriscaldata. Spero solo che non lo noti.
Da una parte, vorrei che questo momento durasse per sempre, che il mondo smettesse di correre per un attimo perché per certe cose ci vuole tempo e quel tempo serve al cervello e al cuore per gustarlo al meglio, per conservarlo gelosamente nella valigia dei ricordi.
Dall'altra, vorrei che finisse immediatamente, perché il modo in cui mi guarda mi preoccupa, anche se vorrei sospirare e sorridere beatamente, lasciandomi andare e poggiare la guancia sul suo petto, mentre lui poggia la sua sulla mia testa, come facevamo sempre.
"Ciao" gli dico, ancora troppo confusa per riuscire a dire qualcosa di più articolato. Lui mi sorride e basta.
Mi viene da ridere, mentre penso a Parigi e ai suoi due stramaledetti milioni e duecento settanta mila abitanti.
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Oddiocel'hofattapensavochequestogiornononsarebbemaiarrivatochebello.
Cosa importante numero uno: GRAZIE. Grazie per la pazienza che avete avuto nell'aspettare questo capitolo. Mi dispiace enormemente che i tempi siano stati così lunghi, ma ho passato davvero dei giorni molto impegnativi e, in tutta sincerità, non avevo abbastanza ispirazione per scrivere. Se non ne ho, è inutile che accendo il computer per aprire word: non ne uscirà mai niente di buono.
Però l'ho cercata, ho imparato che non è una manna dal cielo, l'ispirazione vien sognando ^^
Cosa importante numero due: mancano tre capitoli (credo). Aiuto aiuto lol. (però diciamocelo: era pure ora suvvia. Sono anni che io e Colu stiamo scrivendo questa storia, in parte è diventata una condanna).
Cosa importante numero tre:
Dai, con questo capitolo ci sta tutto.
Al più presto spero!
Ve se ama na cifra, cià.
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