Capitolo 51. -M

Nove meno un quarto.

Pronta per uscire, mi guardo per un'ultima volta allo specchio. Ultimamente mi fa sempre strano, molto strano, guardarmi allo specchio. Sulla mia faccia è presente un ricorrente paradosso: sorrido ma nei miei occhi leggo una profonda sofferenza. 
Ad occhi non molto attenti risulto serena e basta.
James lo noterebbe.
Ma lui non è qui. 

Per mascherare la mia malinconia ci sono andata pesante col trucco. Ho uno smokey eyes riuscito meglio di quanto mi aspettavo, matita nera dentro e fuori, ciglia finte e un rossetto lucido... chiaro. Ho ceduto, alla fine, non mi sono voluta mettere anche sulle labbra un colore pesante. In più, alle feste il rossetto dura quanto il primo cocktail. 

Mi sento bella, e devo riconoscere alla mia immagine riflessa che lo sono. Il vestito nero a tubino fascia il mio corpo e sì, evidenzia il mio essere minuta e magrolina, ma mi sento sicura al suo interno. Mi sento sicura perché so che non dovrò fare colpo proprio su nessuno, questa sera. Quindi non mi importa di quello che penseranno gli altri. Voglio divertirmi e lasciarmi andare, per una volta.
Ok, non che non l'abbia mai fatto... ma ne ho bisogno. Visto che quello di cui ho veramente bisogno non è qui con me.
Devo accontentarmi. 

Scendo le scale e trovo i miei genitori intenti a cucinare un piatto di pasta biologico.

"Dovete ancora cenare?" gli domando, accigliata. 

"Sì, tesoruccio, siamo tornati molto tardi dal lavoro oggi" mi spiega mia madre, con un sospiro. Mi guarda di sfuggita, alzando lo sguardo dai fornelli. "Uh, oggi hai la festa universitaria, vero?". 

"Sì, una specie" rispondo, sorridendo. 

"Divertiti, tesoro" mi dice mio padre, strizzando l'occhio. "Ma non fare troppo tardi". 

"Ci proverò" ridacchio.

Prendo le chiavi della macchina dal piattino vicino alla porta e, dopo un ultimo saluto ai miei, esco di casa. 

Ferma al semaforo, clicco sul navigatore del telefono così che mi guidi fino a casa di Adrian, con la musica della radio come compagnia. 
Mi sbrigo a cambiare stazione quando scopro che sono sintonizzata su Whistle Radio e che c'è un nuovo DJ Hermes a parlare. 

Mando giù un grosso nodo in gola e mi costringo a stamparmi un sorriso in faccia. 

Parcheggio fuori casa di Adrian solo dopo aver fatto il giro dell'isolato quattro volte. Alla faccia della festa in stile americano, qui ci sono troppe macchine per contenere tante persone in una sola casa!

Infatti, appena mi presento alla porta, la gente che c'è è impressionante; posso affermare che quasi sicuramente c'è almeno mezza università. E l'altra metà dovrà ancora arrivare.

Varco la soglia di casa e comincio di già a spalleggiare tra la gente per riuscire a passare. Allungo il collo, alla ricerca dei miei due nuovi amici. Intravedo la figura longilinea e perfetta di Vanessa al tavolo dei cocktail e mi avvicino. Porta un vestito attillato, rosa antico e vellutato. I capelli hanno la solita piega impeccabile e le scarpe sono adatte per durare al massimo due ore. Ma conoscendola quel poco, a costo di prendere una storta ci resterà fino a fine serata.

Decido di farle un piccolo scherzo, e la raggiungo silenziosamente per poi esclamare: "Ciao, scusami sto cercando un modo veloce per attaccare bottone, ma non ho ago e filo".

Lei salta dalla sorpresa e si volta confusa. Resta per un attimo a bocca aperta, ma si riprende velocemente. "Melanie!". 

"Ti prego, Mel. Nemmeno mia madre mi chiama Melanie" la rimprovero, prendendo un bicchiere dalla pila e versandomi un po' di sangria. La butto giù in solo sorso, mentre al mio orecchio arriva il verso di approvazione della mia amica.

"Perdonami, Mel" ridacchia lei. "Ma il tuo approccio è pessimo, fattelo dire" aggiunge, scoppiando a ridere. La seguo, riconoscendo che ha ragione. "Comunque, sei venuta alla fine! Sono così felice, Adrian non mi si fila, sta cercando di far rimanere la casa in piedi". 

Scoppio a ridere. "Beh, ha voluto la bicicletta, ora deve pedalare!". Mi riempio un altro bicchiere ma non lo bevo subito; lascio che l'alcol ingurgitato poco fa bruci nella bocca del mio stomaco, riempendo il vuoto che mi porto avanti da giorni.

"Però! Vuoi darci dentro!" esclama, sorridendo fin troppo per essere sobria. 

"Quanti bicchieri ti sei fatta già?" le chiedo, squadrandola da capo a piedi. Da che pulpito, poi, dato che mi sto riempendo il terzo bicchiere. Forse dovrei andarci più piano... o forse no.

"Ehm..." fa, guardando un punto indefinito. "Non lo so!" esclama poi, scoppiando a ridere. "Ma vieni, dai, andiamo a ballare!". 

Non faccio in tempo a rifiutare che la rossa mi prende per mano e mi trascina sulla "pista da ballo", rimediata in salotto, spostando i divani. Scolo il terzo bicchiere e lo getto a terra.

Scusa, Adrian.

Vanessa comincia a dimenarsi nella folla e decido di lasciarmi andare anche io. Mi serve spensieratezza in questo momento, sono stufa di rimuginare sulla mia vita. Per una volta voglio divertirmi e basta. 

Dopo alcuni minuti, nei quali io e Vanessa abbiamo continuato a ballare goffamente, Adrian ci raggiunge e ci saluta calorosamente. Vedo che è già abbastanza brillo e il suo modo di sbiascicare le parole mi fa ridere. 

"Non dovresti bere, tu!" lo rimprovera Vanessa. "Chi lo ripulisce poi tutto questo macello?". 

"Ma chi se ne frega!" urla lui in risposta. "Faccio venire la tua ragazza, così pulisce lei. Ah, no, scusa. È un ragazzo!" aggiunge, con una risata di scherno. 

"Dio, Adrian, sei proprio uno stronzo!" sbraita lei, dandogli una spallata e allontanandosi in lacrime. 

"Adrian!" lo rimprovero, nient'affatto felice di aver assistito a quella scena. "Perché sei stato così duro con lei?". 

Lui sospira e leggo sul suo viso il rimorso per ciò che ha appena fatto. Si massaggia una tempia un due dita e solleva lo sguardo su di me. "Vieni, forza. Ti racconto la storia". 

Mi porta lontano dal caos e mi fa sedere in cucina, dove due ragazzi si stanno baciando appassionatamente. 

"Ehi, voi due, smammate. E non provate a fare sesso sul mio letto altrimenti vi uccido".

I due non se lo fanno ripetere due volte e, dopo essersi scambiati uno sguardo imbarazzato, lasciano in fretta la cucina. 

"Allora. Dimmi di questa faccenda". Non sono poi così sicura di volerla sapere. Certo, la curiosità ha una buona percentuale, ma non mi sembra giusto indagare sulla vita sentimentale degli altri senza che loro lo sappiano. Forse Vanessa vuole tenere questa storia nascosta, e invece Adrian vuole raccontarmela. Mi giustifico pensando che magari, conoscendo il problema, sarò poi in grado di aiutarla.

"Lei e questa sua amica si conoscono dall'infanzia" dice, dopo essersi preso un paio di secondi per decidere come iniziare. "Sono state vicine per tutta la vita e lei le vuole molto bene. Le vuole più che bene, a dir la verità. Quando l'ha capito è corsa subito da me, spaventata da quello che il suo cuore desiderava. Io le dissi che non doveva preoccuparsi... Insomma era normale, no? Ma lei aveva paura di rovinare l'amicizia e così non le ha mai detto niente. Ora questa tipa ha deciso di cambiare sesso. Adesso si chiama Andrea. E gli piacciono le donne. Ma Vanessa ha ancora paura che lei... cioè, lui... la veda solo come un'amica". 

"Mi prendi in giro!" esclamo, arrabbiata. 

"No. È da anni che prova questi sentimenti ma li tiene per sé. È proprio una stupida" conclude, avviandosi verso il frigo e afferrando due bottiglie di birra. Me ne offre una e io accetto, stappandola e portandola alle labbra. Il liquido amaro e frizzante della bevanda mi va dritto in gola, lasciando un'altra scia di fuoco fino alla bocca del mio stomaco. Tossisco appena, sentendo gli occhi bruciare, ma ne prendo un altro sorso. Mi fermo per scuotere la testa, poi la mia mano si muove automaticamente e il vetro freddo della bottiglia incontra di nuovo le mie labbra. Questa volta ne prendo un gran sorso. Quando la allontano di nuovo mi accorgo che è quasi vuota.

"Così non può andare" mormoro. Non è giusto. 

Mi giro di scatto, pronta a cercare Vanessa in mezzo alla folla di gente, ma ho un lieve capogiro. Scuoto la testa, dandomi della fessa. Non posso essere già brilla, ne ho di cose da fare stasera. Devo convincere una mia amica a cogliere un'occasione unica, tanto per dirne una.
Bevo ancora dalla mia fedele bottiglia e finisco la birra.
Va bene ora, forse, posso essere leggermente brilla.

Avanzo con la mia fedele birra in mano, allungando il collo per cercare quella stupida. Sì, perché è proprio una stupida. La vedo al tavolo dei cocktail, mentre se ne prepara uno. La raggiungo, furiosa più che mai. 

"Tu!" urlo, e lei si volta, spaesata.

Mi guarda confusa. "Mel?". 

"Ma che ti dice il cervello?! Adrian mi ha raccontato tutta la storia. Si può sapere che aspetti a dirglielo?". 

"Tu proprio non capisci, eh?" fa lei, diventando rossa in viso. "Potrei perderlo per sempre!". 

"Se non glielo dici, lo perderai comunque! Magari si metterà con un'altra e tu lo guarderai amare qualcuno che non sei tu. Non è peggio, così? E poi non perderai la sua amicizia. Se lui ci tiene davvero a te, e sospetto di sì, allora ti capirà e farà finta che non sia successo nulla. Ma io penso che anche lei provi qualcosa per te" concludo, soddisfatta della mia ramanzina. "Cioè lui" mi correggo poi, sentendomi una scema.

"Tu dici?" mi chiede, timidamente. 

Cristo santo. "Vanessa, tu sei una bellissima ragazza! In più gli vuoi molto bene! Perché mai dovrebbe rifiutarti? Dio santo, tu che hai la possibilità di essere felice con una persona e di amarla, fallo!" aggiungo, urlando a pieni polmoni. 

È lei che non capisce. Sta sprecando un'opportunità. Lei che può, deve amare. Io vorrei, ma non posso. Questo pensiero mi manda veramente in bestia, ma cerco di contenermi. 

"Hai ragione. Mi dispiace che tu debba soffrire così tanto" mi dice, accarezzandomi una spalla. 

"Soffrirei di meno se tu cogliessi al volo questa occasione" le faccio notare, piegando la testa di lato. 

"Va bene. Domani lo chiamo e gli dico che gli devo parlare. Così ci diamo appuntamento e glielo dico in faccia" dichiara, alzando il mento, fiera di questa sua decisione. 

"Oh, finalmente!" esclamo, felice per lei. 

Poi, una mandria di ragazze già più che brille ci spingono via per prepararsi dei cocktail. "Toglietevi, sfigate!" urla una di loro, vestita di con uno straccetto blu elettrico, allontanandoci a forza. 

"Ehi, siate più gentili!" urlo, per sovrastare la musica. "C'è alcol per tutti". 

La ragazza col vestito blu fa per rispondermi, ma poi vede qualcosa dietro di me che la paralizza. "Oh, mio Dio... C'è lui!". 

Seguo il suo sguardo, confusa. Vicino alla pista da ballo, appoggiato allo stipite della porta, c'è un ragazzo molto attraente, intento a parlare con un suo amico, mentre fuma una sigaretta. Il solito ragazzo figo che si crede di essere dio sceso in terra. Alzo gli occhi al cielo e faccio una smorfia. 

"Oddio, non mi guarderà mai" sospira un'altra delle ragazze. 

"Nemmeno a me. Però quanto è carino!". 

"Carino? Quello è super sexy, cara. Impara ad usare i termini giusti". 

Continuano con commenti del genere e sento Vanessa ridere dietro la mia spalla. Mi volto verso di lei, anch'io molto divertita. "Vedi? Quelle sono stupide come te" le dico, bevendo un altro sorso di birra. 

"Fai il discorsetto anche a loro. Magari funziona". 

"Oh, puoi giurarci" rispondo, sentendo la rabbia e la frustrazione crescere in me. Prendo un altro bicchiere di sangria, sorpresa che ce ne sia ancora, e me ne porto un sorso alle labbra. L'alcol è ciò che alimenta i miei discorsetti. 

Mi avvicino al gruppo di ragazze e richiamo la loro attenzione. Si voltano tutte verso di me, curiose e scettiche. "Vi ho sentito che sbavate per quello lì. Mi dite perché vi limitate solo alle parole? Se volete portarvelo a letto, perché non lo fate? Pensate che i ragazzi, soprattutto quando sono ubriachi, rifiutino un'offerta del genere?" esclamo, ridendo appena. "Non penso proprio! In più siete sexy tutte quante, anche più di lui. Se volete qualcosa, prendetevela! Basta pensare che non siamo abbastanza per loro! Volere è potere, ragazze. La vostra felicità dipende da voi". 

Alla fine del mio discorso, applaudono tutte entusiaste. Tutte tranne quella col vestito blu. "Sì, belle parole, ma visto che credi tanto di saper come fare, perché non ci provi tu?". 

Prendo un altro sorso di sangria, scolando l'ennesimo bicchiere. "Affare fatto". 

Mi volto e lo individuo, fermo dove lo avevo lasciato. Mi dirigo con ampie falcate verso di lui, fissando le sue labbra. Mi fermo a pochi centimetri da lui. Il ragazzo sposta lo sguardo su di me e mi fa un cenno con il capo.
 Da questa distanza posso notare che è molto più bello di quanto non sembrasse da lontano. Per un attimo la mia sicurezza vacilla, insieme al mondo intorno a me, ma mi riprendo subito. Non sono il tipo di ragazza che perde una sfida. Punto i miei occhi nei suoi, che sono di un nocciola molto chiaro, sembrano quasi verdi; noto con ammirazione che sono contornati da un leggero strato di matita nera, che risalta il colore. In più, il suo ciglio strafottente e il sorrisetto soddisfatto che ha sulle labbra non diminuiscono la sua bellezza. Mi meraviglio però, che più lo guardo più il mio interesse per lui cala. È bello, sì, ma non quanto James. Ai miei occhi nessun ragazzo lo è.

"Cosa posso fare per te?" mi chiede, schernendomi appena. 

"Seguirmi al piano di sopra" gli rispondo, come se fosse ovvio. 

"Con piacere" mi sorride, lasciando la sua sigaretta al ragazzo a fianco a lui. Mi circonda le spalle con un braccio e mi volto appena per guardare le ragazze del tavolo dei cocktail. 

Loro applaudiscono, entusiaste del mio successo. Vedo Vanessa fare lo stesso.

Solo che ci stiamo dirigendo davvero al piano di sopra. 

Mi ritrovo in una camera da letto matrimoniale, e non so nemmeno bene come ci sono arrivata. Sento le sue mani spogliarmi e le sue labbra cercare le mie. Lascio che le mie si schiudano, per dargli il libero accesso. Intreccio le dita tra i suoi capelli e lo stringo a me, mentre lui mi guida verso il letto. 
Resto solo col mio intimo addosso e di nuovo non so come. La mia mente si assenta e mi porta lontano da lì, nei meandri dei miei ricordi. 

Fuerteventura. Io e James. La nostra camera d'albergo. Le lenzuola bianche e i nostri corpi intrecciati. Il suo calore su di me, le sue labbra sulle mie, i suoi occhi puntati sui miei. I suoi occhi, Dio, i suoi occhi. 

Qualcosa mi riporta alla realtà; le sue mani che afferrano i miei fianchi, per attirarli ai suoi. "James?" mormoro, abbassando lo sguardo. 

"Non proprio, ma se vuoi sarò James per stasera" mi sussurra una voce estranea all'orecchio. 

Sobbalzo e mi rendo conto di tutto. Lo spingo via con tutta la forza che ho, e mi sento nuda e sporca sotto il suo sguardo confuso. 

"Cosa c'è?" fa lui. 

"Vai via" dico, alzandomi e recuperando i miei vestiti dal pavimento. 

"Ma come? Ci stavamo divertendo" lo sento dire, mentre mi afferra di nuovo i fianchi facendo aderire il suo corpo al mio. 

Mi volto di scatto, spingendolo di nuovo lontano da me. "Vai via!" urlo, sentendo un groppo in gola, e le lacrime minacciare di uscire. 

Lui scoppia a ridere, dopo un secondo di perplessità. "Come vuoi, dolcezza. Ne trovo altre cento al tuo posto". Si riveste velocemente e mi lascia da sola in camera, con il suono attutito della musica che viene dal piano inferiore e la luce soffusa dei lampioni della strada che entra timidamente nella stanza. 

Mi trascino fino al bordo del letto e mi ci siedo. Prendo a respirare lentamente, ma le lacrime escono da sole. Recupero il telefono dalla tasca del mio giacchetto e compongo il numero che ormai so a memoria. 

Dopo alcuni squilli, sento la sua voce. "Non riesci a dormire? Per fortuna neanch'io". 

"James" mormoro in un singulto, coprendomi il viso con la mano libera. 

"Mel!" esclama lui, e posso sentire tutta la preoccupazione che c'è nella sua voce. "Cos'è successo?". 

"James mi dispiace, non so cosa mi sia preso, mi dispiace, mi dispiace, non so perché l'ho fatto..." urlo, tra i singhiozzi, lasciando il mio viso nascosto tra le dita della mia mano. 

"Calmati e dimmi cosa è successo". 

Provo a regolarizzare il mio respiro, senza molto successo. Tremo come una foglia, un po' per il freddo, un po' per la paura. "Ho bevuto". 

Lui sospira, preoccupato. "Si sente. Stai bene?". 

"No" rispondo, tirando su col naso. 

"Chiama qualcun altro, Mel. Io da qui non posso aiutarti" mi ricorda lui, con la frustrazione nel tono. Me lo dice quasi come fosse una supplica. E so perché: si sente inutile perché non può fare nulla per farmi stare meglio. 

"Stavo per andare a letto con un altro" dico, tutto d'un fiato, così piano che temo che lui non mi abbia sentito. 

Dall'altra parte non sento nulla, un silenzio assordante prima della tempesta. Poi, un sospiro. Vorrei tanto vedere la sua faccia in questo momento, vedere la sua ruga formarsi tra le sopracciglia, lo sguardo deluso e ferito. Vorrei vederlo, anche se mi sentirei male a sostenere uno sguardo del genere. Vorrei vederlo e vorrei averlo qui con me. 

Dall'altra parte del telefono continua ad esserci un silenzio tombale, uno di quei silenzi in cui il tempo si ferma e il mondo smette di girare. Quel silenzio che serve per rendersi conto che è successo qualcosa di brutto, per dare tempo al cervello di metabolizzare, e al cuore di soffrire. 

"Di' qualcosa, James" piagnucolo, tirando su col naso. 

"Cosa dovrei dire?" mi risponde, dopo due secondi di pausa. 

"Che mi odi. Che sei deluso, che ti ho ferito, che non dovevo farlo perché ti fidi di me e perché mai nei mesi in cui siamo stati insieme ti ho dato motivo di dubitare della mia lealtà, perché pensavi che fossi diversa, e perché ci siamo promessi di continuare ad amarci e di essere fedeli l'uno all'altra, anche con mille quattrocento ventuno chilometri di distanza". 

"Ci siamo promessi di continuare ad amarci, sì" conferma, addolcendo il tono. "Ma non di rimanere fedeli l'uno all'altra". 

"Cosa?" mormoro, flebilmente. "Ok, magari non l'abbiamo detto ad alta voce, ma era sottinteso" aggiungo, ridendo appena. 

"No, Mel. Io non te l'ho mai chiesto. Nè l'ho mai preteso. Sapevo che sarebbe successo. Sentivo che stava per succedere. Certo, non avrei immaginato così presto, magari dopo qualche mese e questa cosa un po' mi delude, ma Mel... Io non ti ho mai chiesto niente". 

"James... io... non... Non capisco" borbotto, scuotendo la testa. 

"So che mi ami. Non sono arrabbiato perché so che hai pensato a me, quando stavi per... beh, mi hai capito. Ho capito che ti manco e che sei arrivata al punto di tradirmi, perché non ce la facevi più. Come posso essere arrabbiato con te?". 

"Non ti ho tradito, lo giuro!" urlo, sentendo il senso di colpa, insieme all'alcol, bruciarmi nello stomaco.

"Hai baciato un altro, Mel. Ti sei fatta toccare da qualcuno che non sono io" mi fa notare, e sento un leggero tono di rabbia nella sua voce. "Mi hai tradito".

"Io...io non...". Non c'è niente che io possa dire veramente. Quel che dice lui è vero e lo rimarrà per sempre. L'ho tradito. Non col pensiero ma l'ho fatto. 

"Ma sapevo che sarebbe successo".

"Come?" rispondo, quasi subito, accigliata. "Vuoi dire che non avevi fiducia in me?". 

"No, questo mai. Voglio dire che non saremmo durati. Non perché non ci amiamo o perché il nostro amore si è affievolito ma perché ora conduciamo vite troppo diverse. Se prima i binari si sono incontrati, ora sono tornati ad essere paralleli. Il problema è che non sappiamo per quanto ancora rimarranno così. Ma ti dico in tutta sincerità, Mel. Io non voglio soffrire aspettando che i nostri binari si incontrino di nuovo". 

"Nemmeno io, ma non dovremo farlo. Ci siamo promessi di non fare della distanza un problema" gli ricordo, piagnucolando di nuovo, supplicandolo. 

"Ma la distanza è più grande di noi". 

"Così vuoi arrenderti" sentenzio, e a questa rivelazione il mio cuore si stringe in una morsa dolorosa. 

"No. Ma non ho altra scelta" sospira.

La mia gola si attorciglia, lasciandomi senza fiato e le lacrime sgorgano fuori dai miei occhi senza che io me ne renda conto. Comincio a vedere tutto sfocato, il mondo intorno a me sembra girare troppo velocemente, tanto che scivolo dal letto e cado con un tonfo sordo sulla moquette, senza avere la forza per sorreggermi. 
Nei ricordi dei mesi passati con lui, so di aver pensato a questo momento. So che già tempo fa sapevo che sarebbe successo. Sono fatte così, le cose: esistono per durare poco. E più sono belle tanto meno dureranno. Non ha nemmeno minimamente senso questo ragionamento, ma quando qualcuno possiede, prova, vive una bella emozione, già sa che presto se ne andrà. Ciò che è bello è raro, e bisogna farne tesoro quando lo si trova davanti. 
Vorrei aver vissuto più cose insieme a lui. 
Vorrei averlo amato di più, avrei voluto dirgli più cose, viverlo di più. 

E adesso, invece, già lo sento lontano, lontano come non lo era mai stato. Lontano anni luce da me, una stella di un'altra galassia. 

 "Ti amo, Melanie. E se dovessi rincontrarti tra mesi o anni, ti amerei comunque". 

Singhiozzo, sorridendo appena a quelle parole. "Ti amo, James. E se dovessi rincontrarti tra mesi o anni, ti amerei comunque". 

"Allora è una promessa" aggiunge, sogghignando amaramente. 

"Lo è". 

"Ciao, Mel". 

"Ciao" mormoro, così debolmente che dubito mi abbia sentita. Sento un sospiro e poi nulla. 

Dentro, invece, sento il mondo crollare sotto i miei piedi e un dolore al petto che non avrei mai pensato di provare. Non so bene nemmeno quale parte del mio petto sia, non sapevo nemmeno che potesse far così male, ma lo sento. Forte e chiaro. Mi rendo conto di urlare solo ora. Urlare e piangere come una bambina. Una bambina che è appena caduta dall'altalena e che si è sgrugnata le ginocchia. Cerca la madre, per aiutarla, ma non c'è nessuno. 

Non c'è nessuno. 

Dopo non so quanto tempo, la porta si apre e entra qualcuno. Non so chi sia, ma non mi interessa. 

"Santo cielo, Mel" lo sento dire, mentre si toglie la sua giacca e me la mette sulle spalle per scaldarmi. "Adesso ci vestiamo e andiamo a casa, va bene?". 

Alzo gli occhi e incontro quelli chiari di Leonard. "Come facevi a sapere che ero qui?". 

Lui guarda in basso per poi sospirare. "Non importa. Andiamo via di qui e basta". 

Non me lo faccio ripetere due volte. Insieme al suo aiuto mi rivesto e mi asciugo le lacrime, che hanno sbavato tutto il mio trucco. 

Mi circonda le spalle e mi porta fuori dalla camera, fuori da quella casa. Mi fa salire in macchina. Per tutto il viaggio rimango con lo sguardo fisso sulle luci dei lampioni che sfrecciano sopra di noi. 

"Dormi da me, ok? Ho già avvertito tua madre, è tutto apposto". 

"Grazie, Leo. Non so cosa farei senza di te" mormoro, con la bocca allappata. 

"Non preoccuparti, tesoro" mi dice accarezzandomi la testa. "Starai bene". 

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Don't cry,  don't cry,  don't cry, don't cry... CRY A LOT. 
In questo momento il mio cuore è spezzato in due. Anzi no, ridotto in mille pezzi. 
La mia vita non ha più senso.
Il terreno sotto i miei piedi è misteriosamente svanito.
Non so più chi sono... 
ok, la smetto. 

Non voglio aggiungere niente di eclatante alla fine di questo capitolo, uno perché è abbastanza lungo e due perché non so che cosa dire se non cose tristi LOL. 
Quindi mi limito a ringraziarvi per l'infinita vastità della vostra pazienza nell'aspettare questo capitolo, visto che ci ho messo più di un mese a scriverlo D: Davvero, grazie :3 
E, ovviamente, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto :3

Ci sentiamo asap,
M. 

P.S: Colu esiste ancora, è viva, solo che questo momento è molto impegnata, come vi ho già detto. Nonostante questo è presente per me e tiene a dirvi che tornerà quando potrà :3 un abbraccio da parte sua ^^

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