Capitolo 48. -J

"Ehilà, gente, qui il vostro caro e vecchio Hermes! La puntata di oggi, purtroppo, sarà un po' triste. Ebbene, amici, dopo quattro anni di fedele servizio a Whistle Radio, vi annuncio che questa è la mia ultima registrazione. Mi piange il cuore al pensiero di non dover più preparare playlist, di non poter più leggere i vostri messaggi e, soprattutto, di non potervi più parlare. Chiunque voi siate, qualunque sia la vita che vivete, siete sempre stati il miglior mezzo per esprimermi. Quando venivo qui, le tre solite sere a settimana, mi sedevo su questo dannatissimo sgabello, accendevo il microfono e mi dicevo: ok. Adesso non esiste più niente. Ci sono io, la musica e il microfono. E il mio fantastico tecnico del suono, dall'altra parte del vetro. Tutte le preoccupazioni svanivano e mi impegnavo a mettere tutto me stesso in quello che dicevo. E oggi, come tutte le altre volte prima, vi giuro che non vi mento. Intendo ogni cosa che vi spiego, vi dico... vi confesso. E per questo, spero che siate riusciti ad apprezzarmi.
Ma adesso basta con le smancerie, dico bene? Non sono mai stato un tipo sentimentale, lo sappiamo tutti.
Ah...Perdonatemi. Ho parlato troppo presto. Spero che riuscirete a reggere ancora qualche minuto di smancerie. In caso contrario, tornate tra un po'. Promesso, però! Devo solo... beh, devo solo dedicare un paio di righe ad una persona. Una persona speciale.
A te, e intendo proprio te, che stai ascoltando, che mi hai sempre ascoltato... Senza Whistle Radio probabilmente non ti avrei mai incuriosito. Non sono il tipo per te, io. Eppure hai riconosciuto la mia voce, in mezzo ad altre centinaia di voci, tu mi hai riconosciuto. E questo vuol dire solo una cosa. Malgrado tutto quello che ci sta succedendo... Eravamo destinati l'uno all'altra. E malgrado io mi odi per quello che sto per fare... Ringrazio tutti gli dei che gli uomini sono riusciti a idealizzare, perché ti hanno fatta cadere -letteralmente- tra le mie braccia. Spero che la canzone ti piaccia. È per te. Signore e signori, Better Together di Jack Johnson, cantata dagli Us the Duo".

-

Quando chiudo, con un certo sforzo, la valigia intrappolata sotto il mio ginocchio, spero di riuscire a chiudermi anche io. Provo troppe emozioni per poterle contenere da solo.

La prima, senza dubbio, è la frustrazione. Ha il controllo pieno del mio corpo, visto che da quando sono sveglio (cioè dalle tre di questa mattina) non smetto di tremare. Tremo, come una foglia.

E a farmelo fare, insieme all'essere frustrato, è l'essere spaventato. A morte. Ho così paura che penso di dover andare in bagno ogni due minuti. Ho così paura che il mio intestino si rigira e si stringe, facendomi sentire un nodo nella pancia. Un nodo che non si scioglierà facilmente.

E poi sono, ovviamente, triste. Il mio cuore pulsa dolorosamente, attraversato da fitte violente ogni volta che i miei pensieri mi propongono il suo viso. E accade ogni secondo.

Ma, sotto una coltre di negatività e ansia, sono anche felice, elettrizzato e pronto a saltare di gioia. Sto per fare quello che ho sempre voluto. Il solo pensiero mi fa bollire il sangue nelle vene, facendo scorrere l'adrenalina in tutto il mio corpo. Sto per realizzare il mio sogno.

Ancora non ci credo. Dopo tutta la fatica che ho fatto per raggiungerlo, non posso credere di avercela fatta, finalmente. Certo, ora mi aspetta la parte più difficile e so che dovrò fare uso di tutta la mia forza di volontà per riuscire definitivamente. Ma so anche che sono pronto: è tutta la vita -o almeno fin dall'adolescenza- che non aspetto altro. Se dovrò scalare le montagne più alte che la mia vita mi presenterà mai, le scalerò.

Nonostante il mio cuore pesi tanto. È diventato un macigno da quel giorno. E non si azzarda ad alleggerirsi. Sospiro, metto la valigia sulle rotelle e guardo per l'ultima volta la mia stanza.

Pessima, pessima, pessima idea.

Per un attimo, vengo trasportato in un altro mondo. Il mondo dei ricordi.
Lei che entra sorridendo, con due caffè da asporto.
Lei che mi saluta con un bacio.
Lei che ride.
Lei che si siede sopra di me.
Lei con la mia maglia.
Lei nel mio letto.
Lei nuda, nel mio letto.

Scuoto la testa, costringendomi a tornare alla realtà. Quando sarò a Parigi, farò di tutto per rendere la mia camera completamente diversa da questa. Non posso pensare a lei in ogni momento. La penserò, certo, anche perché è estremamente facile, ma devo cercare di non farlo in ogni momento.

Esco definitivamente da quella stanza. Scendo le scale tenendo alta la valigia per non farla sbattere contro i gradini. Ad aspettarmi ci sono mia madre e Sarah. La piccola mi guarda col broncio e la braccia incrociate al petto.

Dio, Sarah, non mettertici pure tu.

"Sei pronto? Hai preso tutto?" mi chiede mia madre, mentre recupera le chiavi della macchina dal piattino.

"Credo di sì".

"Credi?" mi domanda, ridendo appena. "Ho capito, comincio già a preparare uno scatolone".

Roteo gli occhi. "Non penso che ci sarà bisogno di uno scatolone".

"La testa l'hai presa? Sei sicuro di averla ancora attaccata al collo?" continua, prendendomi in giro e facendo ridere di cuore Sarah.

Mi limito a sbuffare e ad aprire la porta. Un altro grosso sbaglio. In mia discolpa, non ne sapevo niente.

"Che ci fai qui?" riesco a dire, sorpreso.

Lei alza gli occhi al cielo. "Volevo prendermi un caffè" mi risponde, sarcastica. "Secondo te cosa ci faccio qui?".

"Eravamo d'accordo di vederci in aeroporto" le dico, corrugando le fronte. L'avevo pregata di non venire con me. L'avevo pregata di salutarci in un altro modo. Ma lei e tutta la testardaggine che scorre nelle sue vene non hanno ovviamente esaudito la mia preghiera. Chissà con quale forza sovrumana riuscirò a voltarle le spalle, oggi, per prendere un aereo che mi porterà a mille e quattrocento ventidue chilometri di distanza da lei.

"Sì, beh..." fa lei, stringendosi nelle spalle.

"Sono le sei del mattino. Potevi dormire" la rimprovero, mentre mia madre e mia sorella ci superano, per lasciarci i nostri spazi, e si dirigono verso la macchina.

Lei sbuffa, divertita. "Dormire. Non so neppure più che cosa sia".

Già, neanch'io.

Odio che si senta male quanto mi sento male io. Odio che si sia innamorata di me. Odio il fatto che abbia vinto.

"D'accordo, allora..." sospiro, trascinandomi dietro la valigia e chiudendo la porta di casa. La guardo per qualche secondo, la mia casa, cercando di imprimerla nei miei ricordi il meglio possibile. Quando lo sguardo di Mel sembra scottare troppo, sul mio collo, mi volto verso di lei e noto che mi sta fissando con un'espressione di compassione.

"Andiamo" mi dice, finendo per me la frase. Mi porge una mano che io non tardo ad afferrare. Me la ricorderò la sensazione di averla nella mia, di mano? Mi ricorderò di quanto sia piccola in confronto alla mia?

Devo per forza. Posso, per forza.

-

Il tragitto da casa all'aeroporto non mi ha lasciato, fortunatamente, molto spazio per pensare. La voce squillante e acuta di Sarah, unita alla risata -la bellissima e contagiosa risata- di Mel e ai rimproveri ad alta voce di mia madre a sua figlia minore hanno creato un distrazione troppo forte, perché io potessi anche solo pensare di rimuginare.

Arrivati a destinazione, scopro con rammarico che ci sono anche mio padre e Tess. Riformulo: scopro con rammarico che c'è mio padre.

Quando ci avviciniamo a loro, mi trattengo dal fare una smorfia. Noto che mio padre tiene stretta una busta nella mano, mentre con l'altra tiene quella di Tess. Non ci metto molto per capire cosa ci sia, in quella busta.

"Mio figlio!" esclama e allarga le braccia. "Se ne va a fare carriera... Come non potrei essere felice?".

Fare carriera. Un modo brutto per sminuire cosa vado a fare veramente. Costringo le mie labbra a piegarsi all'insù e accetto l'invito di mio padre, abbracciandolo. "Grazie, papà".

Poi, eccolo, il gesto fatale. Mi porge la busta. Guardo lui, guardo la busta. Lui sospira. "So che non li vuoi accettare. Sei sempre così testardo e orgoglioso che non vuoi farti aiutare da nessuno. È per questo che faccio così fatica a rappacificarmi con te". Ah, questa è bella: adesso sono io lo stronzo. "Ma io ti prego di accettarli. Ho provato in tutti i modi a farmi benvolere da te, e non ci sono riuscito, dopo tutti questi anni. Non sono riuscito a dimostrarti che adesso sono un uomo diverso, onesto con me e con chi ho attorno. Questi soldi li ho guadagnati onestamente, e onestamente te li porgo. Voglio avere la certezza che, se mai  in un paese straniero ti troverai in difficoltà, avrai avuto l'appoggio di tuo padre. Voglio essere per te quello che mio padre è stato per me. Un'ancora".

Nonostante disapprovi ogni singola parola che è uscita dalla sua bocca, non posso trattenermi dall'essere sorpreso. Leggo nei suoi occhi che è sincero. Non vedo la sua solita espressione, quella altezzosa, quella che cerca sempre un segno d'approvazione. Adesso, per la prima volta dopo tanto tempo, è sincero. Vuole veramente aiutarmi.
Un po' preso da questa consapevolezza, un po' il ricordo del fatto che l'ho quasi perso, quest'anno, mi arrendo.
Sospiro, e riabbasso gli occhi sulla busta. È orrenda. Sembra che sopra ci sia un grosso cartello luminoso con scritto: "afferrala, e sarai l'ennesimo figlio di papà".

Infine, con un grosso sospiro, la afferro. "Grazie" mugugno, in un sussurro. Non voglio comunque dargli soddisfazione.

Lui mi sorride. "Grazie a te".

Fortunatamente, il tempo in cui sono costretto a guardare mio padre è finito, perché mi abbraccia, stritolandomi, una Tess piena di lacrime negli occhi.

"Jamie! Ma come farò senza di te?! Mi scriverai, vero? Mi manderai tante foto, vero? Fanne tante, di foto!" strilla, per pori staccarsi da me, asciugandosi le lacrime con un fazzolettino.

Le sorrido, mentre le accarezzo un braccio. "Sta' tranquilla, Tess. Scatterò foto per te in ogni momento. Anche quando sarò sul wc, contenta?".

Lei mi lancia un'occhiataccia degna dei peggiori cattivi Marvel ed esclama: "Stupido che non sei altro! Guai a te se mi mandi una foto del genere!".

Scoppiamo tutti a ridere, comprese mia madre, mia sorella e Melanie che fino ad ora hanno aspettato educatamente che salutassi la coppia più strana del mondo.

Con un ultimo abbraccio di gruppo e altre lacrime, Tess e mio padre rientrano in macchina, lasciando che il momento cruciale si avvicini sempre di più.

Mi volto verso le tre sole donne della mia vita e gli sorrido. "Entriamo?" propongo.

"Sì, mi serve un caffè" sospira Mel, per poi cercare di contenere uno sbadiglio senza successo.

"Anche a me" la segue mia madre.

"Anche a me!" esclama Sarah, e io scoppio a ridere.

"Al massimo tu prendi una cioccolata" la rimprovero, rabbrividendo al pensiero di Sarah dopo il caffè. Saltare sui muri sarebbe solo l'inizio.

"Ma fa caldo!" protesta, mentre ci avviamo verso l'interno dell'edificio.

"Allora un té freddo alla pesca" le propone invece Mel, facendola annuire.

"Molto meglio!" esclama soddisfatta, saltellando fino ad arrivare vicino a mia madre, che le circonda le spalle con un braccio, prima di avvicinarsi alla cassa di un bar.

"La lascio in buone mani" sghignazzo, voltandomi per un attimo verso Mel.

Lei mi segue nel ridere, ma smette di farlo quasi subito. Deglutisce per poi sospirare. "Ehi" le dico, prendendole una mano e avvicinandola a me. "Non fare così. Ti prego".

Lei mi sorride amorevolmente e annuisce. "Sì, scusa. Non migliora la situazione prenderla in questo modo, vero?".

"No" confermo, lasciandole un bacio sulla fronte. "Pensiamo ad altro, ok? Pensiamo a quella volta che abbiamo varcato questa soia per andare in vacanza insieme. È molto meglio".

"È meglio" annuisce, per poi dirigersi verso il bar, senza lasciarmi la mano.

Dopo che ognuno di noi si è preso la dose di zuccheri necessaria ad affrontare la giornata, arriva il momento.

Il momento di dover fare il check-in.
Il momento dei saluti.

Siamo ancora tutti e quattro seduti su un tavolino e tutti e quattro fissiamo le nostre tazze vuote.

"Allora" rompe il silenzio mia madre. Alzo lo sguardo su di lei e vedo che mi sorride. "Niente cavolate, James. Dico sul serio" si affretta ad aggiungere, quando alzo gli occhi al cielo. "Appena arrivi, pensa alle cose fondamentali. Telefono e conto bancario. Non fare cose affrettate, prenditi il tempo che ti serve. Sono sicura che qualcuno ti noterà" conclude, allargando il suo sorriso.

"Grazie, mamma".

Mi prende una mano e la stringe forte. "E chiamami. Non dico sempre, ma una volta al giorno, almeno. Giusto per farmi sapere che sei ancora vivo e non sei morto per indigestione di formaggi".

Scoppio a ridere, insieme alle altre due, e annuisco. "Lo farò, promesso".

"E sii felice. Promettimi anche questo".

Il suo sguardo si fa serio e l'intensità che ha negli occhi mentre li punta nei miei mi sorprende. È davvero preoccupata per la mia felicità, e a questo pensiero le sorrido dolcemente.

"Cercherò di esserlo, con tutto me stesso".

"Bene" sospira, per poi lasciarmi la mano ed alzarsi. "Beh, non abbracci tua madre?".

Non me lo faccio ripetere due volte e mi alzo anche io, per circondarle la vita con le braccia. Lei allaccia le sue al mio collo, mentre mi accarezza i capelli. "Sono contenta che tu abbia deciso così".

Sorrido. "Anche io".

"E non preoccuparti. Lei capirà".

Sussulto a quella frase, ma cerco di ricompormi subito. Non ho mai parlato a mia madre di Mel. Ha capito che avevo una ragazza quando ho cominciato a mettermi il profumo. Non mi sono mai confidato con lei,quando ero confuso, o dopo aver litigato. Non le ho mai confessato l'amore che provo per lei. Eppure ha capito, ha capito tutto. Immagino sarà uno dei super poteri delle mamme.

Mi sciolgo dolcemente dall'abbraccio e annuisco. "Non lasciare da sola Sarah".

Questa volta è lei che alza gli occhi al cielo. "Steven ha una figlia di dodici anni. Sono sicura che si troveranno bene insieme".

Steven. Me l'ha presentato, qualche mese fa e fortunatamente sono rimasto piacevolmente colpito. È il tipo giusto per mia madre: è un dottore pediatrico e si presume sia molto buono e gentile. Mi è parso che lo fosse e spero che insieme possano essere felici. Mia madre se lo merita.

Annuisco e sospiro. Mi volto verso di Sarah e il mio cuore fa un tuffo. È in lacrime. Quelle enormi che solo i bambini sono in grado di produrre.

"Oh, principessa, vieni qui" le dico, inginocchiandomi per arrivare alla sua altezza. Lei non se lo fa ripetere e si butta tra le mie braccia, cominciando a singhiozzare.

Mi si stringe un nodo in gola, e sento gli occhi farsi lucidi. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma non così tanto.

"Non te ne andare!" esclama, tra i singhiozzi. Appunto.

La prendo per le spalle così che possa guardarmi in faccia. "Ascolta. Non è un addio, d'accordo? Tornerò per le vacanze, tornerò per scartare i regali di Natale insieme, ok? Non piangere, Sarah. Altrimenti piangerò anche io".

A quelle parole sembra calmarsi e si asciuga le lacrime, stropicciandosi gli occhi con i polsi. "Non così forte, te li farai diventare rossi". Sospiro, guardandola tirare su col naso. Gli occhi sono già diventati rossi, le ciglia sono bagnate, e la punta del suo naso è arrossata. Ma poi mi sorride e il mio cuore si scalda. Non posso lasciarla mentre mi prega di non partire; un sorriso è decisamente meglio. "Brava" le dico, dando voce ai miei pensieri. "Questa è la Sarah che conosco".

Mi alzo in piedi e lei mi segue, alzando la testa. "Ti voglio bene, fratellone".

"Te ne voglio anche io, tanto. Mi mancherai tantissimo".

"Tu no!" esclama, ridendo alla mia espressione. "Finalmente posso dormire sul tuo letto!".

"Te lo concedo. Ma solo se mi prometti di dire a George che deve andarci piano".

"Ancora con questa storia!" esclama, esasperata. "Non mi piace George!".

Scuoto la testa, per poi accarezzarle la guancia. "Cresci. Così non devo abbassarmi per abbracciarti".

"Troppo sforzo, vero?" mi canzona lei, per poi scoppiare a ridere.

"Ci vediamo, principessa" le rispondo, sorridendo.

"Ciao, fratellone".

Risaluto di nuovo mia madre ed entrambe mi voltano le spalle. Le guardo dirigersi alla macchina. Ogni tanto Sarah si volta e mi sorride.

Quando entrano in macchina, prendo coraggio e mi volto verso di lei.

È in piedi, vicino alla sedie dov'è stata seduta fino a qualche minuto fa, le mani giunte davanti, all'altezza dei fianchi e un sorriso tremolante.

Santa pace.

Mi avvicino e le prendo le mani, mentre penso in fretta a qualcosa da dire, ma nel mio cervello c'è solo confusione e nebbia, in questo momento.
Beh, grazie tante cervello, come al solito ti sei rilevato inutile.

Ma a parlare per prima è lei. "Better Together di Jack Johnson" dice semplicemente, annuendo appena.

"Cantata dagli Us the Duo" aggiungo, con un sorriso. "So che ti piace di più il loro stile".

"Mi piace anche la versione originale" ammette, stringendosi nelle spalle. "Mi piace in ogni versione, quella canzone" aggiunge, con un sospiro.

Sorrido di tenerezza, passando una mano nei suoi capelli. "Sono contento di aver scelto bene. Ho passato giorni a pensarci, sai?".

Lei ride appena. "È stato bellissimo il tuo discorso... Inutile dire che ho pianto come una bambina".

Rido anche io, scuotendo la testa. "Sei la solita emotiva".

Lei mi guarda, fingendosi offesa. "È colpa tua! Cerchi di fare il romantico e ci riesci, cosa pretendi?!".

Rido più forte, per poi stringermi nelle spalle. "Colpevole".

Poggio la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi e lasciando che la paura che mi porto dietro da questa mattina, si manifesti in tutta sé stessa, facendomi pizzicare gli occhi.

"Quella canzone è davvero ciò che voglio dirti. E voglio che tu la riascolti, ogni volta che pensi di non farcela. Stiamo entrambi per realizzare i nostri sogni. Ma sarebbe molto meglio, se stessimo insieme" mormoro.

La sento trattenere un singhiozzo, mentre si aggrappa con le sue piccole dita alla mia maglia. "D'accordo" borbotta.

Apro gli occhi e incontro i suoi, in lacrime.

Non ho mai provato il bungee jumping. E non voglio provarlo nemmeno in futuro. Ma l'ho visto fare ad altri, in televisione o nei video su internet. Sembra divertente; chi è abbastanza pazzo per farlo si posiziona su una pedana. Molti chiudono gli occhi, mentre il personale gli dice di aprire bene le braccia. Gli dicono di fare un piccolo passo in avanti e poi un altro e un altro ancora, finché non si ritrovano sull'orlo. E poi gli dicono di lasciarsi andare e quelli, come non si sa, si lasciano andare. Cadono. Nel vuoto. L'unica cosa che gli dà sicurezza e che gli permette di non sfracellarsi al suolo, è una corda elastica. Si buttano con essa, nel vuoto.

Chissà com'è, il vuoto. Sicuramente è elettrizzante, talmente tanto che l'adrenalina continuerà a scorrere per ore, prima che ci si riesca a calmare. E sicuramente fa paura, eppure chi lo fa ride. Mentre cade nel vuoto, urla e ride, divertito come non mai.

Perciò mi ritrovo a pensare che anche se fa morire dalla paura, dev'essere una delle cose più belle che una persona possa sperimentare, prima di morire.

In un certo senso, io lo sto facendo.

Staccarmi da Mel, voltarmi e prendere l'aereo è come fare il bungee jumping.
Lei è la pedana.
L'aereo è il vuoto.
La corda elastica è il nostro amore.

Cerco di pensare agli urli divertiti delle persone che si buttano. È divertente, cerco di convincermi. Salgo sulla pedana e mi stacco da Mel e la vedo trattenere un altro singhiozzo.

Le sorrido, perché non posso certo piangere anche io. Le farebbe molto più male vedermi piangere.

"Ti amo" sussurro e so che mi ha sentito.

Lei ride, lasciandosi uscire un rantolo che non capisco, ma intuisco qualcosa come: "Idiota".
Mi guarda, e riesce a sorridere senza far tremare il mento. Non è un sorriso forzato, questa volta, ma un sorriso vero e genuino. "Ti amo anch'io".

Sono sicuro che i miei occhi siano pieni di lacrime, visto che la sua immagine diventa sfocata, così abbasso la testa e li chiudo, scacciandole via.

Sono sulla pedana e sono sull'orlo del vuoto. Devo solo aprire le braccia e lasciarmi andare, lasciarmi cadere. È divertente.

Rialzo lo sguardo verso di lei e non lo distolgo, nemmeno per tirare su il manico della valigia e sistemare meglio l'enorme zaino che ho sulle spalle.

Ho messo l'imbracatura. Sono pronto.

Ci sorridiamo e sembra un attimo eterno, come se il tempo, la vita, intorno a noi si fossero fermati; come se gli orologi avessero smesso di funzionare, le nuvole di cambiare, la Terra di girare. Come se non ci fosse alcuna differenza tra il Sole e la Luna, tra Giorno e Notte, tra Me e Lei. È tutto, completamente, in questo momento.

"Sono fiera di te" mi dice, abbracciandosi. Vorrei baciarla, ora. Il mio intero corpo vuole baciarla. Ma non posso. Sarebbe come incollarsi alla pedana. Non potrei più staccarmi, dopo. Non potrei più incontrare il vuoto, dopo. Sembrerebbe un'idea così stupida e insensata buttarsi, dopo il suo bacio.

Così sfodero uno dei miei migliori sorrisi e annuisco.

Sospiro.
Allargo le braccia.
E salto.
Mi volto.

Spingo la valigia dietro di me e cammino, senza voltarmi, senza fermarmi. Sto cadendo nel vuoto, non posso, non riesco a guardare la pedana.

Ma sì, è elettrizzante.
È adrenalina pura.
È la cosa giusta.

Quando sono consapevole di aver fatto abbastanza strada per non riuscire a vederla bene in faccia, mi giro. La corda è finita e mi ha riportato su, facendomi dondolare.

Lei è ancora lì. Non vedo il suo volto, ma distinguo benissimo la sua figura.

La corda è spessa, sicura e indistruttibile.

Sto cadendo nel vuoto, ma ho la mia corda che non mi lascerà mai andare.

-

There's no combination of wordsNon c'è nessuna combinazione di parole

I could put on the back of a postcard
che potrei mettere sul retro di una cartolina

No song that I could sing
Nessuna canzone che potrei cantare

But I can try for your heart
Ma posso provare per il tuo cuore

Our dreams, and they are made out of real things
I nostri sogni, e sono fatti di cose reali

like a shoebox of photographs
come una scatola di scarpe piena di fotografie

with sepiatone loving
con un adorabile tono seppia

Love is the answer,
L'amore è la risposta,

at least for most of the questions in my heart
almeno per la maggior parte delle domande nel mio cuore

Like: why are we here? and where do we go?
Come: perché siamo qui? e dove andiamo?

And how come its so hard?
E come mai è così difficile?

It's not always easy and
Non è sempre facile e

sometimes life can be deceiving
a volte la vita può essere ingannevole

I'll tell you one thing, it's always better when we're together
Ti dirò una cosa, è sempre meglio quando siamo insieme

It's always better when we're together. 

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I NOSTRI BIMBI. PIANGO TROPPO. I FEELS, I FEELS. 
PERCHE' ABBIAMO SCELTO DI ESSERE COSIì CATTIVE, COLU? T.T

Ehm, non so, sfoghiamo la nostra frustrazione sugli altri...? *Singhiozza e si soffia il naso*

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Per ogni acquisto, un altro capitolo deprimente! (NO, GIURO, NO)

Comunque, SCUSATEMI se è venuto esageratamente lungo, ma dovevo far entrare tutto D: ogni momento è fondamentale per la vita di James, perciò non sapevo proprio come accorciare D: 

Spero che vi sia piaciuto e che non vi sia sembrato noioso!

Ci vediamo il prima possibile! (Forse sparirò, causa sessione autunnale, ma cercherò di non farlo LOL)

Ti prego non me lo ricordare, è peggio del bungee jumping!

Un bacio, 
M&C

P.S: non ho trovato il lyrics della versione degli Us the Duo, purtroppo c'è solo il video che hanno girato loro, e non essendo scritta da loro, non hanno messo il lyrics. Perciò ho deciso di mettere l'originale nei media, tanto sono molto simili! 
Comunque, vi lascio qui il video degli Us the Duo, così potete sentire proprio quella che ha mandato James alla radio! (e poi sono dei patati :3): 

https://youtu.be/ll09F5mVwb8

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