Capitolo 43 -M.
Mi sbrigo a chiudere la porta, assicurandomi di aver girato la chiave, per poi catapultarmi verso il mobiletto sotto il lavandino del bagno e recuperare il phon. Lo attacco alla corrente, mentre le mie mani tremano incontrollabili, e lo accendo, mettendo la potenza al massimo. Lo poggio sul lavandino, lasciando che faccia il più rumore possibile.
Solo in quel momento mi lascio andare sul bordo della vasca da bagno, nascondendo il viso tra le mani. L'asciugamano scivola, rendendomi nuda e senza alcun tipo di copertura. Ma non lo riprendo, non mi importa. Sono sola, con me stessa.
Il senso di solitudine e abbandono che provo in questo momento sono troppo forti perché possa ignorarli. Il cuore pulsa, lanciando delle fitte dolorose che mi fanno mancare il respiro.
Accidenti, fa male.
Lascio che il primo singhiozzo esca dalla mia bocca, sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi. Ne esce un altro e un altro ancora finché non tremo da capo a piedi, scossa da singhiozzi forti e dolorosi. Il rumore del phon sovrasta i miei lamenti, ma comunque cerco di non fare troppo rumore.
Le mie mani, poggiate ancora sugli occhi, sono completamente bagnate, ma non le asciugo. Mi faccio pena, tanto che per un momento provo rabbia e vergogna, ma poi quelle sensazioni mi abbandonano così velocemente da farmi dimenticare di averle avute.
Lo sapevo? Sì, sì che lo sapevo. Lo sapevo da quando, quel giorno sull'autobus, mi disse che amava la fotografia. E da quando mi disse, quel giorno con la neve nella sua macchina, di essere andato a Parigi. Lo sapevo, quando mi ha parlato di quest'ultima come di una città bellissima e luminosa. E distante... mille e quattrocento ventuno chilometri. Lo sapevo, il giorno della sua laurea... Insomma, l'ho sempre saputo.
Eppure, fino a questa mattina, mi sembrava un evento così lontano che ero convinta che non l'avremmo mai raggiunto. Ingenuamente, ho anche pensato che forse aveva abbandonato l'idea, visto che stiamo insieme. Ma è stato proprio un pensiero stupido: io nemmeno lo farei.
Invece eccoci lì. Vedo la fine della nostra relazione come una cosa imminente, adesso. Da lontana anni luce, la immagino accadere tra un minuto. E questo mi mette ansia, frustrazione. Soprattutto mi fa soffrire come mai ho sofferto prima d'ora. Insomma, ho provato un dolore simile quando il mio primo animale domestico, un gattino di nome Oscar-come Oscar Wilde, sì-, è morto, investito da un'auto. Ero una bambina di sei anni e mi ricordo che piansi per giorni.
Ma preferirei rivivere la morte di Oscar, piuttosto che vivere questo. Ok, forse no... Non sono lucida in questo momento. Non potrei... averli entrambi? Oscar e James? Sarebbero una coppia perfetta per la mia felicità.
"Mel?". È la sua voce a risvegliarmi dai miei pensieri depressi. Sobbalzo e mi circondo di nuovo con l'asciugamano. "Tutto bene?".
Mi schiarisco la gola, sperando che esca con un tono normale e non tremolante come quello di una bambina. "Sì!" esclamo, soddisfatta del risultato. "I miei capelli sono lunghi, ci metto un po' ad asciugarli! Tra cinque minuti esco!".
"Sì, grazie... Gradirei utilizzare il bagno, sai!". Anche in queste circostanze, non posso fare a meno di ridere.
"Scusami, mi sbrigo!". E così faccio. Sono rimasta fin troppo tempo a crogiolarmi nel mio dolore e voglio credere di essere forte abbastanza da sapermi rialzare e affrontare la realtà in pieno petto. Afferro il phon e metto la testa in giù, sbrigandomi a scuotere la mia chioma, per far sì che si asciughi prima. Li pettino con una spazzola, ignorando i nodi che rimangono impigliati. Dopo quelli che spero siano solo due minuti, rialzo la testa e mi guardo allo specchio. Ok, un leone ha la criniera meno voluminosa di me. Li spazzolo di nuovo, cercando di appiattirli il più possibile. Mi sciacquo poi la faccia, per togliere questa espressione da cucciolo ferito e mi trucco leggermente, per coprire il rossore degli occhi.
Quando spalanco la porta, soddisfatta del risultato, trovo il mio ancora-per-poco ragazzo di fronte alla porta, con un braccio appoggiato allo stipite. Mi guarda, accigliandosi.
"Ehm..." fa, cercando di non scoppiare a ridere. "Se non vuoi che ti salti addosso, ti conviene vestirti".
Confusa, guardo il mio corpo e mi irrigidisco, inorridita. L'asciugamano non c'è più. Come DIAVOLO fa a non esserci più?! Ero sicura di averlo addosso! Sorrido, timida, al ragazzo di fronte a me e richiudo la porta con una mano, mentre con l'altro braccio copro -inutilmente visto che li ha già visti- i miei seni. Recupero un paio di mutande e e una sua maglietta fortunatamente abbandonata lì per terra e riapro la porta.
"Il bagno è tutto tuo!" annuncio, guardandolo per un attimo e arrossendo sotto il suo sguardo. "Non guardarmi così, pervertito!".
Lui scoppia a ridere in una risata fragorosa, che mi scalda il cuore. Mi butto sul letto e accendo la tv, ancora con le guance in fiamme. Lui scompare dietro la porta del bagno e io sospiro. Mi prendo un attimo per sorprendermi del mio imbarazzo. Mi ha vista nuda più volte, eppure mi sono imbarazzata come una cretina.
Ma è diverso, ora. È per forza diverso. Ogni cosa che facciamo, potrebbe essere l'ultima insieme. Le risate, gli scherzi, e gli sguardi equivoci... Sono tutte cose che presto spariranno. Mi concentro sul canale di cucina, cercando di seguire la ricetta, ma non riesco a sentire le voci, nonostante il volume alto. Nelle mie orecchie riecheggia un solo pensiero.
Spariranno.
-
"Mel? Stai bene?".
"James, sarà la sesta volta che me lo chiedi, e non siamo ancora arrivati al metal detector" gli ricordo, con un profondo respiro di sopportazione.
"Sì, ma tu non mi hai mai risposto" mi fa notare lui, incrociando le braccia al petto. Mi guarda, dall'alto della sua statura, con un sopracciglio alzato, pronto a vedermi cedere. Cosa che non succederà, ovviamente.
Nonostante questo però, non riesco a reggere il suo sguardo più di una diecina di secondi, considerando l'effetto che hanno i suoi occhi su di me. Quindi riporto i miei alle persone davanti, che stanno pazientemente aspettando di passare sotto il radar se-hai-la-droga-non-scappi.
"Non ti ho risposto perché sono ancora mezza addormentata. Non so qual è il mio umore di prima mattina". Inventa una scusa migliore la prossima volta, Mel.
"Mmh-hmm". Lo sento sospirare, e spero dentro di me che lasci perdere. Così fa, e mi tranquillizzo, spostando la valigia, le scarpe (maledette loro e il cinturino in ferro) e i vari braccialetti dentro una cesta. Il pavimento freddo -e sporco, ma cerco di non pensarci- dell'areoporto a contatto con i miei piedi mi fa rabbrividire. Avanzo, trascinando la cesta sui rulli, sentendo lo sguardo di James trapassarmi il cranio. Quando passo sotto l'arco del metal detector, senza alcun problema, mi sembra di essere controllata da più di un radar. Mi sbrigo a recuperare le mie scarpe.
Aspetto James, e quando entrambi recuperiamo la nostra roba, ci dirigiamo al check-in dove lasciamo entrambe le nostre valige. Dopodiché, in un silenzio da commemorazione funebre, ci mettiamo seduti ad aspettare nell'ampia sala d'attesa, di fronte ad un enorme tabellone con gli arrivi e le partenze degli aerei.
Lo fisso, leggendo le informazioni su tutti gli aerei che ci sono, cercando di concentrarmi in quello, per occupare i pensieri.
"Non morderti così tanto il labbro" sospira. "Finirai per farti uscire il sangue".
Non mi ero nemmeno accorta di aver intrappolato il mio labbro inferiore tra i denti, così lo libero velocemente. Mi abbraccio, con un sospiro, e continuo a guardare il tabellone.
Vedo con la coda dell'occhio, James poggiare i gomiti sulle ginocchia, e passarsi le mani nei capelli. Tiene il capo chino, le dita incrociate dietro il collo.
È visibilmente frustrato. Questo mi fa male al cuore, ma non riesco ad allungare la mano e consolarlo, sono troppo impegnata a tenergli il broncio. Puramente infantile, lo so, eppure ora come ora mi sembra un'ottima tattica. Sembra che con questa scusa il mio respiro riesca ad essere regolare, senza farmi andare in iperventilazione.
Alza il capo e si volta verso di me, e lo guardo anch'io. "Perché non mi dici cos'hai?".
Roteo gli occhi, sbuffando. Comincio veramente a stufarmi di queste sue domande. "Non ho niente, James!".
"Non mentirmi".
"Oh, santo cielo!" sbotto, facendo voltare una bambina nei posti a sedere davanti a noi. "Non possiamo aspettare questo maledetto aereo in pace?".
Lui mi guarda e valuta la situazione prima di rispondere. "Ci ho provato, ma mi ignori".
Sospiro, guardandomi le mani. Non ha tutti i torti. È difficile anche per lui, dopotutto. "Vado un attimo in bagno" decido, alzandomi. Lui mi segue con lo sguardo, alzando il capo. "Così forse mi sveglio".
Lui alza gli occhi al cielo, di fronte a quella bugia. Sappiamo entrambi che non vado in bagno per svegliarmi. Gli do le spalle e dopo aver vagato qualche minuto alla ricerca delle toilet, le trovo ed entro in quella delle donne. Incontro il mio riflesso allo specchio e sospiro, per la millesima volta in solo poche ore. Mi lavo le mani, trovando piacere nella freschezza dell'acqua.
Poi da uno dei bagni dietro di me, esce una bellissima ragazza bionda, alta, occhi azzurri... Grazie, sconosciuta, per abbassare ulteriormente la mia autostima. Si sposta i capelli dietro la spalla, e si avvicina ai lavandini, prendendo una dose di sapone. Dio, come può una creatura essere perfetta anche in quei semplici movimenti?!
"Pardon-moi" mi dice, in francese. "Est-ce-que tu me peut dire où se trouve un bar, ici?".
Che casualità! FRANCESE. Comincio ad odiare la Francia. "Oui" rispondo, rispolverando le mie conoscenze scolastiche. "Je croit que il y a un bar ici, autour de coin".
Mi sorride, annuendo. "Merci beaucoup" mi ringrazia, asciugandosi le mani, con la delicatezza di una farfalla. "Bon voyage" mi dice, prima di uscire.
"A toi aussi" mormoro, ma non penso mi abbia sentita. Poi, improvvisamente, panico. Il cuore accelera il suo battito e sussulto. Mi catapulto fuori dal bagno, e corro per tornare da James.
Vedo la sua chioma bionda dondolare proprio vicino a lui, e prego Dio che lui non la veda. Arrivo da lui, e non faccio in tempo a ridere per la sua espressione confusa, che mi siedo senza troppi complimenti sulle sue gambe. La francese bionda passa davanti a noi e, riconoscendomi, mi saluta con un sorriso. Ricambio, forzatamente.
Aspetto che se ne sia andata per sedermi di nuovo al mio posto. James mi guarda, più confuso di prima. "Cosa è appena successo?".
Mi stringo nelle spalle, cercando di placare il mio fiatone. Cerco di trovare una risposta coerente, ma evidentemente oggi non mi riesce proprio.
"Sei inutilmente gelosa, lo sai?". Mi volto di colpo verso di lui. Ha il gomito poggiato sullo schienale del sedile, con la mano che regge la sua guancia, e mi sorride. Perché deve essere così maledettamente bello?!
"Non sono gelosa" riesco a dire, travolta dalle mie emozioni. Lui non risponde e continua a fissarmi. Mi tormento le mani, sentendomi inspiegabilmente nervosa. Così nervosa da sospirare più volte. Eh, sì. È gelosia, dannazione. "È che saranno tutte così, lì!".
Lo dico prima di riuscire a rendermene conto. Perché l'ho detto? Lui si sistema meglio sul sedile, squadrandomi. "È questo che ti preoccupa?".
No, certo che no. Voglio dire, in questo momento sì, ma sono più preoccupata per la nostra imminente separazione che per quello. Ma forse, se glielo lascio credere, smetterà di tormentarmi. "Sì!" esclamo. "Voglio dire, saranno tutte bionde, alte, atletiche, belle e... e...", in che altro modo si possono descrivere?
"Non mi piacciono né bionde, né alte, né atletiche e la bellezza è soggettiva" risponde subito.
"Sono sicura che la penserai diversamente una volta là" borbotto, incrociando le braccia al petto come una bambina.
Sento il suo braccio circondarmi le spalle; mi trascina verso di lui senza alcun tipo di sforzo e mi abbraccia. Chiudo gli occhi, scordandomi del mondo attorno a me. Quello è il mio habitat naturale, è inutile credere il contrario. Sento le sue labbra incontrare la mia fronte. Poggia poi il suo mento sulla mia testa. Mi faccio ancora più piccola contro di lui. Sparirà anche questo, perciò meglio sfruttare l'occasione.
"Non hai proprio la più pallida idea di quello che provo per te".
Sussulto a quelle parole, e sento delle lacrime minacciare di uscire dagli angoli dei miei occhi, ma cerco di cacciarle indietro. Non. devo. piangere.
Mi stringe di più a sé e, senza dire niente, restiamo così fino a quando non comunicano che il nostro aereo è pronto a partire.
A bordo, il viaggio è tranquillo: entrambi dormiamo come sassi. Una volta atterrati, recuperate le valige, e usciti dall'aereoporto, cerchiamo la macchina per tornare a casa.
In quell'ennesimo tragitto, fortunatamente James ha la brillante idea di accendere la radio. La musica, come sempre, solleva apparentemente il mio umore facendomi cantare a squarciagola e dimenare a tempo di musica. Ovviamente anche lui si unisce a me, creando un meraviglioso momento da aggiungere ai miei ricordi.
Quando però parcheggia davanti casa mia, temo il peggio. Spegne la macchina e mi guarda per un secondo. Ha spento la macchina, cattivo segno.
"Non ci credo che la tua reazione a tutto questo è un po' di compassione e gelosia verso una straniera. So che c'è di più, Mel".
Non rispondo, guardando la strada davanti a me.
"Devi parlarmi. Ti prego. Non puoi tenermi nascosti i tuoi sentimenti al riguardo, ho il diritto di sapere cosa ne pensi al riguardo".
Ho sentito bene? Il diritto?! "Il diritto?" dico, dando voce ai miei pensieri. "James, se ora come ora voglio tenere i miei sentimenti per me, qual è il problema? Tu non puoi costringermi a parlarne se non voglio, ok? È una mia decisione e te ne parlerò quando mi sentirò pronta" dico, risoluta.
Lui mi fissa, con gli occhi che sprizzano di collera, ma poi si calma, con un rumoroso respiro. "D'accordo. Ci sentiamo, allora".
Ci sentiamo? Non me lo dice da quando, timidamente, ci eravamo appena conosciuti. Scende dalla macchina, lasciandomi interdetta, mentre il mio cuore sprofonda sempre più giù.
Scendo anche io. Lo raggiungo davanti il bagagliaio dell'auto. Tira fuori la mia valigia e me la porge, senza guardarmi. Tiro su il manico e la trascino fino al cancello di casa. Mi volto e ci rimango male quando mi accorgo che non mi ha seguita. È risalito, invece, in macchina. Fa inversione a U e si ferma davanti a me. Mi guarda con un sospiro. "Chiama, quando ne vuoi parlare, ok?".
Annuisco, con un nodo in gola.
"Promettimi che mi chiamerai, Mel" aggiunge, inclinando il capo.
"Promesso" rispondo, con una vocina più piccola di quanto mi aspettassi.
Deglutisce e sposta lo sguardo sulla strada per poi ripartire. Lo guardo andare via, sentendo le lacrime imminenti, ormai. Le ho trattenute per troppo. Ma non voglio piangere in mezzo alla strada. Mi sbrigo a recuperare le chiavi nella mia borsa, e ad aprire il cancello. Mi catapulto verso la porta e apro anche quella. La chiudo, poggiandomici.
"Leprottina!" esclama la voce di mia madre dal salotto. "Sei tornata, tesoro mio! Non vedevo l'ora. Mi sei mancata così tanto". La vedo venire verso di me, già con le braccia spalancate, e io non mi faccio sfuggire quell'invito. La stringo forte a me, permettendomi di piangere.
Mamma, penso. Incredibile quanto il suo abbraccio possa inspiegabilmente fare bene al mio cuore.
"Amore, cos'è successo?!" mi chiede, accarezzandomi la schiena.
Non rispondo, ma restiamo così per un po'. Non ho intenzione di scollarmi da lei. Sembra essere l'unica, in quel momento, capace di non farmi cadere.
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YEY nuovo capitolo subitissimo :D
CWColumbine726 ha pianto mentre lo leggeva, povera :( POVERA UN CORNO, SEI TU CHE DECIDI IL LORO DESTINO, VERGOGNATI. Scherzo LOL. Anche se continuo a pensare che un giorno prenderanno vita e verranno a minacciarci la famiglia...
COMUNQUE, spero non troppe lacrime, anche perché da qui sarà sempre peggio, preparatevi! Vi siete già fatti abbastanza risate nei primi capitoli, ammettetelo u.u Ora è il momento dei feels, quelli tristi.
Detto questo, spero veramente che il capitolo vi sia piaciuto :3
Con affetto,
Mars.
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