Capitolo 14. -J

Tra cinque ore attererò a Parigi.
Penso che comincerò a fotografare appena sceso dall'aereo.
Mi sento così vivo ed energico da poter esplodere. 

Chiudo la valigia dopo averla pesata e scendo le scale, dove mia madre mi aspetta, stranamente sorridente. "Sei felice?" mi chiede, appoggiata alla porta della cucina.

"Come non mai!" esclamo, e il suo sorriso si allarga.

"Sono contenta che tu colga questa opportunità". Poi si fa più seria. "Ma va' a salutare Sarah. Non è molto contenta". 

Annuisco, preoccupato. Risalgo le scale due a due e busso piano alla porta di mia sorella. Non mi risponde.
"Sarah?" la chiamo gentilmente, intrufolando la testa dentro. Lei sta di spalle e guarda fuori la finestra.
Entro e mi avvicino piano a lei. 

Poi si volta e mi guarda con odio. "Vai via! Non ti voglio più vedere!".

"Oh, Sarah...". Provo ad abbracciarla ma lei scalcia senza tregua, colpendomi lo stomaco. "Ahia", mi lamento. 

"Ben ti sta!" urla, prendendo un cuscino e tirandomelo con violenza. "Così ti impari a lasciarmi da sola! Sei il peggior fratello sulla Terra, neanche gli alieni ti vorrebbero perché sanno benissimo che sei un fratello bruttissimo!" aggiunge, con tutto il fiato possibile, senza smettere di colpirmi.

"Ok, ok, sono il peggior fratello del mondo, adesso basta però!" esclamo, fermandola e buttando il cuscino lontano dalla sua portata. "Ascoltami, adesso".

Lei mi da le spalle. "No!".

Impreco in silenzio, massaggiandomi gli occhi, in cerca delle parole giuste. "Sarah, non starò via per molto, ascoltami!".

"NO! Non ti voglio sentire, ti odio!" strilla, lanciandomi addosso un pupazzo. 

Lo prendo al volo per poi fare una faccia sconvolta. "Mi hai tirato Gigi? Ma Gigi non si tira, si fa male se no".

Si gira per un attimo, solo per rivolgermi un'occhiataccia. "Si fa male volentieri se deve fare male a te!".

"Ah sì? Allora me lo porto via." 

"No!"

Dopo altri cinque minuti di litigata riesco a calmarla e spiegarle la situazione. Lei ci rimane un po' male ma alla promessa che le porterò un regalo bellissimo sta buona e mi fa un sorriso timido. 

Finalmente riesco ad uscire di casa per dirigermi all'aereoporto. Aspetto con calma di prendere il biglietto, passare sotto il metal detector, fare il check-in per poi salire finalmente in aereo.
Mi metto vicino al finestrino così da poter scattare le prime foto, vicino ad altri miei due compagni d'accademia. Il viaggio passa tranquillo, in due ore non sono riuscito a dormire nemmeno per un minuto, tanta era l'agitazione.
Una volta atterrati mi sbrigo a prendere la valigia, con la mia Nikon al collo e dirigermi verso l'uscita. Fuori dall'aereoporto ci sono due autobus pronti a portarci all'Accademia di Parigi. Altre due ore di viaggio... a quanto pare l'aereoporto non è proprio vicinissimo, anzi per niente, a Parigi. Con la musica nelle orecchie, riesco a chiudere gli occhi per una mezz'ora. 

"Ehi, amico!" mi sveglia Cameron, praticamente il mio confidente all'Accademia. Sa persino dell'accaduto allo studio fotografico. "Siamo a Parigi". 

I miei occhi si spalancano e guardo subito verso il finestrino. La luce è la prima cosa che noto: è diversa, risplende di più, e filtrata tra gli alberi è fantastica. Sorrido quando passiamo sotto un ponte su cui passa la metropolitana. I palazzi sono bianchi e splendenti. Non avevo mai visto una città così luminosa. 

"È bellissima" mormoro. 

Arrivati a destinazione, non la smetto di guardare in alto. Poi Cameron mi spinge, per portarmi all'interno dell'edificio: l'Accademia. Sembra di entrare in un museo, dato lo stile ottocentesco. Nonostante questo è pieno di giovani, e di ragazze. Mi sorprendo a vederne così tante e così belle. 

Ci portano in una sala riunioni e ci dicono che saremo abbinati con un altro studente del posto che ci spiegherà il funzionamento delle giornate e mostrato Parigi.
Inutile dire che l'ultima parte mi attrae di più. L'unico problema è la lingua. Sì, perché di francese non so un fico secco. Mi sale per un po' il panico e poi vedo una ragazza con i capelli mossi e biondi che le ricadono sulle spalle e due smeraldi al posto degli occhi. 

"Ciao" mi saluta, in inglese. "Siamo in coppia per il resto della settimana" continua con un adorabile accento francese.

"Ciao" le rispondo io, mentre le stringo la mano. "Sono James". 

"Genevieve" si presenta, strascicando le ultime lettere e facendomi immediatamente amare il francese. "Vieni, ti mostro l'orario delle lezioni".

Annuisco, senza smettere di sorridere.
Eh, sì. Parigi è veramente magica.
I suoi capelli ondeggiano di fronte a me e mi ipnotizzano. Poi si ferma di colpo e per poco non le pesto un piede. Mi ritrovo faccia a faccia con lei e il mio cuore fa un tuffo. Riesco a vedere benissimo i suoi occhi chiari, adesso. Verdi come non li avevo mai visti. Mi sta facendo provare troppe emozioni e non le ho mai provate per nessuna prima, non così forti. In un attimo la mia testa e il mio cuore vengono riempiti da pensieri e sentimenti speranzosi: forse non sono come mio padre, forse posso riuscire ad affezionarmi ad un ragazza, forse riesco ad innamorarmi. Lo so che sto correndo troppo, nemmeno la conosco, ma nessuna prima mi ha fatto sentire così.

"Ecco" comincia, passandomi un foglio da una pila poggiata su una scrivania. "Queste sono le lezioni di tutta la settimana. Ma sono più semplici rispetto a quelle che fate di solito, quindi non preoccuparti".

Annuisco, sorridendole. "Grazie, sei molto gentile. Anche tu parteciperai a queste lezioni?".

Annuisce anche lei, con mia grande gioia. "Lo scopo è quello di unire due tipologie di studio diverse".

"Grande!" Di solito sono uno con cui si può fare conversazione, ma adesso riesco solo a comportarmi come un perfetto idiota. 

"Sì. Vieni, è ora di uscire da questo posto". Con mia grande sorpresa, mi prende per mano e mi guida fuori. "Allora, dove vuoi andare? Torre Eiffel o Louvre?".

"Scegli tu. Sorprendimi". 
Cosa diavolo sto dicendo?!

Ride appena, mentre usciamo dall'edificio. "Perfetto allora. Il Louvre, prima. La torre di notte è spettacolare". 

Prendiamo metro su metro su metro... Non avrei mai immaginato che Parigi avesse quattordici linee metro. Guardo sulla cartina, cercando di capire le indicazioni di Genevieve, ma vedo solo un sacco di linee colorate intrecciate tra di loro, senza capirci assolutamente nulla. Finalmente scendiamo e ci avviamo nel giardino delle Tuileries, ricoperto di ciottoli bianchi che scricchiolano sotto le scarpe. 

"Ci sarà un po' di fila da fare, ma ne vale la pena" mi spiega, incrociando le mani dietro la schiena. 

"Mi sono sempre chiesto da dove si entri" le chiedo, scattando foto qua e là.

Lei ride. "Dalla piramide, ovvio".
Certo. Bravo idiota.

La fila dura circa un'ora, ma Genevieve mi informa che è fin troppo poco. Per il Notre-Dame ce ne vogliono minimo due. In un'ora di tempo imparo a conoscere Genevieve. Mi racconta un po' di lei e io anche, infine, decido di raccontarle qualcosa sulla mia vita. Lei vive da sola con suo fratello più grande e studia fotografia da tre anni, come me. In futuro vuole fotografare paesaggi, come me. E ama Parigi, come me. Non è forse la donna della mia vita? 

Quando entriamo, passiamo sotto un metal detector e la prima cosa che sento è l'afa incredibile che è racchiusa in quel posto. Dopodiché scendiamo da delle scale mobili e ci ritroviamo nell'atrio, enorme e pieno di gente. Il museo è diviso in sezioni di periodi storici. Decide di mostrarmi il Rinascimento e il Romanticismo che, a suo parere, sono i più belli.
E diamine, com'è vero.
La cara Gioconda la vedo solo da lontano, per quanta gente c'è. È più piccola di quello che mi aspettavo e molto meno interessante rispetto al quadro che le sta di fronte. Voglio dire, bravo Leonardo, ma l'altro quadro è immenso: occupa una parete intera e purtroppo sono uno dei pochi che gli presta attenzione.

"È di Paolo Caliari. Il quadro si chiama 'Le nozze di Cana'. Sono contenta che tu l'abbia notato. La Mona Lisa è bellissima, ma anche questo è un quadro da apprezzare. Non è giusto che lo abbiano messo qui, non gli hanno dato la giusta importanza". Guardo Genevieve, incantato da quelle parole. È esattamente quello che penso io.

Dopo tre ore ci spostiamo di lì e pranziamo. Poi cominciamo a muoverci lentamente per i negozi, compro qualche souvenir e ci dirigiamo alla Torre Eiffel.

 "Spero di non soffrire di vertigini" confesso, con una leggera ansia nello stomaco.

"Spero che tu sia abbastanza allenato, visto che prenderemo le scale" replica lei, con tranquillità.

Cosa? La guardo, confuso. "Le scale? Scusa, non ci sono gli ascensori?".

Mi regala un sorriso furbo. "Sì, ma con tutta la gente che ci sarà facciamo prima a prendere le scale. Fidati, io vivo qui". 

Mi acciglio, scuotendo la testa. "Già, beata te" sussurro tra me e me, facendo in modo che lei non mi senta. 

Prendiamo di nuovo la metro. Scendiamo e non appena salgo le scale, la vedo, in lontananza. Il mio cuore batte forte e per poco non piango. Non ne so il motivo, non è poi chissà cosa; è una torre di ferro, nulla di più. Ma è la Francia, è Parigi, ed è bellissima. Decido di fotografare quel momento, per non scordarmelo mai più.

"Selfie?" mi chiede lei, prendendo la mia macchinetta dalle mani. Volta l'obbiettivo verso di noi e scatta. Ci facciamo delle foto singole a vicenda e poi scendiamo le gratinate che portano agli Champs de Mars. Man mano che ci avviciniamo alla Torre il mio collo si inclina sempre di più all'indietro e i miei occhi non smettono di ammirarla. 

"Ti stai innamorando di Parigi". Genevieve mi sveglia dall'incanto e la guardo, sorridendo. 

"Tu mi stai aiutando a farlo". Si è avvicinata, o i suoi occhi mi sembrano improvvisamente più grandi?

Lei ride, tirando la testa indietro. "Io? Ti sto solo portando a spasso, per il resto Parigi fa tutto da sola".

Certo, come se non fossi costantemente ipnotizzato dai suoi occhi. "Sì, ma... il tuo accento, il tuo modo di fare e di mostrarmi il tuo mondo... C'è differenza. Se fossi venuto da solo, questa città non mi avrebbe fatto lo stesso effetto".

"Esagerato" commenta, ridendo in modo adorabile. 

Io la seguo. "No, no, dico sul serio". 

Arriviamo sotto la Torre Eiffel e la fila dura meno del Louvre. Mi faccio coraggio quando guardo le infinite rampe di scale che portano ai diversi livelli della torre. 

"Pronto?" mi chiede lei, raggiante.

"Sono nato pronto".
Sicuramente me la farò sotto dalla paura. 

Prima rampa, seconda rampa, terza rampa... quarta rampa già non va bene. Troppo in alto. Continuiamo a salire fino a che finalmente non raggiungiamo il primo piano. 

"Vieni" mi invita, con un gesto del capo. Come fa a non avere il fiatone?
Mi prende per mano e mi porta al centro del piano. Orrore: intorno ad una ringhiera ci sono degli spicchi di pavimento fatti di vetro. Lei ci saltella sopra come se nulla fosse.

Di fronte alla mia fifa, scoppia a ridere. "Forza, vieni qui! È bellissimo". 

"No, mi dispiace, non ce la faccio". Ed è vero. Da cinque anni ormai che non salgo così in alto, perché conosco la mia paura, insuperabile. Poi Genevieve mi tira per un braccio, portandomi dove si trova lei, e io stringo forte le sue braccia, involontariamente, come per sorreggermi con qualcosa. Le persone che camminano sotto ai miei piedi a quelli che sembrano sessanta metri di altezza mi sembrano formiche e io sento le gambe molli.

"Guarda me" mi suggerisce Genevieve, prendendomi il mento e spostandolo verso di lei. La guardo negli occhi e la paura scompare. "Non pensare che sia di vetro. Pensa invece che tu stia volando e che possa vedere il mondo con occhi diversi, fotografare da prospettive che non hai mai usato. Pensa che sia un bellissimo sogno e che nessuno ti possa svegliare".

Il mio respiro si rilassa e pendo letteralmente dalle sue labbra. "Grazie" sussurro. "Mi sento meglio".
Lei mi sorride e il mio cuore fa una capriola, come sempre da quando l'ho incontrata stamattina. 

Saliamo poi fino all'ultimo piano, che è davvero spettacolare, anche se molto stretto. Un omino in un piccolo cubicolo distribuisce champagne. Mi guardo intorno senza trovare Genevieve, ma poi la vedo comparire tra la folla con due bicchieri di champagne. 

Sorrido. "Non dovevi, chissà quanto costa".

Lei si stringe nelle spalle. "Ah, sta zitto. Hai detto tu che è anche merito mio se ti stai innamorando di Parigi, no?". 

"Verissimo". E anche di te. 

Scendiamo e torniamo in Accademia. Incontro di nuovo Cameron e ci scambiamo i racconti dell'esperienza vissuta. Poi vedo Genevieve correre incontro ad un ragazzo, abbracciarlo e ... baciarlo. Perfetto. La mia fortuna mi lascia da solo, di nuovo. Guardo in basso, con il cuore che pulsa dolorosamente. 

Che mi sono messo in testa? Ho pensato davvero che una ragazza come lei non fosse già occupata? E poi, di riuscire ad innamorarmi di qualcuno che vive a mille, se non di più, chilometri da me? Scuoto la testa, lasciando che Cameron mi guidi verso l'albergo.
Forse sono capace di innamorarmi, ma non di far innamorare.

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Sono tornata, yey!
Comunque, spero abbiate notato che i giardini che precedono la Torre Eiffel si chiamino Champs de MARS *ammiccamento tattico*. 
(E si chiamano veramente così!)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e per favore non odiate Genevieve LOL (forse solo un pochino XD)
A presto, 
Mars.

P.S: questo è il quadro che si trova di fronte alla Gioconda e che ha affascinato James e Genevieve (è 6,77 m x 9,9 m, quindi è abnorme LOL) : 


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