9. Lisa - Igor
Mi sveglio di soprassalto, col cuore che mi martella in petto e il fiatone. Per un attimo mi guardo attorno smarrita, chiedendomi dove diamine mi trovi. La stanza è illuminata dai raggi del sole e una brezza leggera fa ondeggiare le tende di finissimo cotone bianco, rinfrescando la mia pelle sudata ad ogni sua carezza. Conosco queste tende... ma certo! Sono in camera mia, che stupida.
Cerco di mettermi seduta, ho il corpo e la schiena indolenziti e mi sento stordita come se avessi preso una bella sbronza, cosa alquanto improbabile visto la mia riluttanza all'alcool.
Poi, i ricordi della notte precedente riaffiorano nella mia mente. Esploro la stanza con gli occhi in cerca di una conferma, l'adrenalina a mille. La vedo. La giacca di Alex è lì, appesa all'attaccapanni. Mi irrigidisco come un pezzo di marmo, mentre la mia mente sembra rivivere scioccata scene di un film a cui mai avrei voluto partecipare.
Miki è al mio fianco, seduta su una sedia con gli occhi tesi e il viso tirato. "Come ti senti?", mi chiede con voce roca.
"A parte la testa? Non lo so", confesso confusa, passandomi una mano sulla fronte e seguendo con lo sguardo Miki che si allontana.
Prendo il mio specchietto dal cassetto del comodino e dopo aver scostato una ciocca di capelli, faccio una smorfia. "Oh, Dio!", sussurro osservando il mio viso riflesso. "Allora è successo veramente..." Pallida come un fantasma, ho le occhiaie scure e un orribile livido bluastro sulla tempia. Sposto lo sguardo sulle mani ed altri lividi deturpano le mie braccia. Il fiato inizia ad uscirmi dal naso con un suono forte quando vedo quei brutti segni scuri, i segni che Ivan mi aveva inflitto.
La voce di Miki interrompe le mie desolanti riflessioni. "Coraggio, prendi queste", mi esorta tornando in camera e porgendomi un paio di pastiglie e un bicchiere d'acqua.
"Grazie", mormoro con gratitudine e, con un sospiro di sollievo, prendo gli analgesici ed ingoio due compresse. Il semplice atto di alzare la testa mi provoca un gemito. "Lui dov'è adesso?", sibilo stringendomi nel mio pigiama di raso blu, quasi avessi paura della sua risposta.
"Parli di Ivan? Non lo so, ieri sera Brad l'ha portato via, ma non l'ho ancora sentito. Lisa...", abbassa la testa colma di disprezzo verso se stessa. "Mi dispiace davvero tanto, è tutta colpa mia, mai avrei immaginato..."
"No, ti sbagli", le sussurro con tono incrinato.
"Sì, invece!", sbotta lei tornando a sedere e appoggiandosi alla spalliera della sedia. "Se non avessi insistito tanto, tu a quest'ora non saresti in questo stato!"
Trasalisco non appena sento la rabbia nella sua voce. "Miki...", continuo reprimendo un singulto. "Tu non devi scusarti, non hai colpe. Semmai sono io ad aver peccato. Non dovevo allontanarmi, non dovevo nemmeno venirci a questa stupida festa. Ho abbassato la guardia ed è stato solo un errore mio, non tuo. Forse ho fatto credere qualcosa perché Ivan fraintendesse. Mio padre alla fine aveva ragione: sono io che istigo, è colpa mia se loro si comportano così con me."
"Non lo devi nemmeno pensare", mi rimprovera lei. "Non puoi sentirti responsabile, tu non hai fatto niente di male. Non hai praticamente rivolto parola ad Ivan, non poteva equivocare."
Il labbro inferiore inizia a tremarmi, le lacrime mi riempiono gli occhi in maniera così impetuosa da rendermi incapace di trattenerle e, sinceramente, non voglio nemmeno provarci. Le lascio scorrere inesorabili. Anche Miki si unisce al mio dolore, come se la sua sofferenza potesse alleviare in qualche modo la mia.
Prendo la testa fra le mani, la spremo nel tentativo di cancellarne i pensieri e con tutto il coraggio che mi resta proseguo con voce singhiozzante: "credo tu abbia ragione sai? È arrivato il momento per me di fare i bagagli."
Le mie parole colpiscono duramente la mia amica che si alza dalla sedia di scatto facendola cadere. "Cosa hai detto?", la sua voce sprigiona tutto lo shock che ha sul volto. "Non puoi parlare sul serio, Lisa. Dimmi che stai scherzando!"
Avverto la sua apprensione, ma non mi volto a guardarla. Chiudo invece gli occhi e serro le mascelle. Riesco ancora a sentire il suo odore su di me e il solo pensiero mi fa rabbrividire. "Sapevi che prima o poi me ne sarei andata. L'hai detto pure tu, ricordi?", le domando portandomi le ginocchia al petto. "Non so se era Ivan che mi spiava quella mattina, ma se non fosse è ancora peggio, significherebbe che anche Igor è qui. Non posso correre questo rischio."
"Sbagli", esordisce in fretta. Forse anche troppo. "Ora tu parli così perché sei stata violata, e lo posso capire. Forse anch'io reagirei come te se fossi stata al tuo posto. Ma con la paura non vai da nessuna parte, devi agire e devi lottare Lisa. Se Igor è qui devi chiudere i conti con lui e farla pagare ad Ivan! Prendi tu le redini per una volta! Nessuna persona merita questo; a maggior ragione tu che sei la persona più timida e riservata che conosca", conclude appoggiando le sue mani sulle mie fragili spalle. I suoi occhi sbarrati implorano di essere ascoltata.
Scuoto la testa. Perché non vuole capire che io non voglio lottare. Voglio solo dimenticare tutto!
"Non ti rendi conto di quanto doloroso possa essere per me se rimango qui?", replico in un involontario sussurro. "Non sai che vuol dire cadere in mille pezzi e non riuscire a raccogliersi, Miki! Cercare la propria strada e vedere solo muri. Non sai che vuol dire sentire la gente parlare e credere che quella voce che ti arriva all'orecchio sia sua. Non fidarsi di nessuno, vivere col pensiero costante di aver qualcuno alle tue spalle pronto a farti male. Esiste una soglia di dolore dalla quale non si torna indietro; i sentimenti si sgretolano e non c'è più nulla da provare se non paura."
Le parole che continuavano a fluirmi nella testa, escono come un fiume in piena, incredibilmente reali ed allo stesso tempo estremamente fuori posto. Come se per troppo tempo non fossi riuscita ad esprimere nulla di reale ed ora, tutto, vuole uscirmi con forza dal petto. E se anche non ci fosse alcun bisogno di parole, e tutto fosse già chiaro e limpido, sento comunque la necessità di urlare ogni singola parola. Come se, prima della consapevolezza di tutto questo non ci fosse stato nulla, nessuna vita, nessuna me, nessuna esistenza che abbia alcun valore tranne l'istante stesso, la realizzazione e la paura di non essere in grado di trovare il giusto senso.
"Perché non vuoi denunc..."
La blocco subito con un gesto della mano: so dove vuol arrivare. "Te l'ho già spiegato."
Miki mi fissa negli occhi, come se volesse leggermi dentro mentre valuta la risposta. "Ok", replica alla fine in tono leggero. "Promettimi che almeno ci penserai e non scapperai subito. Per me, fallo almeno per me, ti prego!"
Rifletto per un istante. "Promesso."
"Bene", approva abbozzando un piccolo sorriso. Poi, un secondo dopo, le si dipinge sul viso la classica espressione da lampo di genio. "Sai che facciamo? Partiamo per un viaggetto di puro e salutare shopping! Solo noi due. Perché non ci ho pensato prima", e si puntella la testa con la mano. "È questo che ti serve per risollevare il morale, devi solo cambiare aria e distrarti un po'. Fidati, lo shopping è la cura migliore e lo sarà anche per il tuo guardaroba: sinceramente è parecchio in sofferenza", conclude fingendo un'aria afflitta.
In effetti il mio armadio avrebbe bisogno di una revisione. L'unica volta che ho comprato qualcosa da vestire era quando avevo guadagnato la mia prima paga da Giò. La maggior parte dei miei vestiti sono capi sportivi, adatti per correre, ad eccezione per quelli da lavoro. Ammetto che pure io me ne vergogno un po'.
Annuisco, sollevata che i nostri dialoghi si siano finalmente alleggeriti.
"Allora è deciso", esclama euforica. La sua tristezza sembra un ricordo lontano e la sua allegria è contagiosa. "Si parte, vado a fare la valigie."
Per la prima volta da quando ho aperto gli occhi riesco a fare un profondo respiro; vorrei piangere e star male tutto il giorno, ma ha ragione lei, non servirebbe a nulla. E poi, ho davvero bisogno della compagnia della mia migliore amica, altrimenti la mia mente non mi darebbe tregua.
Mentre mi accingo a raggiungere il bagno sfioro delicatamente la giacca di Alex. Mi guardo il palmo, il ricordo della sua penna a contatto con la mia mano, mi provoca un tuffo al cuore ma, noto con delusione, un numero ormai illeggibile. Solo lui è riuscito a farmi sentire al sicuro; ed ora se n'è andato. Comunque, è inutile farsi illusioni. Lui appartiene già ad un'altra e io non sarò mai in grado di amare anche se lo volessi: avevo fatto una promessa a mia madre in punto di morte, sarei stata lontana dagli uomini e voglio mantenerla per quanto il mio cuore abbia progetti diversi.
***
Igor
Mi fumo quella che credo sia la decima sigaretta. I miei nervi sono tesi come corde di violino.
Le sto tenendo d'occhio da non so quante ore, ancora non so cosa abbiano intenzione di fare. Dalle valigie che ho visto caricare in auto immagino si allontaneranno per qualche giorno. L'istinto mi direbbe di seguirla, sono venuto per lei in fin dei conti, ed ora sembra sfuggirmi di nuovo dalle mani.
Ma solo per ora.
Prima devo occuparmi di quel maiale che ha osato mettere le mani sulla mia proprietà. Ivan se non sbaglio. Così dovrebbe chiamarsi quel lurido verme.
Libero la baita dalle mie cose, eliminando qualsiasi prova. Quando me ne sarò andato da qui e troveranno il ragazzo, niente deve ricondurre a me. Mi immagino già i miei "colleghi" di zona barcollare nel buio, senza indizi e senza tracce li farò impazzire, mentre io ritornerò per un po' a casa finché non si calmeranno le acque: non credo che la gente del posto sia abituata a scoop del genere, ne parleranno per mesi. Nel frattempo dovrò istruire altre reclute, il che mi fornirà un possibile alibi, oltre che impegnarmi per il tempo necessario affinché tutto torni alla normalità.
"Ti lascerò divertire ancora per un po' mia cara Lisa, giusto il tempo per studiare le mie future mosse", farfuglio mentre mordo un pezzo di mela. "Ci vorrà più tempo, ma farò in modo che ne sia valsa la pena per me", e scoppio in una sonora risata mandando quasi il boccone di traverso.
***
Dalla parte opposta del paese, i miei passi risuonano con una piccola eco contro i muri della via deserta e mi fermo accucciato dietro il cofano di una Peugeot parcheggiata appena fuori dal cancello che conduce alla casa del ragazzo, imbacuccato nella mia felpa scura con il cappuccio alzato.
"Datti una mossa", sento urlare il moro piuttosto spazientito. "Altrimenti questa volta sarò io a lasciarti a piedi".
"Sì, sì, arrivo", risponde poi un biondino esasperato. Lo vedo salutare Ivan, prima di salire in auto e partire.
Mi muovo con cautela, sapendo che sarebbe stupido affrettarsi e percorro il tratto che mi separa dall'edificio. La casa è in mezzo ad una piccola radura con finestre su tutti i lati lasciate aperte per il passaggio dell'aria. Raggiungo la catasta di legna posta sul lato sinistro e fisso l'interno per quasi un minuto, cercando segni di vita.
Ivan è lì, mi dà le spalle e sbircia dentro al frigorifero.
Mi infilo i guanti, prendo il cloroformio, uno straccio ed entro furtivamente in casa.
Ora tocca a me.
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