16. Lisa - Alex
Lisa
È qui mamma. Mi ha trovata e ho tanta paura. Cosa dovrei fare? Io ho provato a scappare, ho fatto come dicevi, ma non è servito a niente. Ora lui mi prenderà, lo so; e per me sarà la fine. Come è successo a te. Oh mamma! Dammi tu un consiglio. So di averti delusa, che dovevo cercare una vita migliore, invece come una stupida mi sono fatta raggiungere. Come posso costruire il mio destino se lui è sempre un passo dietro a me?
***
Seduta ancora sul pavimento rimango abbracciata a me stessa assorbendo tutta l'umidità sprigionata dalle assi di legno ormai vecchie. Il buio sembra aver inghiottito la stanza mentre scruto il nulla davanti ai miei occhi vitrei, incapaci di versare il dolore che ho dentro. Voglio sentirli bruciare come sale in una ferita viva, sperando che cancelli una parte del mio tormento.
La pioggia, che inizialmente cadeva leggera, sembra aver aumentato la sua intensità, come se andasse pari passo con le mie emozioni. La sento sbattere con tutta la sua ferocia sulle grondaie arrugginite, scivolando inarrestabile al loro interno. La sento cadere pesantemente sui coppi di un tetto ormai vecchio, mentre bussa insistente sui balconi chiusi per voler sprigionare la sua furia anche all'interno. Qualunque cosa al suo tocco diventa uno strumento per un'orchestra impazzita, riempiendo l'aria di note malinconiche ed incitando il temporale a fare il suo assolo.
Eccolo! Sembra urlare la rabbia che ho dentro.
Mi sta invitando ad uscire. Mi alzo ed esco sul balcone piegandomi al suo cospetto e lasciandomi avvolgere fino all'ultima goccia. È fredda e tagliente. Piango nel mio cuore come pioggia sopra la città. Incessantemente.
E mentre osservo questo paesaggio grigio, provo una solitudine ingiusta.
Un lampo squarcia il cielo e rimbomba la sua ira. Poi si allontana con la stessa velocità con cui è arrivato. Il vento prima ruggente ora si placa, le nubi si diradano e si respira il profumo di bosco, di vita. La natura si è rigenerata. Di tutto quel fragore assordante non resta più nulla.
Rimango fuori ad assaporare l'aria pulita ancora per qualche minuto, prima che la brezza della sera penetri nelle ossa facendomi prendere un bel malanno. Sono fradicia dalla testa ai piedi, e le temperature sembrano essere scese di qualche grado.
Una volta rientrata nella stanza cerco un asciugamano e degli abiti asciutti, poi, mi distendo supina sul letto e mi lascio cullare da un caldo silenzio che aleggia nella stanza. Chiudo gli occhi. Un lieve tepore scalda il mio viso, una soffice carezza scivola sulla mia pelle.
Sogno o realtà? Non sono sicura di volerlo scoprire.
Lo scricchiolio della porta mi desta da un sonno in cui stavo slittando. Resto piuttosto delusa mentre alzo leggermente il capo per controllare. Quell'aurea soave era solo un sogno.
"Posso entrare? Ti ho portato del thè", mormora Judy facendo capolino da dietro la porta.
Le mie labbra si curvano in un sorriso. "Certamente", rispondo mettendomi seduta.
La osservo appoggiare il vassoio sul comodino, prima di accomodarsi sulla poltrona a fianco assumendo il ruolo della perfetta padrona di casa. Versa il thè ancora fumante in due tazze, prima di offrirmene una. Una ruga di preoccupazione le solca la fronte. "Tutto a posto, tesoro?", si rivolge poi con la confidenza e l'affetto che solo una madre ha. "Giò ti ha vista sotto la pioggia prima, mentre buttava la spazzatura."
"Va tutto bene", rispondo non poco imbarazzata. È inutile mentirle. Come la figlia anche sua madre mi conosce piuttosto bene, perciò immagino sia difficile nasconderle le mie preoccupazioni a questo punto. Ovviamente non sa nulla di mio padre e di Ivan, ma deve aver percepito sicuramente qualcosa.
"Piace anche a te la pioggia, vero?"
"Già", ammetto soffiando sulla bevanda ancora calda. "L'ho sempre considerata come una mia cara amica. Riesce a toglierti quel peso che opprime lo stomaco e ti fa sentire più leggera. Ti pulisce l'anima e ti toglie lo sporco che hai dentro."
Stringo tra le mani la mia tazza e mi abbandono per qualche istante a quelle parole appena dette, inspirando ad occhi chiusi l'aroma dolce ed intensa emanata dal thè. Si infiltra nella mia mente spazzando via l'amara sensazione appena creatasi. Ne bevo un sorso.
"Ed è servito?"
"Non molto", ammetto abbassando lo sguardo.
Indugia un istante, giusto il tempo di posare la sua tazza sul piattino. "Lisa, mi credi se ti dico che noi due portiamo dentro lo stesso fardello?", mi chiede guardando oltre le sue spesse lenti.
Alla sua domanda bruciapelo per poco non sputo tutto il liquido che ho ancora in bocca. Tossisco cercando di riprendere il controllo prima di puntargli addosso due occhi increduli. "Come fa a sapere..."
"Come per te, anch'io sentivo il bisogno di rifugiarmi sotto la pioggia, di scappare dal mondo intero..."
Mentre racconta i suoi anni peggiori l'ascolto scioccata in silenzio, tenendo a mezz'aria la tazza di porcellana che poco a poco perde il suo calore. Calore che si sta diffondendo giù nella mia gola fino allo stomaco. Mi riesce impossibile non piangere a quelle parole. Come può una donna così felice aver vissuto un incubo simile al mio? La sua storia è diversa, ma allo stesso tempo ci accomuna incredibilmente tanto.
Fino a quel momento non avevo mai sentito l'esigenza di raccontare la mia vita privata, a parte Miki, nessuno sapeva dell'esistenza di Igor. Ma ora sono felice di poterla condividere anche con Judy. Soprattutto perché nessuno meglio di lei può capire il mio stato d'animo.
"Perché me lo ha raccontato solo ora? Perché non prima!", sibilo alla fine con voce roca. Le mie labbra bagnate dal mio stesso pianto.
"Non ero sicura che tu fossi pronta ad ascoltarmi. So quanto è difficile condividere con altri questi abusi e si fa di tutto per nascondere il proprio dolore. Si cerca di apparire normale, sperando che il tempo rimargini le ferite. Ma il nostro corpo ricorda. Ricorda tutto Lisa. Quando ho nominato Ivan, ho avuto la certezza che in te il male è ancora vivo. Eri un fantasma, come lo sei in questo preciso momento. La stessa espressione che avevo io un tempo."
Mi porto la mano alla bocca e socchiudo gli occhi. Le lacrime continuano a scendere copiose, sembrano non esaurirsi mai, mentre Judy si siede al mio fianco consolandomi come una madre consola la figlia. "Immagino che sarebbe inutile dirti che non è stata colpa tua, vero?", dice togliendo dal mio viso alcune ciocche di capelli bagnati.
Poso la tazzina sul comodino. Con le dita elimino le ultime lacrime dal mio viso e scuoto la testa. "Con tutto il dovuto rispetto signora, si sbaglia. È solo colpa mia. È sempre stata colpa mia."
"No, Lisa", la sua voce è una carezza. "Non identificarti in quella ragazza. Rischi di far rivivere quelle aggressioni ogni giorno, di cristallizzare per sempre la tua rabbia, e il dolore diventerà infinito. Devi imparare ad affrontare. Devi superare."
Chiudo gli occhi nel tentativo di scacciare quell'ondata di senso di colpa che minaccia di travolgermi. Superare, affrontare. Non sono per niente sicura che sia possibile e devo deglutire un paio di volte per mandar giù il groppo che mi si è formato in gola prima di replicare: "Grazie, signora. Lo terrò a mente."
"Lisa...", Judy mi afferra le mani e mi sorride teneramente. "Oltre il dolore c'è una vita da vivere che ti aspetta. Non una vita normale, una vita vera. Non farla aspettare troppo."
Mi dà un bacio sulla fronte e si incammina fuori dalla stanza, lasciandomi sola a metabolizzare quanto appena successo.
***
Alex
Un giorno è passato, non una settimana e nemmeno un mese. Semplicemente sono trascorse poco più di ventiquattr'ore dalla sua partenza, da quel bacio del tutto inaspettato.
Quel bacio...
Che diamine! Avevo agito d'impulso, senza pensare. Non mi ero nemmeno reso conto di quanto stava per accadere. Un attimo prima mi stava chiedendo verbalmente scusa, e quello dopo l'avevo immobilizzata e mi ero impossessato della sua bocca. E più mi dilungavo in quel bacio, più sentivo crescere in me il desiderio.
Non mi ero accontentato di un assaggio. Le mani erano corse a sfiorarle quel suo delizioso e delicato viso, ad accarezzarle la pelle morbida e candida, a premerla contro il mio corpo eccitato.
Non avevo saputo resistere alle mie pulsazioni maschili.
Potevo dare la colpa alla mancanza di sonno, al turbamento emotivo che mi aveva causato; ma alla fine l'unico responsabile di quella follia ero io.
Follia sì! Non può essere altrimenti visto che non si è degnata di rispondere alle mie chiamate come invece speravo. Ma in fondo cosa avrei dovuto aspettarmi? Il suo rientro deve essere stato piuttosto impegnativo a livello psicologico ed io, non ho di certo alleggerito il suo bagaglio emotivo.
Ho rovinato tutto!
Tuttavia non riesco ad evitare di controllare ogni minuto il cellulare, nella speranza di scorgere una qualche notifica.
Niente di niente.
E l'illusione di averla colpita si infrange nuovamente come un'onda su uno scoglio.
Mi sfioro con i polpastrelli il punto preciso in cui le sue dolci labbra si poggiarono sulle mie, rivivendo per un attimo quell'ondata piacevole di brividi che aveva percosso l'intero corpo. Non credo che nessuna mi abbia dato tanto come lei con un così semplice gesto. Mi manca quel suo silenzio carico di parole inespresse e i suoi occhioni blu in cui potevi specchiarti da quanto erano limpidi. Vorrei tenerla ancora fra le braccia, cancellare quell'alone di tristezza che tanto sembra soffocarla, stringerla a me e rassicurarla; inebriandomi del suo profumo. Del suo sapore.
Mi manca.
Come può una persona che conosci appena mancarti così tanto?
"Alex? Te ne occupi tu allora?", la voce di Max mi riporta bruscamente alla realtà. Max è una delle punte nell'unità cinofila da soccorso, colui che programma ed organizza al meglio tutte le ricerche per il salvataggio di vite umane. Ormai si sta avvicinando alla pensione e lavorare sul campo per lui è diventato troppo pesante, ripiegando in me la sua completa fiducia. È stato lui ad addestrarmi e a farmi diventare quello che sono ora.
"Certo, seguirò io le ricerche domani. Ora però scusami, ma devo riportare a casa Anja. Ti aggiornerò il prima possibile."
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