11. Alex - Lisa
Alex
Quando si dice il caso.
In realtà, nemmeno ci dovevo venire in questo lato della città ma, all'ultimo minuto, non so per quale motivo, avevo deciso di allungare la mia passeggiata prima di rincasare. Quando l'ho vista uscire dall'hotel, per poco non mi cadeva la mandibola di bocca dallo stupore, e il petto aveva preso a battere all'impazzata. Dalla direzione presa, avevo intuito che voleva sedersi su quella panchina, così ho pensato che era meglio raggiungerla e farle compagnia senza farmi notare.
Mi sarei sentito tremendamente in colpa lasciarla sola ancora una volta.
Ma perché diavolo la sua amica non l'ha seguita e protetta? Non sa che ci sono malintenzionati dappertutto? Anche qui?
In ogni caso, non affari miei, ricordo poi a me stesso.
Devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non chiederle chi c'era in quella foto e se piangeva per quella persona o per sfogare le tensioni della sera precedente.
Le lacrime che le rigavano le guance, si sono ormai asciugate, ma alla debole luce degli ultimi raggi rimasti, riesco a vedere che i suoi splendidi occhi azzurri sono arrossati. La guardo. Non ha un filo di trucco, i capelli leggermente scompigliati dalla brezza serale e indossa abiti che sembrano usciti dal mercatino dell'usato. A parte la catenina, quell'assoluta mancanza di accessori e di eleganza non la rende meno bella o desiderabile, anzi. Nessuna ragazza mi hai ma attratto intensamente come sta facendo Lisa.
Lei abbassa di nuovo lo sguardo sulla pagina, ma mi rendo conto che non sta leggendo. Continuo a studiare i suoi lineamenti in silenzio e noto che armeggia con il suo pendente, mentre cerco di pensare qualcosa da dire.
"Se è il coraggio che ti manca, vai oltre il coraggio", cito indicando il libro. "È una frase che a mio parere, da molto da pensare. C'è una forza dentro di noi che ci può permettere di ricominciare, e ciascuno di noi deve trovare il modo di tirarla fuori e usarla", le dico alla fine.
So che potrei fare di meglio piuttosto che vantarmi di conoscere anch'io Cheryl Strayed, ma non mi viene in mente nient'altro.
Lisa si gira parzialmente verso di me: "cos'è? Sei uno strizzacervelli?"
Scoppio a ridere. "Io uno strizzacervelli? Bella questa", ma lei non si scompone e mi fulmina con gli occhi. "No, tranquilla. Non lo sono", mi appresto a dire. E la fisso stupefatto. Improvvisamente, l'aria attorno a noi si fa gelida.
Torna con lo sguardo sul libro e inizia a sfogliare le pagine una dopo l'altra. Tutto il suo corpo comincia a sospirare: "senti Alex", pronuncia il mio nome con un soffio esausto. "Apprezzo che tu sia stato così gentile, davvero. Ma adesso puoi smetterla con questa recita."
Sbatto le palpebre incredulo, non credo alle mie orecchie. "Cosa vorresti insinuare?", le chiedo stupito dalla brutta piega che ha preso la nostra conversazione. "Ti sembra che io stia fingendo?"
"Cos'altro potrebbe essere", ride amaramente.
Mi guarda con occhi così scuri da sembrare improvvisamente, nel riverbero del tramonto, neri. Vedendomi avvicinare, lei si irrigidisce. Ha le mani ben piantate sulla panchina, pronta a scattare in piedi. Rifletto un momento sul modo migliore per trattenerla, poi, mi allontano del tutto senza smettere di sostenere lo sguardo impietrito con cui mi fissa. Non posso credere che abbia paura anche di me dopo quello che è successo tra noi, e se lo è, me ne vergogno a nome di tutti gli uomini. La capisco sotto sotto, perché una ragazza dovrebbe essere lusingata dagli uomini che flirtano con lei, ed eventualmente cacciarli perché non ne è interessata, ma non perché viene molestata.
"Voglio semplicemente conoscerti, sapere la tua storia", le dico appoggiando le mani dietro la nuca.
"Perché ti importa?"
Lascio cadere le braccia pesantemente. Comincio ad innervosirvi. "Senti, la vuoi piantare? Ci sto provando, okay?", dico ignorando il suo tono cinico. "È mai possibile che tu sia così ferita da non riconoscere una cosa buona quando ti capita nemmeno se ti piove dal cielo?", e dev'esserci una luce particolarmente delusa nel mio sguardo perché lei mi scruta con attenzione.
"Mi dispiace non volevo offenderti, è che...", le sue parole sono basse, hanno in sé un carico di dolore e sofferenza.
"Smettila di misurare tutti con lo stesso calibro, Lisa", le rinfaccio con una punta di fastidio. "Io sono io. E, se permetti, ritengo di essere diverso da lui."
Lei non ribatte, sposta i piedi avanti e indietro nella terra. La testa china.
Mi alzo e frustrato di come siano andate le cose aggiungo: "forse è meglio se questa sera finisce qui."
***
Lisa
In questo momento di sconforto, sono tentata di accelerare i tempi, così da ritrovarmi al punto di partenza, sola. Però, mi dispiace di aver detto quello che ho detto, non posso avere la presunzione di conoscere perfettamente le sue intenzioni, anche se, dovrebbe capire il mio stato d'animo e la mia sfiducia nel genere maschile.
Annuisco con il cuore a pezzi. Come al solito, ho rovinato tutto.
Mi viene da piangere.
Scatto in piedi per richiamarlo ma, come se mi avesse letta nel pensiero, si ferma e si volta. Sembra meno sicuro di se e mi guarda. Io torno a sedermi, con il petto che mi duole. Studia il mio viso per quello che mi sembra la milionesima volta, quindi mi chiede: "cosa devo fare per convincerti che sono sincero?". La sua espressione è cupa, come se cercasse di dominare la sua furia per essere vittima dei miei radicati pregiudizi.
Con uno sbuffo, butto fuori l'aria in eccesso accumulata nei mie polmoni. "Niente. Sono io che sono sbagliata", gli rispondo con voce tremante.
Lui torna ad avvicinarsi e questa volta reprimo l'istinto di alzarmi e scappare. Mi solleva il mento con due dita costringendomi a guardarlo. "Non sono bravo con le parole, quindi ti dirò quello che è stato detto a me", mi fissa prima di proseguire tremendamente serio. "A volte sul sentiero, come nella vita, inciampi e cadi. Se sei fortunato, cadi sul sentiero, ti rialzi un po' ammaccato e riprendi il tuo percorso ma, se invece sei sfortunato, cadi in un crepaccio trascinata sempre più a fondo dal tuo pesante zaino. O rimani lì, in quella fenditura, abbandonata da tutti, con lo zaino pieno ed aspettando la tua fine; o accetti l'aiuto di chi, passando sul tuo stesso sentiero, ti vede in difficoltà. Ti può dare una mano, aprire il tuo zaino, togliere le cose inutili, la roba vecchia, i pesi della tua vita passata e ti può aiutare a rialzare, più leggero, più veloce, e rimetterti sul sentiero prendendoti per mano. Perché la vita è questo, Lisa: un sentiero di montagna, con salite, discese e crepacci che possono mettere paura ma, se percorri la strada in due, risulta molto più semplice e meno faticoso. Bisogna solo trovare chi ha il tuo stesso passo. "
I suoi occhi di ghiaccio mi bruciano dentro mentre metabolizzo le sue parole. Stanno scavando nella mia anima, e stanno arrivando dove mai avrei voluto che qualcuno arrivasse. Alex è uno di quelli che vedono cose che gli altri non vedono, cose che ho passato tutta la vita a coprire e a nascondere. Ho conosciuto poche persone capaci di vedere oltre la facciata che mi sono costruita, e lo dovrei allontanare prima che capisca del tutto cosa la vita mi ha fatto per rendermi così fredda e distante.
Mi lascia andare, si allontana di qualche passo e incrocia le braccia al petto.
Ho un attimo di esitazione.
Tuttavia, mentre lo osservo, non sento suonare nessun campanello d'allarme. Per qualche ragione sento di potermi fidare di lui, e non soltanto perché mi ha aiutata la scorsa notte. Il fatto è che non lo considero pericoloso, se gli avessi chiesto di andarsene lo avrebbe fatto di sicuro, come stava per fare ieri sera. E poi, era riuscito a farmi ridere con la storia dei sassi, nel breve tempo trascorso assieme, mi ero completamente dimenticata del mio passato.
***
Alex
Non sono sicuro di come prenda le mie parole, ma la vedo raccogliersi i capelli e assumere l'aria di chi è rassegnata all'idea di non potersi facilmente liberare di una scocciatura.
"E io che credevo di godere una tranquilla serata di pace."
Sbatto le palpebre. "Non saprei", le rispondo grattandomi il mento con finta aria pensierosa. "Le tranquille serate di pace sono sopravvalutate ormai."
"Scommetto che non avrò modo di scoprirlo, giusto?"
Curvo all'insù le mie labbra ed annuisco vittorioso.
"Perché tu lo sappia", preciso tornando serio, "non sto cercando di fare colpo su di te." E mi appoggio con la schiena alla balaustra sapendo che, in realtà, mento spudoratamente a lei e a me stesso.
"Ah no?", risponde con lo sguardo sbieco.
"Credimi, te ne accorgeresti. Nessuno è capace di resistere al mio fascino."
Per la prima volta da quando è seduta su quella panchina la sento ridere. Lo prendo come un buon segno. "Non ti facevo così sbruffone", mi prende in giro. "Forse non sei il ragazzo semplice che credevo che fossi."
"Non fare la snob", le rispondo con un finto rimprovero. "Che tu ci creda o no, sono la semplicità fatta persona. Sbaglio, o ieri sera ti ho insegnato io a far rimbalzare i sassi nell'acqua?"
Lisa alza gli occhi come per ricordare quel momento. "Hai ragione", ammette. "Però hai anche salvato una donzella in difficoltà. Non è forse uno stratagemma che voi uomini usate per far colpo?"
"Può esserlo per molti, ma non lo è per me", rispondo di getto. "Devo ammettere però, che non mi è andata poi così male. Di solito non sono così fortunato: spesso e volentieri salvo solo uomini", concludo in una piccola smorfia.
Le scappa una risata ma che si trasforma poco dopo in tristezza. Vorrei mordermi la lingua per le stupidaggini appena dette. "Grazie ancora", dice alla fine grattando con le unghie il legno della panchina. La sua voce supera appena il rumore dell'acqua.
"Lo hai già detto."
"Lo so. Ma merita di essere ripetuto una seconda volta."
"Se lo dici tu", commento con un alzata di spalle.
"Sì, lo dico."
Con uno scatto Lisa si alza dalla panchina, ma nel momento che compie un passo in avanti, inciampa in un sasso. Mi protendo istintivamente verso di lei e la afferro per un braccio. "Attenta!", esclamo lasciandola immediatamente andare, come se avessi preso una forte scossa. Il suo profumo, un misto di cocco e mandorla, mi assale le narici. Chiudo le mani a pugno e le ficco nelle tasche dei jeans prima di fare qualcosa di stupido... come prenderla tra le braccia e nascondere il mio viso fra i suoi capelli.
Ostentando un sorriso, lei mi ringrazia. Il sole ormai è scomparso e le onde luccicano argentee tutte le volte che si infrangono lungo il canale. "Allora, qual è la tua storia", le chiedo spezzando il silenzio.
Lisa si avvicina alla ringhiera e appoggia i gomiti. Si sporge in avanti e si gira verso di me. "Forse sono io che dovrei farti questa domanda."
"Perché", osservo confuso.
"Vedi", spiega lei vagando con lo sguardo sul paesaggio lontano, "la mia vita non è poi così eccitante. Passo le giornate in un ristorante di un paesino di montagna, ricordi?" Parla in tono sorprendentemente sicuro e divertito, come per allontanare ogni eventuale compassione. "E poi mi sono resa conto di non saper quasi nulla di te", conclude voltandosi nella mia direzione.
"Non è vero."
"Sì, invece", ribadisce. "Non so neppure che lavoro fai esattamente."
"Sono un bravissimo lanciatore di sassi barra paladino della giustizia."
Sento di nuovo la sua voce avvolta dalle risa, e ne apprezzo la spontanea energia. È contagiosa. "E dai...", restringe poi gli occhi con un'espressione di finto scetticismo. "Sii serio."
"E va bene." Incrocio le gambe appoggiando la punta della scarpa sul terreno. "Sono un addestratore cinofilo e lavoro nell'unità da soccorso."
"Sei un volontario?"
"Non proprio", la correggo scrollando il capo. "Sono uno dei soci che gestisce il centro."
"Oh", esclama sorpresa. "E ti piace?"
Annuisco. "Da un senso alla mia vita."
"I tuoi genitori devono essere fieri di te."
Abbasso lo sguardo avvilito. "Già, lo spero" e, con parole misurate, aggiungo: "ma ho paura di essere arrivato troppo tardi."
Pronuncio quelle parole senza pensare e, quando vedo l'espressione combattuta di Lisa, comprendo che ha capito. Senza distogliere lo sguardo, istintivamente lei pone la mano sul mio braccio. "Mi spiace", dice alla fine.
È solo un contatto fugace, ma la sensazione di calore che ho avvertito in quella frazione di secondo mi perdura. "È stata dura", riconosco raddrizzando la schiena.
Trascorrono cinque minuti in cui l'unico suono che si sente è lo sciabordio dell'acqua contro i fianchi dell'argine. Nessuno dei due parla ma, per qualche ragione, il silenzio non ci imbarazza. Lisa mantiene una distanza sufficiente a impedire contatti accidentali tra di noi, a volte guarda alla sua destra, altre volte davanti a se. Non vorrei sbagliarmi ma, in certi momenti, ho l'impressione di cogliere un sorriso sui suoi lineamenti.
So così poco di lei.
In questo è l'esatto contrario di Vivian. Quest'ultima era trasparente e prevedibile, sapevo per filo e per segno cosa avrei trovato in una ragazza come lei. Invece Lisa è diversa.
Non ci sono dubbi.
E per un attimo, mi immagino di starle accanto per tutte le sere della nostra vita.
***
Lisa
Osservo Alex con la coda dell'occhio, tentando di capire perché non ne sia spaventata. In base alla mia esperienza, so che gli uomini rientrano in una sola categoria: quella morbosa, arrogante, sudicia. Dove non esiste alcun sentimento se non violare una povera anima in pena. Lui, però, non sembra avere quel tipo di interesse, anche se, in fondo, nutro ancora il sospetto di potermi sbagliare.
È ancora appoggiato alla balaustra, e quando mi volto, colgo nel suo sguardo lo stesso lampo divertito che avevo visto ieri sera. "Che c'è?", chiedo improvvisamente ansiosa. Temo che mi faccia qualche domanda sul mio passato, ma come se mi leggesse nel pensiero lui risponde: "niente." Poi, ripensandoci, aggiunge. "Posso farti una domanda?"
Mi irrigidisco. "Non credo che possa impedirtelo."
"Come sta il tuo bernoccolo?"
Sospiro sollevata. "Bene", dico spostando lievemente la ciocca di capelli che copre la botta. "Non mi fa più così tanto male."
Lui si avvicina con quell'intensità alla quale ormai mi sto iniziando ad abituare. Le mie sopracciglia si inarcano interrogative non appena provo a capire che cosa sta cercando di fare, fino a quando il pollice di lui mi accarezza la tempia. Una smorfia compare sul mio volto non appena sfiora il punto dolente. L'aria crepita di elettricità, il mio cuore comincia a martellare impazientemente nel petto e le ginocchia tremano al tocco della sua mano.
"È ancora viola però", mormora. Ha gli occhi inscuriti, annebbiati e feriti.
"Lo so. Ma poteva anche andarmi peggio se tu..."
Deglutisco a fatica e chiudo per un istante gli occhi a quel pensiero. Il tocco leggero sulla mia guancia sembra rassicurarmi ancora una volta. Mi domando se dovrei voltarmi dall'altra parte, rompendo in tal modo l'incantesimo, ma non accade, e mi faccio cullare da quella piacevole carezza sprigionata dalla mano di Alex.
Quando riapro gli occhi, lui è davanti a me, lo sguardo gentile. "Su col morale", bisbiglia. China il capo e mi deposita un piccolo e fugace bacio sull'altra guancia. "Sei bella quando sorridi."
L'imbarazzo inonda il mio viso mentre mi guardo i piedi senza trattenere un sorriso, cercando di trovarci un senso. Qualunque cosa abbia spinto Alex a pronunciare quelle parole, non posso negare di esserne lusingata e non posso non chiedermi in che situazione io mi stia cacciando.
Di una cosa sono certa però: sto mettendo in discussione la mia promessa. E non so se esserne felice o meno.
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