10. Lisa
I paesaggi si susseguono uno dopo l'altro mentre viaggiamo oltre le montagne con una stupenda BMW Z4 cabrio di un bianco quasi accecante.
Il padre di Miki gliel'aveva regalata per i suoi 18 anni, a patto di averne massima cura e di impegnarsi seriamente nella gestione dei beni di famiglia. Ovviamente lei accettò senza batter ciglio, già si vedeva alla guida di quel piccolo mostro ammirata e bramata da tutti i ragazzi, non appena avesse preso la patente.
"Darei tutto quello che ho per sapere cosa ti frulla in testa", cinguetta Miki riportandomi alla realtà.
"Oh, niente di speciale. A dir la verità ammiravo il paesaggio."
I capelli mi svolazzano intorno al capo per la velocità e allora li raccolgo. Il rumore è troppo assordante per parlare e, ammetto, di esserne contenta. Mi piace stare da sola con i miei pensieri, sentire l'aria fresca che mi punge il naso, quel profumo di bosco, il silenzio totale. Solo noi due in una strada immersa nel verde che punta in direzione di una città, la quale sembra non farsi raggiungere mai. A mano a mano che maciniamo chilometri, l'ansia, la paura, il terrore che mi avevano assalito la sera precedente si stanno dissolvendo, quasi spazzati via dal vento.
Voglio godermi a pieno questa sensazione di libertà, chiudo gli occhi ed inspiro a pieni polmoni.
"Mi fa piacere vederti sorridere, Lisa, anche se è un sorriso timido", esordisce Miki rallentando l'andatura nonostante la striscia d'asfalto deserta. "Sapevo che ti avrebbe fatto bene cambiare aria. Forse riesco pure a convincerti di restare."
Presa di soprassalto dalle sue parole la fisso con un broncio sulle labbra: "non parliamo sempre di me", imploro. "Dimmi di te piuttosto. È successo qualcosa alla fine con quel biondino?"
Chiedere a Miki di raccontarti i suoi flirt significa sentirla parlare per ore; il che equivale a tutto il resto del viaggio e infatti, subito dopo, si volta e mi guarda con un ampio sorriso mettendo in mostra i suoi denti bianchissimi. "Speravo me lo chiedessi Lisa", la sua voce è puro entusiasmo. "Tanto per cominciare, lo sai che è pure ricco oltre che bello?"
Scuoto la testa. "Davvero? Non l'avrei mai detto", le chiedo fingendomi sorpresa. Ma lei non coglie il mio sarcasmo.
"Sì! È figlio di uno dei più noti pubblicitari di Zurigo, te ne rendi conto?", racconta sbalordita. "E i suoi occhi? Li hai visti? Ma che dico, ovvio che non sei riuscita a vederli visto che te ne sei andata via subito. Comunque, sono di un verde a dir poco stupendo, e..."
Come se non stesse aspettando altro, Alex, irrompe nella mia testa, mentre le parole di Miki si fanno via via più distanti. I miei pensieri riportano a galla immagini di un ragazzo che si incammina lungo la spiaggia erbosa con i sassi in mano, un'andatura sicura e disinvolta che avrebbe catturato indubbiamente l'attenzione di qualsiasi ragazza. I suoi capelli neri luccicano al chiaro di luna ma il suo viso sembra mostrare un volto non suo.
Ho un tuffo al cuore e mi sento lo stomaco sottosopra.
Smettila, smettila, smettila, mi ordino.
Ma per quanto lo desideri, in questo momento non riesco a controllare le immagini nella mia mente. Ricordo diversi flash della sera precedente, ma non li ho ancora messi in ordine. Forse perché non ci riesco, o forse perché non voglio un ricordo completo. Posso a malapena sopportarlo a pezzi e preferirei che rimanesse così.
Un'ondata di amarezza mi attanaglia il petto, il labbro inferiore accenna un tremore e mi sento soffocare. Perché mi sta succedendo adesso? Perché proprio ora che comincio ad avere una giornata vagamente tollerabile, devo tormentarmi rammentando le cose peggiori?
Basta. Non ce la faccio più.
Pensa ad Alex, mi dico con gli occhi chiusi. Pensa ad Alex.
Funziona.
Pensare a lui mi calma, non so perché ma immaginarlo riesce in qualche modo a bloccare questa spirale. Tra le sue braccia mi ero sentita al sicuro, mi aveva trasmesso stabilità e sicurezza, anche se non ho idea del perché.
Riapro gli occhi e respiro con calma.
Torno a sorridere.
"Pronto? Pianeta terra chiama Lisa."
Devo essermi persa via più del previsto. "Scusa, continua pure", le dico.
Mi fa un sorriso di comprensione. "Sicura?", interroga poi inarcando un sopracciglio. "Non vorrei aver toccato un tasto sbagliato, anche se la tua aria sognante fa pensare a qualcosa di più bello. Mi sa tanto che ti sto annoiando."
A volte è più astuta di una volpe e più curiosa di un gatto.
"No, va tutto bene", taglio corto. "Scusa ancora, dai racconta. Alla fine hai perso o no la testa per questo Brad?"
"Intendi dire se l'ho persa del tutto? O persa e basta?"
"Ma siamo alle medie per caso?"
Miki ride senza staccare gli occhi dalla strada. "Non lo so. Sai che io non voglio fare sul serio."
"Da quel poco che ho visto non credo lo voglia nemmeno lui. È troppo..."
Mentre cerco la parola giusta, Miki mi suggerisce: "simile a me? Lo credo anch'io", conclude con un'alzata di spalle. "Però è carino e questo mi darà il tempo per scoprirlo."
Poi continua indagando su di me: "anche se, sinceramente, vorrei conoscere meglio Alex. Ha uno sguardo così impenetrabile che mi attizza un sacco. Tu che dici?"
La mia espressione si fa accigliata, l'impeto di gelosia che provo mi coglie impreparata. "A me lo chiedi? Fai quello che vuoi, no?"
Ha deciso di sfidarmi, lo so, ma non starò al suo gioco. Per quanto l'idea delle sue mani su di lui mi faccia ribollire il sangue, rimarrò con i piedi ben saldi a terra, non solo per proteggere il mio cuore, che è già in mille pezzi, ma anche perché lo devo a mia madre. Le avevo fatto una promessa in punto di morte: sarei stata lontana dagli uomini, e voglio mantenerla per quanto il mio cuore abbia progetti diversi. Oltretutto, non credo di essere in grado di amare anche se lo volessi.
Lei sembra aver intuito il mio stato d'animo perché ride con un'aria così beffarda che la butterei fuori dall'auto in un nanosecondo. "Perché è chiaro che lui ti interessa", commenta squadrandomi in modo plateale.
"Non è vero."
"Certo", concorda Miki con finto candore. "Non è affatto il tipo con cui vorresti uscire. Uno bello come lui? Il sogno di ogni ragazza? Ma per favore."
Un sogno, infatti. Un sogno per molte ragazze, ma non certo per me. A me non è permesso avere sogni, i miei si sono dissolti già da tempo come la nebbia del mattino sopra il lago.
Apro la bocca per obiettare, poi la richiudo, sapendo che qualunque mia affermazione avrebbe solo incoraggiato l'amica. Nel silenzio che segue, osservo con la coda dell'occhio Miki esaminare velocemente lo schermo del suo cellulare, prima di annuire.
"Sei pronta?"
"Pronta per cosa?", le chiedo confusa.
"Per questo. Guarda", e mi indica la città davanti a noi.
Zurigo!
***
Sono ancora sconvolta e con il cervello che non riesce a pensare a nulla. Di certo non mi sarei aspettata questo gesto da parte di Miki che, pur nella sua buona fede, mi appare grottesco e meschino. Di tutti i sotterfugi che ha cercato di creare, questo è il peggiore che potrebbe essere riuscita a fare.
E non mento: fa male.
Se le esperienze positive, come le chiama lei, costituiscono una sorta di scudo d'oro nei confronti delle difficoltà della vita; quelle negative, a mio avviso, diventano una gabbia velenosa che imprigiona il nostro corpo, i nostri sogni e il nostro futuro. So bene che non è d'accordo con il mio pensiero: si sente solo in colpa per avermi invitata a quella festa ed aver permesso ad un amico di fare ciò che ha fatto. Il suo doveva essere solo un gesto carino, ma non riesco a non essere arrabbiata con lei per avermi portata qui.
Esco dall'hotel e mi dirigo al di là della strada dove una panchina si affaccia sul canale. Un salice piangente le fa da riparo e un lampioncino con una fioca luce gialla fa da candela non appena sarà più buio. È perfetto per perdersi in una lettura, siamo al crepuscolo e la città si sta illuminando lentamente. Mi sento tranquilla al pensiero del portinaio fuori dall'entrata, quindi, mi siedo. Con il libro aperto in grembo, inspiro ed espiro, prima piano, poi sempre più forte, per liberarmi di tutta la tensione accumulata in questi due giorni.
Tra le mani rigiro nervosamente il mio segnalibro, una piccola foto, più piccola di una fototessera, tagliata male, come se la ragazza impressa sulla pellicola fosse stata portata via da una foto più grande. "Tienila tu, così mi avrai sempre a fianco", mi aveva detto mia madre alcuni giorni prima che morisse e, dopo averle aperto la mano, aveva lasciato che la piccola foto cadesse tra le mie dita, come fosse arrivato il momento di dirmi addio. Ricordo di aver chiuso forte il palmo, come se volessi imprigionare per sempre quell'immagine, farla assorbire dalla mia pelle, come a chiederle protezione, come se mi rassicurasse sul fatto che lei ci sarebbe stata comunque nella mia vita.
Avverto intorno a me un senso di vuoto, di frustrazione, di paura, di smarrimento. Uno stillo sfugge al mio controllo, poi, come un fiume in piena, inizio a piangere senza riuscire a fermare le lacrime che inesorabili mi inondano il viso.
Solo quando mi fermo, sentendomi molto più leggera, noto con la coda dell'occhio un ragazzo familiare seduto sulla panchina di fianco.
Guardo meglio e... Alex ricambia il mio sguardo. Oh no! Ero convinta che non ci fosse nessuno nei paraggi e, comunque, nonostante il mio cuore palpiti di gioia improvvisa, speravo che in una città così grande le probabilità di incrociarlo fossero minori.
"Ha funzionato?", mi chiede con voce fioca.
Mi sento avvampare le guance. Anche questo è opera di Miki?, mi chiedo. Venire qui è stata una sua idea in fin dei conti, e potrebbe aver architettato tutto assieme al suo nuovo amico. Ma lei mi ha anche assicurato di non aver tramato nulla, ed io, in questo, le credo.
Quindi deve trattarsi di una coincidenza, come la sera passata in cui ci siamo trovati a lanciare sassi in riva al lago, a casa mia, a ben cinquecento chilometri da qui. Quante sono le probabilità di incontrarlo anche qui? Troppo poche per essere plausibili, eppure...
Lui è qui e io pure, e sta aspettando una risposta da me. Per quanto l'idea mi appare assurda, ho l'impressione che per qualche motivo, sotto all'espressione seria si celi invece la gioia nel vedermi.
"Che... che cosa?", balbetto senza distogliere gli occhi dai suoi.
"Le lacrime", segna con un cenno del mento. La sua mascella è contratta, gli occhi socchiusi e sembra arrabbiato. "Ti hanno aiutato a farti stare meglio?"
Asciugo il viso con il dorso della mano e mi costringo a dire: "diciamo di sì. Ora dovrebbe andare meglio", mento in un sussurro.
Lui resta immobile, con le mani in tasca e le gambe accavallate. Alle mie parole, il suo viso si addolcisce: "mi fa piacere", si limita a dire.
Mi aspetto che faccia come credo che facciano tutti in questo tipo di occasione, ovvero blaterare qualche parola di circostanza del tipo: "mi dispiace tanto!", "sei andata dalla polizia? E in ospedale?", "pensi di denunciarlo?", ma Alex non parla. Se ne sta in silenzio, seduto sulla sua panchina a pochi passi da me ed osserva il canale davanti a noi. Inspiegabilmente, questo quasi sconosciuto mi trasmette più sicurezza di chiunque altro. L'intensità della sua presenza è preoccupante: ha quella forza di colui che sa chi è e la sua sicurezza è disarmante. Instilla fiducia e nel suo volto non c'è un filo di arroganza. Con lui vicino sento di non aver paura. Sembra volermi lasciare il giusto spazio, come ha fatto la notte precedente.
A proposito di ieri notte...
"Senti Alex...", non posso impedire alla mia voce di tremare.
Lui gira la testa. "Si?"
"Non ti ho ancora ringraziato per quello che hai fatto."
"Non ce n'è bisogno. Sono contento di esserti stato utile", mi sorride. "Prima di partire volevo passare da te, per sapere come stavi. Ma ho pensato che avessi piacere rimanere da sola. Sono felice di trovarti qui."
Ingoio di nuovo il sapore amaro che il ricordo di Ivan mi provoca. "È stata un'idea di Miki. Dice che qui c'è una delle vie più belle per lo shopping."
"Avevo capito che non eri venuta per me. Non sembravi molto felice di vedermi."
Sento di essere arrossita. "Non intendevo dire questo", mi affretto a dire scuotendo in fretta la testa. "È solo che mi hai colto di sorpresa."
Vedo lo sguardo di lui indagare su di me, le sue labbra strette sembrano voler trattenere un sorriso. "Sto scherzando", ribatte piegando la testa di lato. "Anch'io lo sono."
Per un po' rimaniamo entrambi in silenzio a fissare le acque. Alex appare perfettamente rilassato e in pace con sé stesso, mentre io cerco di immergermi nella natura. In lontananza, un battello solca lenta le acque e, alle mie spalle, le luci dell'hotel brillano tremolanti. Da uno dei bar posti lungo la via, giunge le note fioche di una musica rock, a segnalare l'inizio della serata.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top