capitolo 7
« Ehi, Dylan » gli do un pizzicotto e fa una smorfia. « Ti ricordi che, quando avevo sette anni, il mio sogno era sposarti? » fa mezzo sorriso e mi guarda.
« Non riuscirei a dimenticarmi certe cose. Hai una fabbrica di sogni dentro il tuo cuore. » mi dà un bacio sulla fronte.
« Tu, invece, volevi scrivere i tuoi desideri su aeroplani di carta. Mi ricordo che li lanciavi in aria, e quando precipitavano dicevi sempre che non si sarebbero mai avverati. » lo abbraccio forte e sento il battito del suo cuore.
« Elena, non è il momento per ricordare. Per favore, ti devo dire una cosa, dico davvero. Mi turba dentro. Non mi dà pace. So che probabilmente mi odierai, e ti chiedo scusa. »
Si stacca dal mio abbraccio, si rimette giù, guardando l'oceano. Sto qui, seduta accanto a lui con il fiato sospeso. L'ansia mi sta divorando. Mi sta perforando lo stomaco. Sono quel tipo di persona che si aspetta sempre il peggio, incapace di pensare positivo.
Lo guardo, mentre la mia anima sbraita dentro di me.
Dylan non è il tipo di ragazzo che scherza con le cose serie, e non è nemmeno un santo. Ha sempre avuto quello sguardo dolce, ma allo stesso tempo misterioso. Il punto è che, ci tengo talmente tanto a lui, che evito di pensare al futuro, evito di pensare alle possibili delusioni. Forse questa è una punizione.
Si gratta la mascella, ma non mi degna più nemmeno di uno sguardo. Ciò mi fa stare male. Un minuto prima mi ha fatto sentire come una principessa, e ora sembro invisibile ai suoi occhi.
Il suo silenzio, però, fa abbastanza rumore nei miei pensieri, tanto da non sapere più cosa pensare. Il suo silenzio è come un pugno in faccia. Si gira verso di me e sospira. Anche se mi vede stare immobile accanto a lui, non riesce a vedere che sto morendo dentro.
« Hai intenzione di parlare o cosa? » gli poso la mano sul braccio e sussulta, come se il mio tocco gli avesse bruciato la pelle.
« Un anno fa conobbi una ragazza su facebook. » si prende la testa fra le mani e io voglio semplicemente sprofondare. Non sono pronta a ricevere una delusione da parte sua. Non ora.
« Lei è di New York, Elena. Mi ha chiesto di vederci. Io, ti ho aspettato per tanti anni, forse troppo, perché mi piaci veramente. Ma lo sai che non sono un santo, e mi faccio schifo per questo. Mentre parlavo con te, lei...» abbassa lo sguardo « mi provocava sempre. Mi mandava certe foto.. e dimmi, quale maschio ignora quel genere di foto? » sbuffa. Mi ha aspettata per anni, ma intanto non me l'ha mai detto. Che diavolo di scusa è?
Colpito e affondato. Ci rimango male, forse perché ci conosciamo da una vita. Ma perché dirmi una cosa del genere dopo un anno? Magari vuole essere del tutto sincero con me, e di certo non gli do la colpa. È libero di fare ciò che vuole, e beh, so perfettamente che in qualità di maschio, probabilmente non avrebbe aspettato la ragazza dei suoi sogni. Perché, se c'è una cosa che ho capito, è che i maschi mica aspettano l'arrivo della "principessa azzurra".
« Quando è stata l'ultima volta? » chiedo, nascondendo il dispiacere, abbassando la testa.
« Ieri sera..» si morde il labbro e mi guarda. « Ti giuro che non significa niente per me. Le avevo detto di lasciarmi in pace, che non volevo più sapere niente di lei. Ti giuro, Elena, voglio solo te, non ti ho tradita. Mai. » mi prende la mano e la sposto bruscamente.
Io l'ho fatto, però.
Va bene, non ho commesso il più grande crimine del mondo, ma mi dà ugualmente fastidio.
« Okay, questa non me l'aspettavo. Perché dirmelo soltanto ora, quando le cose potrebbero andare bene tra di noi? Se me lo avessi detto mesi fa, di certo non ti avrei sparato in testa! Mi aspettavo delusioni da parte di tutti, meno che da parte tua. » sbotto.
« Forse è meglio se torniamo in città..» mi guarda con aria sconfitta. Non è del tutto colpa sua, sono più incazzata con me stessa, penso.
« Sei venuto a New York per me o per lei? » chiedo, facendo una smorfia.
« Per te, giuro. Ora non esagerare, per favore. » mi osserva con sguardo implorevole.
« Dylan, puoi andare via? Per favore. » mi massaggio la testa. Sento la sua mano sulla mia schiena e lo fulmino con lo sguardo.
« Non ti lascio qua da sola, lo sai. Ti riporto a casa. » mi afferra la mano e mi trascina con lui.
Così sfigata che, quando finalmente ho deciso di dichiararmi, non ho avuto neanche il tempo di godermi questa relazione.
Grande, continua così.
Decido di farmi accompagnare, soltanto perché il tragitto è troppo lungo per farmelo a piedi. Ma non lascio che mi accompagni fino a casa. Gli dico di lasciarmi vicino alla spiaggia. Se c'è una cosa che mi aiuta a pensare, è proprio il rumore delle onde. Per tutto il tragitto non abbiamo proferito parola. L'avevo notato con la coda dell'occhio, mentre mi guardava con sguardo dispiaciuto, ma so che già domani ci avrò messo una pietra di sopra.
Quando scendo dalla macchina, lui mi saluta, ma da brava cogliona permalosa, giro sui tacchi e me ne vado. So che, se mi fossi girata verso di lui, non ce l'avrei fatta. Forse avrei dovuto togliermi dalla testa la figura del bravo ragazzo che era, e rendermi conto finalmente di quanto fosse cresciuto in realtà, e che come ogni maschio sulla terra, ha delle necessità.
Cammino sul marciapiede senza una meta. Tiro fuori dalla borsa il cellulare e le cuffiette.
Credo nella musica, come certe persone credono nei propri sogni.
La musica non mi illud, né tantomeno mi fa male.
Mi siedo su una panchina e tiro le ginocchia su.
La musica pulisce sempre le tracce di sangue dalle ferite che mi porto dentro.
Chiudo gli occhi e resto così per una decina di minuti. All'improvviso sento qualcuno toccarmi il braccio.
Tolgo le cuffiette dalle orecchie e noto davanti a me un ragazzo con i jeans leggermente strappati, le vans nere, e una maglietta a maniche corte abbastanza larga.
« Hai un accendino? » chiede, squadrandomi dalla testa ai piedi.
« Non fumo. » rispondo con tono secco.
Il ragazzo si siede accanto a me e incomincia a fissarmi in modo fastidioso e insistente. Odio quando qualcuno mi fissq, mi sento troppo in soggezione.
« Ti serve altro? » chiedo, infastidita .
« In realtà era una scusa. Ti ho vista proprio giù di morale. Piacere, io sono Trevor. » allunga la mano verso di me ed evito di stringerla. L'ultima cosa di cui ne ho bisogno in questo momento, è conoscere un altro coglione. Insomma, io quando vedo una ragazza sola e triste, di certo non mi avvicino a lei per presentarmi. Ho sempre paura di ricevere in cambio qualche insulto. Se una persona vuole stare da sola, allora meglio lasciarla stare.
« Va bene, sconosciuta. » sorride e continua a guardarmi.
All'improvviso mi arriva un messaggio da parte di Emily, scritto non proprio correttamente. Il telefono è accanto a me, sulla panchina, e Trevor non perde tempo a sbirciare. Certo che è proprio impiccione.
Afferro il cellulare, ignorando il ragazzo accanto a me, mi alzo in piedi, inziando a incamminarmi verso la spiaggia. Con la coda dell'occhio noto Trevor venirmi dietro. Perfetto, un nuovo stalker.
« Guarda che se non te ne vai, chiamo la polizia. » lo minaccio.
Lui ride e si siede sulla sabbia, mentre tiene gli occhi puntati verso il mare. Con la mano mi fa segno di sedermi accanto a lui, e non riesco a trattenermi, quindi mi metto a ridere amaramente « Ma chi ti conosce! » esclamo.
« Buffo, no? Ci sono ancora persone che fanno degli errori grammaticali alquanto stupidi. » dice, sorridendomi. Probabilmente si sta riferendo al messaggio di Emily. Beh, a volte Emily scrive proprio male, soprattutto quando è di fretta. Certi messaggi sembrano scritti in arabo.
« Sì, e quindi? È umano sbagliare, ma c'è di peggio, fidati. » rispondo, guardando con occhi vuoti la distesa azzurra davanti a me.
« E cosa? » mi guarda di sottecchi.
« Le persone che non sanno vivere, hai presente? » rispondo e mi giro verso di lui.
« Io ne sono l'esempio. » dalla mia bocca esce una risata ironica. « Sono stanca di essere quella brava in tutto, quella che non sbaglia mai, quella che deve sembrare perfetta agli occhi di tutti. In realtà, a volte penso all'ultima volta in cui mi sono goduta davvero la vita, senza preoccupazioni e senza delusioni. » mi alzo in fretta e mi incammino verso il marciapiede. Ma che diavolo mi è passato per la testa, sfogarmi con uno sconosciuto?
Si alza anche lui e, quando arrivo alla panchina dove ci eravamo seduti prima, incomincia a ridere, una risata forzata, sarcastica. Lo guardo perplessa e, inevitabilmente, mi domando se si sia fumato qualcosa. Mi allontano leggermente e prende parola lui.
« Hai presente quando tutto va esattamente come dovrebbe andare? »
Giro la testa di lato e sospiro. Visto le ultime cose successe, direi proprio di no.
« Non ho presente, mi dispiace. » lo guardo dritto negli occhi e lui mi risponde con un sorriso.
Continuo a parlare, senza distogliere lo sguardo: « Non l'ho mai avuto presente in realtà, sono la regina delle sfighe. »
Trevor si avvicina e mette la mano sulla mia spalla. Lo guardo male. « Ma nemmeno io, sai? » dice.
Lo fisso confusa e incredula, dopodiché distolgo lo sguardo e tiro fuori dalla borsa la bottiglietta d'acqua. Mando giù un sorso, mentre lui è intento a guardare le macchine che passano per strada strada.
Poso la bottiglietta nella borsa e corrugo la fronte. « Mi hai appena chiesto se..» non finisco la frase, che lui mi interrompe.
« Infatti era una domanda. Il fatto che io ti abbia fatto una semplice domanda non significa che io sia il re delle gioie. Si estingueranno gli esseri umani prima che io abbia una gioia, fidati. » mi sorride, e poi alza una mano, salutandomi. Lo guardo allontanarsi, e per la prima volta, in qualche modo, mi sento compresa. Questo sconosciuto probabilmente ha un macigno sul cuore. O, per lo meno, è l'impressione che mi ha dato di lui.
Mi incammino verso casa e, mentre cerco di rispondere ad Emily, vado a sbattere contro una persona e cado a terra. Prego tutti i santi che il mio telefono sia salvo, ma quando alzo lo sguardo verso la persona davanti a me, per poco non mi viene un colpo al cuore.
« Vedo che alla fine non hai cambiato hobby, stalker. » dico ironicamente e mi tende la mano, per farmi alzare. Gliela stringo e mi tiro su, mentre lui mi sorride in modo malizioso.
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