Capitolo LXXXII - Probabilità
Questione di probabilità.
Si riduceva tutto essenzialmente a quello.
Quante volte ci siamo sentiti dire: "Ma figurati! C'è una possibilità su un milione!"?
Voi che fareste? Una probabilità negativa cosi bassa invoglia la scommessa. Su questo si basa il gioco d'azzardo, su questo si basa la vita.
Ma è proprio nell'istante stesso in cui ti accorgi che tra miliardi e miliardi di vie alternative la tua vita ha imboccato tutti i bivi sbagliati, allora ti accorgi, quando è troppo tardi, che quel "uno su un milione" è ormai diventato uno su uno.
E rimani lì, cercando di capire cosa di diverso avresti potuto fare, da quali segnali avresti potuto capire. E più ci pensi, e più ogni recente passato ti sembra sbagliato, o giusto se si prende in considerazione il punto di vista del dolore.
Ironico. Molto ironico.
Era tutto lì nella sua mano. Il mezzo, l'arma con cui l'ironico destino era riuscito a frantumare il sottile strato che divide il sogno dalla realtà, la bugia dalla verità.
Voi dove preferireste vivere? In una gabbia dorata oppure in uno sconfinato nulla? Per quanto assurdo Sofia avrebbe preferito la prima.
Rumore di vetri infranti e cocci a terra. Tagliarsi i piedi su quei pezzi di cuore affilati era solo il prendere atto di un qualcosa di ormai già accaduto.
Ed eccolo lì. Ancora lui. Il senno di poi a prendersi gioco della nostra ignoranza. A sbeffeggiarci per la nostra impotenza.
Quante fasi si attraversano per un dolore? Quattro, cinque? Negazione, rabbia, contrattazione?
No! Solo una. La sofferenza.
Sofia poteva leggere quel messaggio tutte le volte che desiderava. Avrebbe potuto fare una gigantografia di esso ed appenderlo in camera. Avrebbe potuto scervellarsi nei meandri dei possibili significati di quelle tre frasi. Ma sapeva già che il suo cuore avrebbe solo continuato a sbattere contro lo stesso medesimo muro, lasciandoci appeso un brandello di sé ad ogni schianto.
Alex tornava al tavolo sorridente, ignaro e conscio al contempo. Ma Sofia non vedeva più un sorriso.
Quanto tempo ci vuole per distruggere un amore? In questo caso dipende da quanto sei veloce a leggere. In questo caso un misero infinito secondo.
<< Allora? Usciamo da questa gabbia i matti? >> chiese Alex.
Non un accenno minimo di tensione o colpa. Era sempre stato il solito, perfetto Alex. Anzi.
<< Sai una cosa? Mi fai schifo! >> urlò Sofia lanciando il telefono sul tavolo.
I clienti con il boccone in bocca si voltarono attirati dallo schianto e dal coperchio posteriore del cellulare volare via.
Un istante. Uno sguardo. Una lacrima.
Il volto di Alex attonito in un'espressione sconvolta.
La pesante attenzione di tutti rivolta su di lei.
Voleva scappare.
Devo andarmene di qui!
La porta d'ingresso le appariva lontana come in uno di quei sogni in cui non si raggiunge mai la metà.
Le gambe paralizzate, fuse sul posto come fossero metallo.
Un singhiozzo, mentre la gola le si stringeva di sofferenza. Fu la spinta.
Uscì trafelata come un rapinatore in cerca di un nascondiglio.
A destra Sofia!
Il bus cinquanta svoltò l'angolo a due isolati di distanza.
Il passo svelto per seminare il dolore. Davvero troppo veloce per lei però.
Il semaforo rosso per i pedoni. La vista annebbiata dalle lacrime.
<< Sofia! Non è come pensi! >> urlò trafelato Alex uscendo dal locale.
In fuga da una dolorosa verità. Era sempre più vicino. Non voleva spiegazioni solo solitudine.
Si fece largo tra la folla. Le strisce pedonali di fronte a lei. Il bus ad un isolato. Aveva già inserito la freccia. Non c'era tempo di attendere il verde.
Un passo.
<< Sofia! Attenta! >>
Stridio di freni. La propria immagine riflessa nel parabrezza. Vetri infranti prima che il dolore raggiungesse il cervello. Sentire il proprio corpo staccarsi da terra. Negli occhi il mondo come un vortice indistinto di colori.
Poi il buio.
© G.
Angolo dell'autore:
Commentate, se vi va, consigliandomi come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!
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