Capitolo LXXVI - Tempo
Era passato tanto di quel tempo.
Troppo.
Sarebbe dovuta tornare prima. Forse chiamare di più, più spesso, per più tempo.
L'imperscrutabilità della vita. E' questo in definitiva che ti frega. Il famoso "senno di poi" è solo l'arma beffarda del passato.
E poi ci si ritrova sempre nel medesimo stallo. "Se avessi fatto...", "Se avessi detto...".
Soliti pensieri per solite dinamiche.
Sofia non era la prima, e non sarebbe certamente stata l'ultima, purtroppo.
Esistono dei bivi invisibili. Delle scelte da compiere che solo le conseguenze future sveleranno in un punto ben definito del passato. Cosa fare dopo? Piangere. Piangere sul proverbiale latte versato. Piangere perché una macchina del tempo non esiste ancora, o non esisterà mai, ed il passato rimane rinchiuso in una vetrina con uno spesso ed infrangibile vetro da cui osservare e sui cui battere inutilmente i pugni fino a sanguinare.
Ma forse tutto accade per una ragione. Forse.
Ci illudiamo o speriamo sia così. Speriamo, masochisticamente, di essere pedine nelle mani di un'entità superiore, qualcuno con una visione totale dello spazio tempo. Speriamo in definitiva che il dolore di oggi sia, da qualche parte del mondo, la gioia di qualcuno, incrociando le dita sia la nostra.
Ma ciò che rimane a noi non è altro che una ferita che, se siamo fortunati, ci ricorderà sempre una dura ed amara lezione.
Il vento si incanalava, fischiando, lungo le strette vie del paese natale di Sofia, seguendo il profilo delle piccole case.
Prese posto in prima fila, lì dove nessuno spererebbe mai di sedere.
Era stato indolore, almeno a sentire la madre ed i paramedici accorsi sul posto due giorni prima. Ma probabilmente mentivano entrambi.
Nel sonno, dissero. Ancora bugie.
Così com'era sempre stato, discreto e silenzioso, il padre se ne andò stroncato nella notte da una patologia congenita al cuore. Una bomba ad orologeria, praticamente. Fino all'ultimo non aveva mai dato segni di sofferenza o debolezza. Una vita attiva e spensierata fino all'ultimo respiro. Da metterci la firma, come si dice.
Ma Sofia non ci riusciva proprio. Non voleva perdonarsi. Malediceva il suo passato che l'aveva assorbita a tal punto da dimenticarsi di tutto. Perfino della famiglia.
Barattare così le proprie origini per le passioni. Già perché in cuor suo, sapeva o temeva, che quelle esperienze erano solo prodromi del futuro, non esso stesso.
E la prima lacrima cadde. A breve molte altre l'avrebbero seguita.
La bara entrò in chiesa portata a spalla dai suoi cugini e dallo zio. Un coro di singhiozzi accompagnò il feretro.
Si era riunito tutto il paese per quella triste occasione. C'erano proprio tutti dai vicini di casa al sindaco. Anche i suoi vecchi compagni di scuola erano accorsi, ma non fu piacevole rivederli in quell'occasione.
La cerimonia iniziò con un canto sostenuto dall'organo.
I parroco si dilungò sulle sue qualità terrene, sull'importanza di restare vicino alla famiglia, della certezza che, ovunque egli fosse, li stesse osservando e proteggendo. Un classico insomma.
Ma per quante parole si potessero spendere, nulla sollevava Sofia dal granitico senso di colpa che le pesava sulla coscienza.
Quando, finita la cerimonia, la salma prese la via dell'uscita la lucidità di Sofia vacillò costringendola a sedersi per non cadere a terra.
Sperava fosse terminato quel supplizio. Stringere mani a semisconosciuti non era certo nelle sue prime intenzioni ma fu costretta dall'etichetta ad ascoltare le false condoglianze e le dovute rassicurazioni di vicinanza.
Quasi in processione molti dei presenti si spostarono al cimitero per la sepoltura.
Nascosta dietro ampi occhiali scuri la madre aveva terminato le lacrime già il giorno precedente. Ciò che riusciva a fare era solo continuare a mordersi il labbro inferiore, torturandolo per la tensione. Aggrappata a sua figlia insieme si diressero alla tomba.
La lapide di famiglia era molto modesta: riposta a terra, la lastra di marmo riportava il cognome di famiglia con lettere di bronzo. La corona di fiori del funerale la incorniciava.
<< Qualcuno vuole dire qualcosa? >> chiede il parroco.
La madre fece cenno a Sofia di accompagnarla vicino alla bara.
<< Voi tutti conoscevate mio marito. Era una persona buona e gentile. Egli era la spalla su cui aggrapparmi nel momento del bisogno. Per quasi cinquant'anni lui è stato il mondo che non girava se non era accanto a me. Fino all'ultimo giorno non ha smesso una sola volta di dirmi "ti amo" quando usciva di casa. Anche da giovani non voleva mai riagganciare il telefono se prima non mi dimostrava il suo amore e, in caso di dimenticanza, mi chiamava nuovamente solo per ripeterlo. È stato un padre favoloso, un vero eroe. Abbiamo superato momenti difficili solamente confidando sul suo incrollabile ottimismo che gli faceva dire: "Finché ci saremo l'uno per l'altra nessuna caduta sarà mai dolorosa perché io sarò accanto a te a sollevarti e proteggerti!". Questo era lui. Questo sarà sempre per me. >>
Scoppiò a piangere e con lei tutti i presenti. Era l'amore che non smetteva di esistere sopravvivendo alla morte. Era ciò che ognuno di noi cerca.
Lentamente la bara venne calata all'interno della tomba e il pesante lastrone di marmo riposizionato sopra di essa.
Nuovo giro di condoglianze ed infine, con calma, i presenti defluirono, intimoriti dal cielo sempre più plumbeo.
<< Mamma, tu va a casa! Ti accompagna lo zio! Io rimarrei un pochino qui!>>
<< Sicura? Sta per venire a piovere! >>
<< Non preoccuparti, faccio presto! >>
La madre si allontanò salendo in macchina.
Aveva qualcosa da dire a suo padre un'ultima volta.
Si inginocchiò.
<< Grazie papà! >> iniziò osservando le prime gocce di pioggia depositarsi sui fiori appena lasciati. << Grazie papà di esserci stato sempre per me. A volte abbiamo discusso, ci siamo scontrati. Ma sei stato un padre modello. Tu sei l'asticella da superare, mi hai insegnato cosa significa essere amate. Perdonami se non ti ho ricambiato, se da sciocca bambina sono scappata. Ma io sono sempre scappata da questo posto, mai da te.>>
La pioggia ora era insistente e si mescolava alle sapide lacrime. Le bagnava i capelli quasi arrivando alla cute.
<< Ciao papà. Spero un giorno di trovare un ragazzo con metà dei tuoi pregi ed il doppio dei tuoi difetti perché allora sarà il miglior compagno di vita per me ed una persona che sono certa apprezzerai. Ciao papà. >>
Le gocce di pioggia le colavano lungo il viso scendendo nel vestito.
Improvvisamente la pioggia smise di colpirla.
Un ombrello aperto sopra di lei. Il picchiettio della pioggia su esso.
Infine una voce.
<< Sembra che la pioggia non ci abbandoni mai! >>
Possibile?
Nella pozzanghera accanto a lei era riflessa una alta figura.
Si voltò. Di nuovo quegli occhi.
<< Ciao Sofia! >>
<< Leonardo! >>
© G.
Angolo dell'autore:
Commentate, se vi va, consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!
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