pranzo di famiglia
Tavola imbandita, soverchie pietanze
E consumiamo il silenzio
Abbandonati a noi stessi, insieme seduti
Agli assidui spettri di livore urlanti,
Intrappolati nelle pareti collezioniste di lividi,
Ma siam perduti nelle fuggiasche trame della tovaglia
E brame di disgregazione.
A gran bocconi, senza fiato,
Sempre taciturni sui nostri reciproci odi
Aggrappandoci con i denti
A sostanze senz'anima
Consumiamoci inani, ingoiamo parole,
Spine tra lacrime e saliva,
I feroci sguardi dell'incomunicabilità,
L'assordante tintinnio infine delle stoviglie
Come punizioni figliole di tale disarmonia.
Ammutolite le apparenze di perfezione
Rinnego il tozzo troppo amaro
Ci sputo il sangue sulla finta porcellana.
Sagome: -non un chicco d'affezione
possono condividere i nostri becchi-
Parole che nel loro sprezzante silenzio
Dolgono come ematomi di carbone.
Voglio solo dimenticare il loro volti
E strapparmi di dosso questo viso, questo spirito,
Sparire nella nebbia di siffatte notti
Come una stella che, mai accorta, si spegne
Nel manto della dimenticanza.
Si trascina lento e disartrico anch'oggi
Un dì come tant'altri
Mentre nel cielo esplode la festa.
Qui invece albeggia la quiete dopo la tempesta,
Il muto clamore del risentimento
Dopo tanto sparso astio.
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