Miro il cielo, così atro e nefasto,
Nel giorno più buio dell'anno.
Dietro di me si ritirano ombre
Che già dell'altre riemergono
Dalle catacombe sospese nell'aria
E quel mero frangente d'assenza
Non fu fatto di luce ma stridente
Scialbore in pianure annebbiate.
Il giorno più buio dell'anno
È mia cuna da tutt'una intera eternità
Che cupa m'accompagna con i peccati
Di queste blasfeme carni
Ed è unica realtà che mai
Io abbia davvero conosciuto.
E da insanabile peccatrice
Sempre mi venne a noia
Il dover vedere quei rari frangenti
Di esangue chiarore del dì,
Quell'algido susseguirsi di stagioni
Che altro non è che un rotolarsi
Tra umane e divine sofferenze,
Un glaciale strusciarsi su ferite morte
E anime piangenti, mai rimarginate;
Che allora altro non resta
Se non stancamente cavar dal moto
Tali rei e tristi occhi, che il calore
Della pupilla schiacciata
Sia agognata pace dagli affanni
E il giorno più buio dell'anno
Sarà davvero eterno, ombre
O mie care e penitenti ombre,
A voi affido tutta me stessa
E il mio vizioso malpensare
Tra mortali spire d'inchiostro
E passati rinnegati nel fango.
*
Finché nella mia cecità
Vidi comunque la luce giungere
Splendente come l'etere d'un cor celestiale,
Una pallida alba nella notte dell'infinità
E un angelo che dal suo alto cadere
Mi sussurrò: «I tuoi peccati
Non furono mai colpa tua»
Ma tu sei l'angelo caduto,
Vieni nella voragine che
Furono gli occhi miei!
E prega con me l'avvento del giudizio universale!
In quest'eclittica di ossequiosi sacrilegi
Precipita e abbracciami, conquistami,
Fallisci in cielo, ma non nel colmarmi il vuoto;
Sono la santa che di irriverente sangue
S'è macchiata in viso
Per amor del profano.
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