Capitolo IV


Capitolo IV

ՑՑՑ


                    «Jo, va tutto bene?»

Johanna alza gli occhi dalla lunga lista di libri che avrebbe già dovuto iniziare a catalogare un'ora fa, e si sorprende che, a farle quella domanda, sia la signora Briggs. Non è cosa di tutti i giorni vederla in piedi, ma soprattutto sveglia, nelle ore di lavoro – a meno del raro caso in cui i clienti vanno a pagare e lì, miracolosamente, sembra più che arzilla.

È evidente che, il suo stato d'animo nero come la pece, sia percepibile così tanto da destare persino l'attenzione della bibliotecaria.

Abbozza un sorriso e alza le spalle. «Sì. Ho dormito poco.»

La signora Briggs fa schioccare la lingua in un suono dispiaciuto. «Oh, tesoro. Sì vede. Hai due occhiaie... e gli occhi lucidi! Non avrai mica pianto?»

Johanna arriccia le labbra e se c'è una cosa che non vuole fare è mentire a quella donna. È come una nonna, per lei e, spezzarle il cuore, è l'ultima cosa che vuole. Così risponde con un diniego della testa che, però, risulta inutile non appena una seconda figura si affianca a lei con la sua stessa lista tra le mani, ma probabilmente già a metà del lavoro.

«Sì, ha pianto, è per quel tizio. Può dirle anche lei che è troppo presto per prenderla così male e di aspettare almeno una conferma da parte sua che non vuole più vederla?» È Samuel ad aver parlato, come sempre la voce inopportuna e saputella della verità e, sebbene Johanna sappia che lo fa per il suo bene, gli scocca un'occhiata glaciale a cui lui risponde con un sorrisetto soddisfatto.

La signora Briggs, invece, alza le sopracciglia tra il preoccupato e il curioso.

«Davvero? Mi dispiace tanto, Jo. Eppure sembra un caro ragazzo!»

«Il fatto che non creda che io vedo i morti non significa che non sia un bravo ragazzo. Dopotutto non è come raccontare in giro che giochi a golf.»

«O a D&D, come fa lui! Si finge un personaggio di fantasia e non riesce a credere al fatto che tu vedi gli spiriti?», chiede Samuel e stavolta è la signora Briggs a lanciargli un'occhiata severa, e lui sembra mettersi al suo posto, mimando uno «Scusate», con le labbra.

«Ti ha detto che non ci crede?», chiede la bibliotecaria, e Johanna sospira, affranta.

«Ha detto che ha bisogno di tempo per metabolizzare una cosa come questa. Non succede forse ogni volta che la gente reagisce così? Non mi stupirei se decidesse di non farsi più vivo e di sparire. Va sempre così.»

«Non è detto, no?», continua la donna, e le sistema una ciocca di capelli che le è caduto davanti al viso. E Johanna si rende conto di essersi trascurata, questa mattina, di non aver trattato il suo corpo come un tempo, come dice la signora Briggs. Non ha nemmeno indossato uno di quei suoi famosi completi vintage e le Mary Jane che gli hanno regalato i signori Briggs per il compleanno da cui non riesce a separarsi, per quanto le ama. Ha messo un paio di jeans, una camicetta bianca e un paio di Stan Smith che non usava dai tempi dell'università. Ha spento un po' la bibliotecaria e ha acceso la ragazza che soffre per amore, e non le piace per niente che sia successo. Non le piace che un sentimento possa cambiare così tanto le cose in un tempo così breve. Eppure non ha potuto fare altrimenti.

«Ci spero, che varchi quella soglia e mi dica che ci ha pensato ma... dubito che accadrà e, probabilmente, non accadrà oggi. Quindi forse dovrei semplicemente smettere di parlarne, no?»

La signora Briggs sorride e le prende tra le mani il foglio con la lista dei libri da sistemare, lo piega e se lo infila in tasca.

«Per oggi fa' quello che ti senti, la catalogazione del giorno è quasi finita e sono sicura che Sam saprà concludere da solo tutto il lavoro», dice, e il diretto interessato la guarda con la bocca spalancata dallo stupore e dalla delusione.

«Cosa? Non dovrebbe distrarsi e lavorare anche lei?»

«Non dovresti ricambiare quello che lei ha fatto con te quando quel criminale ti ha lasciato per lo stesso motivo?», chiede ancora la donna, e Samuel boccheggia qualche frase senza senso prima di mettere il broncio.

«Touché», dice, ed è inevitabile lasciar andare una risata di fronte a quel breve momento spensierato, che non appena si ferma, lascia spazio alla serietà che cade giù come un sipario sul viso della signora Briggs e loro sanno benissimo che, quando succede, è il momento di fermare i giochi.

«Ci sono novità dal retro?», chiede, e Johanna guarda Samuel, sicuramente in grado di sostenere quella conversazione meglio di come potrebbe fare lei nelle sue attuali condizioni.

«Nulla di nuovo. Ha tentato di spostare il lenzuolo ma lo abbiamo benedetto e lo abbiamo richiuso. Sembra che più di così non ci riesca.»

«Molto bene. Ha cercato di convincervi a fare qualcosa?»

«No», interviene Johanna, e Sam conferma con un diniego della testa. «Ha smesso da un po'. Crede che si sia indebolito?»

«Morgen non è mai indebolito. È in gabbia, sigillato nel suo mondo, ma dall'altra parte non è debole. Tenterà sempre di uscire e di compiere il suo disegno. Siamo noi ad essere più forti e a non permetterglielo», risponde la signora Briggs, dandole un buffetto sul naso e sorridendo.

Johanna si sente sempre rassicurata quando le viene detto che loro, da questa parte dello specchio, sono più forti, hanno più armi per contrastarlo – anzi, per non permettergli di venire qui. Lui ci prova ogni volta, e ci proverà per sempre, ma lei e Samuel sono lì per quello, e non lasceranno che la sua follia si compia, che distrugga ogni cosa solo per la sua sete di vendetta nei confronti dell'umanità che lo tiene prigioniero da milioni di anni.

«Bene», esordisce poi la signora Briggs, battendo i palmi delle mani sulle cosce. «È ora di tornare a dormire, o non resterà così mansueto troppo a lungo», conclude e, rivolgendo loro un ultimo sorriso, se ne ritorna alla sua postazione; non appena appoggia la testa alla sedia, crolla in un sonno profondo, per il quale Samuel e Johanna l'hanno sempre presa in giro, ma che è fondamentale per la riuscita della loro missione di bloccare il male nel suo mondo.

«Mi chiedo come faccia ad accettare tutto questo. Come fa a non lasciar stare tutto per vivere una vita normale?», chiede Johanna, poi, continuando a guardare la donna.

Samuel le posa una mano sulla spalla, poi sospira. «Ognuno ha le sue croci, Jo. Noi abbiamo la nostra e lei la sua. Se questo è quello che è stato deciso per noi, dobbiamo farlo, no? Me lo hai detto tu, quando volevo mollare, ricordi?»

«Ricordo, certo che ricordo, ma è così difficile credere che questo sarà il nostro destino per tutta la vita e che, pur sforzandoci di credere che sia possibile, niente sarà mai normale

Sam sbuffa via una risata delle sue, e la mano sulla spalla diventa una pacca un po' troppo forte dietro la schiena, che la fa voltare verso di lui mugugnando un ahia.

«Le cose normali sono noiose! Siamo i guardiani del male! L'umanità è in salvo grazie a noi!»

«L'umanità non sa nemmeno che esistiamo!»

Samuel alza le spalle. «Meglio così, la gente non mi piace», risponde e, senza aggiungere altro, si allontana per finire il suo lavoro e la lascia sola con i suoi pensieri.

Nemmeno a lei piace la gente; non è mai riuscita a farsi molti amici, nemmeno in università. Ormai è abituata, ed è felice per ciò che ha ma, forse, è per questo che l'idea di James che sparisce dalla sua vita le fa così male: perché quando qualcuno gli piace, gli piace davvero e non è in grado di accettare l'abbandono.

Si sente come se questo fosse in qualche modo l'unico modo che ha per vivere la vita e per provare qualcosa: soffrire.

...

Quando scoccano le sei del pomeriggio Johanna sa che c'è un compito che la aspetta e per cui la signora Briggs non può concederle una pausa. Non può perché è troppo importante, e lo sa che è così.

A quell'ora, mentre la luce del tramonto comincia a bagnare di rosso le due aree della biblioteca, le persone diminuiscono fino a diventare sempre meno, e poi lasciano spazio al deserto. Sam le si avvicina e non dice niente, ormai non serve più. Johanna gli fa cenno che è pronta e, prendendo dal un cassetto della scrivania una boccetta di acqua santa, si alza in piedi e lo affianca per entrare nella stanza dello specchio. Non appena varcano la soglia e si chiudono la porta alle spalle, il silenzio piomba all'improvviso ed è fastidioso quasi quanto il troppo rumore. È qualcosa che le darà sempre noia, non riuscirà mai ad abituarsi a quel cambiamento così repentino. Il lenzuolo si muove sinuoso, come al solito, e il pulviscolo balla allo stesso ritmo tra i fasci di luce che entrano dalla piccola finestra in fondo alla stanza. Pian piano che si avvicinano un suono bianco si fa sempre più forte e, quasi, è un sollievo dopo tutto quel silenzio.

«Ci ha provato ancora», sentenzia Samuel, e sospira rassegnato mentre pizzica tra le dita un lembo del lenzuolo e lo sposta verso sinistra per coprire quel piccolo margine rimasto scoperto: pochi millimetri, non abbastanza per permettere a Morgen di uscire, ma è loro dovere prevenire ogni sorta di possibilità.

«E noi lo abbiamo fermato ancora», risponde Johanna e, quasi come se fossero un'unica entità, entrambi si chinano davanti allo specchio e stringono le mani tra di loro, iniziando a pregare.

«Padre nostro, che sei nei cieli», sussurrano, e proseguono, ripetendo più volte le stesse parole, con tono piatto e quasi cantilenante.

È tutto così macchinoso, tutto così uguale, tutto così noioso. È la prima volta che pensa una cosa del genere ma, a dire la verità, forse lo ha sempre pensato che quel rituale sia necessario ma allo stesso modo un infinito deja-vu che dovrà recitare per tutta la vita.

Prova fastidio, e forse è dovuto al dolore, alla tristezza, a quel senso di pura sconfitta che sente dentro al cuore, ma vorrebbe smettere di pregare e andare via.

«Puoi farlo»

No che non posso! Pensa, e continua a pregare, ma c'è ancora quel senso di soffocamento che le sta salendo in gola; si sente come se stesse annegando in una pozzanghera di pensieri non così profonda ma che oggi, solo oggi, non sa gestire.

«Puoi farlo, e vuoi farlo! E se non pensi di poterlo fare tu, posso farlo io per te!»

Johanna apre gli occhi di scatto, ed è in quel momento che si rende conto che sta cedendo, perché la voce che ha sentito non appartiene a Samuel e non è nemmeno quella della sua coscienza, ma sa di averla già sentita tempo fa, sempre davanti a quello specchio, e di aver dovuto combattere contro le proprie volontà e la propria fede.

Sì, perché quella voce appartiene a Morgen, e anche se sono passati anni, non può dimenticarla. È rimasta impressa nella sua testa e non uscirà mai più.

«Jo?», chiede Samuel, ad un tratto e lei non riesce nemmeno a rispondere. Si porta una mano al collo e si blocca. «Jo, la preghiera.»

«Non c'è bisogno che tu finisca di pregare. Mi avete fermato di nuovo. E lo farete ancora, e ancora, e ancora, per tutta la vita. Un'intera esistenza basata su questo. È quello che vuoi, Jo?»

No, non è quello che voglio, ma è quello che devo fare! Ho promesso di proteggere l'umanità e lo farò fino alla fine dei miei giorni, anche se non ho voglia, anche se non me la sento, anche se non avessi altri obiettivi che questo!

«Non dire sciocchezze! Tu desideri una vita normale, come quella di ogni altra persona – ogni ragazza della tua età ha altre ambizioni e tu... le tue non sono forse sfumate via quel giorno in cui hai deciso di giurare lealtà alla Congrega dei Sette?»

«Jo? Jo, mi senti?» La voce di Samuel è lontana, e sente la sua mano premere contro la sua spalla, ma la percepisce ovattata, quasi trasparente, come se fosse un fantasma.

Non sempre quello che desideriamo è qualcosa che possiamo ottenere! Tu ne sei l'esempio!

Cerca di ribattere, di rimandarlo indietro, di dimostrargli che lei è forte e che i suoi tentativi di incantarla con le sue bugie non hanno alcun effetto ma, dentro di sé, Jo sa che sta dicendo la verità e che la sta colpendo dove è più esposta, soprattutto oggi.

LO sa, le delusioni rendono fragili.

«Oh, fosse questo il mio problema, mia cara! Prima o poi tu morirai, e questo non può impedirlo nessuno – o meglio, io potrei, ma so che non accetteresti mai una proposta come questa. Ma un giorno succederà, e io sarò libero, perché i guardiani sono destinati a sparire, ne è la prova il fatto che ora siete in due e, nemmeno cinquant'anni fa, erano in settanta. Qualcuno lassù ha deciso che il vostro tempo è giunto al termine e io, prima o poi, dovrò tornare a combattere la mia guerra su questa terra. Accadrà, lo sai, stai solo allontanando quel momento. Che senso ha sacrificare la tua vita interamente per questo?»

«Jo! Jo, mi senti? Ti prego, rispondi!», urla Samuel, ma lei non è più lì, è in uno spazio buio dietro ai suoi occhi, senza luce, senza speranza e solo la voce di Morgen che sembra arrivare da ogni angolo della stanza.

Finché potrò lo farò. Non ti voglio ascoltare più, rimandami indietro!

«Puoi tornare quando vuoi, nessuno ti ha portato qui, ci sei venuta da sola.»

Perché continui a tormentarmi, allora, se sai che non voglio farlo?

«Perché so che non vuoi nemmeno che tutto resti così, vero? Quel ragazzo ti piace, e ti piace così tanto... eppure è scappato via come tutti gli altri. Quello che sei e quello che fai ti allontana da tutto e non puoi farci niente, nemmeno fingere di essere normale, come tutti gli altri. Puoi tentare quanto voi di costruirti una vita sperando che prima o poi arrivi qualcuno che accetti l'inferno che sei costretta a subire, ma non succederà. Lo sapevi e lo sai ancora, ma James... oh, James, lui sì che è speciale. Lui si che sembrava quello giusto, vero?»

Smettila!

«Eppure c'è un modo di farlo tornare da te. Puoi chiedermelo, se vuoi! Non succederebbe nulla, rimarrebbe Samuel a proteggere il mondo e tu saresti libera! Chiedimelo, Jo!»

Non lo farò, lo sai che non lo farò! Non posso, e non voglio!

«Tu vuoi. Vuoi vivere questa storia con James e godertela fino in fondo, ma finché non ti libererai del dono, non potrai coronare questo sogno. Io posso liberarti e posso farlo tornare da te, e lui non ricorderà niente.»

Smettila!

«Ti sto dando l'opportunità di vivere a pieno la tua vita! La tua unica vita; lo sai, vero, che non ne hai altre a disposizione?»

Ognuno di noi nasce con un compito ben preciso, e il mio è quello di tenerti prigioniero qui dentro finché avrò fiato!

Lo pensa con intensità, con convinzione, eppure sente dentro una piccola fiamma solleticarle il cuore. Deve e vuole dire di no, ma la debolezza c'è e non può negarla, e finché sarà anche solo minimamente viva dentro di sé, Morgen potrà aggrapparsi ad essa ogni volta che vorrà.

Oppure il tuo compito è vivere accanto alla persona che ami seguendo le tue regole e i tuoi desideri. Non è forse questo che vuoi, Janine?

Rimane muta nel sentire quel soprannome e, come una bambina a cui è stato privato il calore di un abbraccio in un momento di debolezza, crolla. Si piega sulle ginocchia, per terra e sbatte i pugni nel vuoto nero del luogo in cui si trova – forse è la forma astratta della sua coscienza, l'unico posto dove Morgen riesce ad arrivare, seguendo le strade del dolore come un serpente strisciante e letale. Stringe gli occhi e non vuole più pensare.

Samuel continua a chiamarla lì fuori, forse la sta scuotendo, ma non ne è certa.

Vuole solo tornare a casa e che qualcuno la salvi.

«A volte non serve sacrificarsi per una battaglia che appartiene a tutti ma che nessun altro sta combattendo. A volte è giusto chiedersi cosa meritiamo. Tu cosa meriti?»

Smettila. Riportami indietro.

«Ti ho detto che puoi farlo da sola; se sei qui è perché dentro di te vuoi che io lo riporti da te.»

No! Non è così, smettila!

«Non tornerà da te, a meno che non sia io a renderlo possibile! Lo sai che è così, ma sei troppo stupida per ammetterlo, e incapace di pensare con la tua testa senza che quell'arpia ti faccia il lavaggio del cervello, usandoti come capro espiatorio per il suo tornaconto. Non sei pronta ad abbracciare la vita che ti spetta, Johanna, ma un giorno lo sarai! Fino a quel momento ricordati che io ti vedo sempre, in ogni momento, e non potrai liberarti di me finché non tornerai qui usando la tua testa e scegliendo di fare la cosa giusta!»

Morgen non aspetta nemmeno una risposta, e Johanna si sente strattonare via da quel posto buio e, senza fiato, spalanca gli occhi e non ha più fiato nei polmoni. È stesa a terra, Samuel la sta scuotendo e, quando i loro occhi si incrociano, può vedere nello sguardo dell'altro il terrore più profondo.

«Jo», la chiama solo Samuel, e lei ha il fiato corto. Si sente come se avesse corso una maratona di duecento chilometri senza mai fermarsi. «Stai bene?»

Si alza a sedere a terra, con una mano tremante a reggersi la tempia e, con l'altra, cerca il battito del cuore in mezzo al petto. È così veloce che sembra in procinto di scoppiare da un momento all'altro.

Non sa se vuole condividere ciò che è successo, non sa se vuole farlo fino in fondo ma non può tenersi dentro quel segreto, soprattutto con Samuel. Sente le lacrime agli occhi e, quando cominciano a scendere lungo le guance, finalmente sente il respiro nei polmoni e il battito nel petto cominciare a regolarizzarsi.

«Era lui, era nella mia testa. Lo è ancora. Ha detto che non mi libererò di lui, che mi seguirà ovunque andrò, finché non otterrà ciò che vuole!»

Sam boccheggia e, stringendole le spalle con più forza, arriccia prima le labbra tra loro – spariscono dal suo viso, poi tornano tremanti.

«Non capisco, Jo. Cos'è che vuole?»

Lei incatena gli occhi ai suoi, e vede il proprio riflesso restituito dalla ferma lucentezza delle sue pupille, e non è così stupita di vedere che non è sola in quell'immagine; che, dietro di lei, ci sono due occhi bianchi che la guardano e che sono lì a vegliare su di lei.

«Tutto. Lui vuole tutto.»

Fine Capitolo IV

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