- La scoperta ≈ Capitolo 1 -
Mi ero diretta verso il giardino, passando per il punto esatto dove papà aveva seminato delle rose e, subito dopo, Teodoro si era messo a scavare credendo che ci fosse un tesoro. Erano passati quasi cinque mesi da quando avevamo accolto in casa questo cucciolo di Borador.
«Già, cinque mesi. Passa davvero in fretta il tempo, vero Teo?» Domandai, accarezzandogli con una mano il testone mentre mi leccava l'altra. Le sue orecchie erano molto più simili a quelle di un Labrador nonostante fosse un incrocio con un Border Collie. Il suo manto era di un color cioccolata, con una linea bianca nella parte sottostante ed il pelo corto, gli occhi cerulei come i miei, un nasino più chiaro del manto e le zampe bianche. Essendo un cucciolo di otto mesi era già abbastanza alto e spesso.
Alzai lo sguardo al cielo, vidi una nuvola con le sembianze di un volto. «Il suo forse?» Mi balenò in testa, rispondendomi «Che sciocca!» e gettandomi all'indietro sul prato ancora umido, siccome la sera prima aveva piovuto. Continuavo ad ammirare quell'azzurro acceso sopra di me, sperando di non ricordare quel giorno. «Era una giornata come quella di ieri, sai?» Mi rivolsi a Teo che nel frattempo si era sdraiato vicino al mio polpaccio e mi stava guardando con un'espressione infelice. Chiusi gli occhi e mi tornò alla mente quel maledetto giorno. «Se solo avessi preso in tempo il treno, lei sarebbe ancora viva!» Pensai con rabbia, mentre stringevo nelle mani dei fili d'erba. Nella mia mente si stava creando una figura tra le macerie di un sentiero, era mia madre che stava cercando aiuto, non sentivo la sua voce ma era chiaro il suo labiale, urlava il mio nome.
«...Dea! Amedea!» Sentivo chiaro che qualcuno mi stava chiamando, spalancai gli occhi, mi alzai di scatto e volsi lo sguardo nel punto in cui Teo si era coricato. «Non c'è!» Pensai, andando immediatamente nel panico, dove poteva essere andato, mi ricordai di aver lasciato la porta finestra aperta e lui sicuramente ne aveva approfittato, come era sua abitudine, per fare qualche dispetto in casa. Non feci in tempo ad alzarmi che girandomi vidi dietro di me, seduta sulla panca bianca e con il viso appoggiato sulle mani, Luciana che mi fissava con un'espressione arrabbiata. Vicino a lei c'era Teo che scodinzolava felice. «Sono ormai ore che ti sto chiamando! Dove hai lasciato il cellulare?» Mi rimproverò. Si era presentata con indosso un abito lungo fino alle caviglie, una scollatura a V, spalline sottili e di colore rosso con motivi floreali bianchi. I suoi capelli che di solito erano a caschetto lungo color pece stavolta li aveva dato un effetto ondulato e per l' occasione si era fatta tagliare la frangetta. «Che ci fai ancora in pigiama? Vai subito a cambiarti!» Mi urlò in faccia.
Ci dirigemmo verso la porta finestra di casa mia, ero ancora un po' scossa dal sogno appena fatto, ma non volevo parlarne con Luciana, almeno non oggi che dovevamo prepararci per la comunione di suo cugino, Piero Cerretti. Questo cognome era molto conosciuto in zona, la sua famiglia possedeva il più grande vigneto di Sciacchetrà, il vino tipico delle Cinque Terre e apprezzato in tutto il mondo. Alla cerimonia erano stati invitati tutti i parenti ed io, una semplice Tartarini, mi sarei sentita un po' estranea.
Tornai alla realtà perché notai che, sul pavimento in legno della veranda, era caduto un vaso dal terrazzo di sopra, ultimamente c'erano forti venti, mi chinai per raccoglierlo guardando in alto per capire da dove poteva essersi staccato. Nel frattempo Teo, seguito da Luciana, si era avviato verso camera mia, salendo la scalinata di pietra interna della casa. Subito dopo sentii un urlo, così mi diressi anch'io al piano di sopra, arrivata davanti la mia stanza vidi Luciana con in mano un mio abito. «Non penserai davvero di metterti questa roba addosso oggi?» Mi disse con un tono minaccioso. «Dovevo immaginarmelo che non ti sarebbe piaciuto!» Le risposi, aggiungendo: «Ho solo quello, sai che non partecipo a molte cerimonie e di sicuro non mando mio padre a La Spezia in cerca di un abito che userò una volta.» La mia amica mi guardò sbuffando e posò il povero abito di color avorio nell'armadio, cercando tra i miei jeans appesi alla gruccia e un vestito adoperato più volte alle degustazioni in cui mio padre mi obbligata a far presenza. L'unica cosa che non sopportavo di lei era quando si dimostrava arrogante nei confronti miei e di Matilde perché preferivamo metterci qualcosa di più comodo rispetto a lei.
«Tua madre si vestiva sempre con dei capi d'abbigliamento sorprendenti, perché non cerchi tra i suoi?» Mi disse con un tono di superiorità, prendendo l' iniziativa e dirigendosi a passo spedito verso la camera dei miei genitori, poi si girò di scatto guardandomi ed esclamando: «Non li avrai buttati via?» Eccola lì aveva toccato l'unico tasto che non volevo tirare fuori. Parlare di lei mi generava una giostra di emozioni e non mi piaceva esserne in balia. «Non sono sicura che possano andarmi bene» Dissi con aria dispiaciuta mentre lei si buttava sul letto dei miei genitori ed io stavo varcando la soglia della camera. «Dai smettila! Non lamentarti sempre, ormai hai le stesse misure di tua madre...» si fermò per fare un risolino aggiungendo «Solo che tu hai meno seno!»
La guardai indispettita e mi misi a cercare nell'immenso armadio che era posizionato a lato destro del letto, aprendo vari cassetti e le due ante alla destra. Luciana si avvicinò a me intonando uno scocciato «Quindi? Ancora niente?» e girandomi verso di lei spiegai «Mi spiace, le ultime cose di mia madre devono essere state spostate da Carlo. Torniamo in camera mia, troverai qualcosa che possa andarmi bene.» Non avevo ancora finito di esporre la mia opinione che la mia amica mi stava trascinando fuori dalla camera.
Volsi lo sguardo alle scale della mansarda e le indicai il luogo dove potevano trovarsi le cose della mia genitrice. «Saliamo di sopra! Sono sicura che papà le abbia spostate poiché gli faceva male averle intorno. Ma stiamo solo per un breve periodo non vorrei ci trovasse a rovistare tra le cose di lei, arrabbiandosi.» Le spiegai brevemente, mentre mettevo un piede su di uno scalino. Lei fece altrettanto e affermò «Tanto siamo già in ritardo, meglio che concludiamo in fretta questa ricerca!»
Da quando una parte della dimora era crollata a causa dell'ultimo maltempo, essendo un casale molto vecchio, avevo un po' timore a salire nel sottotetto.
Arrivate in cima alle scale le prime cose che balzavano all'occhio erano le attrezzature di fotografia di Carola, mia madre, mentre le altre cose invece erano sistemate negli scatoloni di fianco ad una tela per dipingere che non avevo mai visto fino a quella circostanza. Guardando attorno ad essa sembrava nascondere un baule. Mi raggiunse Luciana ribadendo che in essa potevano esserci degli abiti e precisando, che dal vecchiume di quell'oggetto, erano sicuramente dei capi che non aveva usato da molto tempo, quindi potevano essere di quando era ragazza e calzarmi senza aggiunta di modifiche. Presi quel baule, notando una certa pesantezza, lo adagiai su di un tavolo da lavoro che pareva robusto, appena toccò il piano si aprì di scatto. Sembrava avesse capito le nostre intenzioni. Dalla fessura della cerniera si potevano scorgere un po' di lettere con francobolli ancora in lire e qualche foto, tra cui una che catturò la mia attenzione, la presi e raffigurava gli occhi di un uomo, cerulei come il mare ed identici ai miei. Cercando ancora tra quelle lettere, c'era una busta con sopra scritto il mio nome, guardai Luciana che mi spronò ad aprirla con premura, trovai un documento che sembrava somigliare ad un certificato ed una lettera con la grafia della mia mamma. Dopo una lettura veloce, rimasi con gli occhi spalancati mentre la mia amica si portava la mano alla bocca con un espressione attonita. Mi diede uno scossone, ma io ero immobile ormai concentrata su quelle parole:
Mia amata figlia, se stai leggendo questa lettera è perché non sono mai stata brava a parole come ben sai.
Ho deciso che per i tuoi venti anni avrei dovuto dirti la verità, stavo portando questo peso a sufficienza.
Quando abitavo a Riomaggiore frequentavo un ragazzo del posto, purtroppo la nostra storia finì prima di scoprire di aspettare un figlio. Non avercela con i nonni, fu una mia scelta di rifugiarmi a Manarola da zia Domelia. E lì conobbi Carlo, ignaro che fossi incinta, nascosi la gravidanza per un periodo in modo da comunicarlo una volta nata, in modo che lui pensasse fossi sua ma se ne accorse, e volle a tutti i costi aiutarmi a crescerti insieme.
Ormai avrai capito che Carlo non è tuo padre.
Perdonami se non ho avuto il coraggio di raccontartelo prima ma non sapevo come fare, avevo paura che mi avresti giudicata.
Se hai domande posso capirlo, in allegato troverai una foto dei suoi occhi che ho conservato, li hai identici a lui, sarò lieta di spiegarti più cose e dirti il nome di tuo padre al momento opportuno.
Mamma
Scoppiai in lacrime. E Luciana mi abbracciò.
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