Non c'è rosa senza spine
Quella fredda sera di dicembre ero stata trascinata in quel palazzetto da mia sorella, per assistere a una gara di ballo. Stavo sempre alla larga da tutto ciò che mi ricordava anche lontanamente lo sport, il rumore stridulo delle scarpe da ginnastica sul terreno da gioco, le smorfie e il sudore che imperlava la fronte degli sportivi durante uno sforzo, ma ero lì perché lei me l'aveva chiesto.
Avevo sempre vissuto male le ore di educazione fisica, perché non ero portata. Mi pareva davvero una perdita di tempo, quindi presentavo spesso false giustificazioni, inventando improbabili problemi di salute e assistevo alle lezioni seduta sugli spalti, immersa nella lettura.
Gli ultimi due anni di liceo furono un vero inferno, perché il mio nuovo professore non credeva alle mie bugie e interpretava il mio comportamento come una mancanza di rispetto. Mi diede il tormento fino al diploma, le poche volte che partecipavo agli allenamenti per lui non ero mai abbastanza veloce, forte e resistente e non perdeva occasione per ricordarmelo davanti a tutti. Non importava quanto mi impegnassi, per lui non era mai sufficiente. Uscivo da lì a testa bassa, ferita e umiliata.
A complicare le cose c'era il fatto che ero invaghita di lui da ben prima che diventasse il mio insegnante, perché era il mio vicino di casa, quindi presi davvero male le sue critiche ed entrai in un tunnel di delusioni senza fine.
Quella sera, non appena messo piedi lì dentro, fummo colpite in pieno dall'allegro vociare dei presenti, che già riempivano gli spalti. Mi guardai intorno, non c'era nulla che mi facesse sentire a mio agio in quel luogo. Nonostante ci fosse una ricca scenografia, inspiegabilmente gialla, volta a ricreare l'aspetto di una vera sala da ballo, dietro ai drappi si intravedevano i canestri da basket, le pertiche e alcuni enormi contenitori di materiale sportivo.
Era l'ambiente naturale di Adele, ex sportiva di discreto livello, ma anche ballerina di salsa. Musica, luci abbaglianti, lustrini, sudore e sforzo fisico erano il suo quotidiano. Io ero rigida e impacciata, musona e introversa o almeno così mi descrivevano tutti e avevo iniziato a crederci anche io, adeguandomi all'immagine che gli altri avevano di me.
Davvero non capivo cosa avesse spinto Adele, a pochi giorni dal suo infortunio al ginocchio, a quell'uscita in pieno inverno. Indossare cappotto, sciarpa, guanti, uscire di casa avventurandosi su marciapiedi ghiacciati, era un azzardo nel suo stato. Era costretta a un lungo riposo, ma non riusciva a stare lontano dalle piste da ballo.
Io amavo le serate solitarie, trascorse a casa, in compagnia di Pistache, il mio vecchio gatto siamese. Avevo rinunciato a una tazza di cioccolata calda e al mio plaid rattoppato, per esaudire il desiderio di mia sorella, ma non a uno dei miei vecchi classici dalle pagine ingiallite, che avevo fatto scivolare discretamente in borsa. Riuscivo a leggere in qualsiasi condizione, in piedi in metropolitana schiacciata tra le persone, camminando per strada per andare al lavoro, mentre cucinavo e persino mentre guardavo la televisione. Leggere seduta in un palazzetto dello sport, isolandomi dalla musica non sarebbe stato un problema, se mai la serata si fosse rivelata davvero noiosa.
Adele conosceva bene quel mio lato del carattere, non l'avrebbe presa male. Quando guardava le sue competizioni di ballo era sempre completamente assorbita ed era come se io non esistessi, un poco come me davanti a un buon libro. Non ne capivo nulla di danza, i suoi commenti sarebbero caduti nel vuoto, lo sapeva bene. Avrei forse annuito distrattamente e sarebbe finita lì.
Quella gara di ballo doveva essere molto attesa, non c'erano più posti nelle file basse, dunque fummo costrette a salire più livelli per trovare due sedili vuoti. La liberai dalle stampelle, la aiutai a sfilarsi il cappotto e prendemmo posto. Avevamo una buona visuale sulla pista da ballo.
«Vedrai sarà divertente. Può succedere di tutto» disse entusiasta.
Era una gara di improvvisazione con partner scelto a caso, dopo una specie di sorteggio preliminare. Una volta pescato il nome del primo concorrente, gli veniva consegnata una rosa dai petali gialli, dal lungo gambo, da offrire al compagno o compagna di sua scelta. Sesso ed età non era importanti, gli abbinamenti erano davvero imprevedibili. Lo scopo di quella serata danzante era abbattere ogni stupida barriera.
Attorno alla pista erano installate decine e decine di sedie pronte ad accogliere i concorrenti.
Io e Adele scambiammo qualche parola, ma quando la musica iniziò la sua attenzione fu catturata dall'entrata dei ballerini che presero posto, uno dopo l'altro, salutando il pubblico, agitando la mano a mezz'aria. C'era veramente gente di ogni età, etnia e look. Era un bel miscuglio.
Una grande cesta di vimini, piena di rose gialle, era poggiata sul tavolino accanto alla postazione del presentatore della serata danzante. Un tipetto basso e tarchiato, con pochi peli sulla testa e un paio di occhialetti blu sulla punta del naso.
Avevo sempre odiato le rose gialle, erano troppo vivaci e allegre per me. Io timida, goffa ed eterna romantica, pensavo che una rosa avesse senso di essere offerta solo se rossa.
Studiai distrattamente gli aspiranti ballerini. Le sedie erano finite prima del previsto e questi iniziarono a installarsi in piedi o per terra a gambe incrociate, ovunque attorno alla pista. Addochiai un ballerino atipico, almeno secondo i miei discutibilissimi canoni. Adele aveva ragione, sarebbe potuto essere divertente. Ero curiosa di vedere quel signore altissimo e grassoccio, di una ottantina d'anni, in completo grigio scuro e cravatta lilla, offrire una rosa gialla a una ventenne con molta più energia e un look molto più stravagante del suo. Il destino avrebbe potuto fare strani abbinamenti, non restava che aspettare.
Tirai fuori dalla borsa il mio volume del momento, un libricino dalla taglia perfetta, "La signora delle camelie" di Alexandre Dumas, breve e scorrevole.
Il presentatore arrivò con una rosa gialla, simbolo della serata, al centro della scena e dopo pochi convenevoli, procedette al primo sorteggio. Fu proprio il nonnetto ballerino ad aprire le danze, offrendo il suo fiore a una ragazza dai tratti asiatici di almeno una quarantina d'anni più giovane di lui. Il pubblico applaudi felicitandosi per l'ardita scelta. Quella giovinetta gli avrebbe dato filo da torcere.
Le grandi casse diffusero un rock'n roll indiavolato tra applausi, fischi entusiasti e risate. Fu un vero spettacolo, quel tipo aveva talento, si muoveva leggiadro come una farfalla, nonostante la stazza e la pancia prominente, che sembrava dovergli far saltare qualche bottone a ogni piroetta. Adele lo battezzò nonno swing, strappandomi un sorriso.
L'atmosfera era davvero calorosa e iniziai a godermi la serata, alzando sempre più spesso gli occhi dal mio volume, per sbirciare cosa accadeva in pista.
Faceva caldo li dentro, era trascorsa solo mezz'ora dall'inizio, ma decisi di scendere fino al minuscolo gazebo bianco, che offriva bevande, per prendere qualcosa e sgranchirmi le gambe.
«Stai attenta che magari ti scambiano per una di loro e capiti in coppia proprio con nonno swing» disse Adele.
Sbuffai. Sicuramente tra i due la figuraccia l'avrei fatta io. Lui sarebbe stato molto più aggraziato.
Scesi gli spalti, con ancora il libro stretto tra le mani, sentendomi tutti gli occhi del pubblico puntati addosso. Avevo sempre quella inspiegabile e sciocca sensazione, quando scendevo delle gradinate durante un concerto o attraversavo un teatro o la sala di un cinema.
Guardai dritto davanti a me, per evitare di concentrarmi troppo sulle persone che avevo attorno e incrociai gli occhi di uno degli aspiranti ballerini, che non aveva trovato posto a sedere.
Stava in piedi dall'altro lato della pista, muovendosi appena appena a ritmo di musica. Ci misi un attimo a mettere a fuoco quella figura, vestita di scuro. Era alto e moro, capelli corti, un ciuffo ribelle che scendeva sulla fronte e occhi neri e luminosi. Mi sorrise, un sorriso largo e sincero. Due grandi fossette gli si formarono ai lati della bocca, le vidi nonostante la distanza o forse le immaginai soltanto. Catturò tutta la mia attenzione.
Non può essere.
«Numero 8. Jarhdeujahi» gridò lo speaker nel microfono.
La voce gracchiante che uscì distorta dall'altoparlante mi distrasse, sbadatamente saltai l'ultimo gradino. Evitai la caduta in modo rocambolesco, ritrovando l'equilibrio appena in tempo.
Alzai lo sguardo e lo cercai di nuovo tra il gruppo di ballerini, ma era sparito. Fui percorsa da una singolare sensazione, era come se avessi smarrito qualcosa di importante in mezzo a quel caos. I miei occhi mi avevano giocato un brutto scherzo.
Giunsi alla bancarella sgangherata, cercando di scacciare via quel pensiero e comprai una bottiglietta d'acqua. La apriii e la portai immediatamente alla labbra, complice lo spavento e l'annessa figuraccia avevo caldo, tanto caldo.
Qualcuno picchiettò sulla mia spalla. Mi voltai, mollai la presa su tutto ciò che avevo tra le mani e inondai il pavimento d'acqua.
Questa volta potevo cogliere appieno la sua espressione divertita, anche i minimi particolari di quel viso gentile. Le minuscole rughe attorno agli occhi, qualche capello bianco all'altezza delle tempie. Era la prima volta che i suoi tratti si addolcivano guardandomi.
Si chinò per raccogliere il mio libro e lo poggiò sul tavolino. Le pagine erano zuppe. Pensai mi avrebbe fatto una ramanzina delle sue, come ai tempi della scuola, qualcosa del tipo "Un altro libro, non perdi mai le tue cattive abitudini".
«Mi concederebbe questo ballo, in cambio di una rosa?» chiese porgendomi una rosa gialla.
Apriii la bocca, ma non uscì alcun suono. Non riuscivo a elaborare una frase di senso compiuto. I pensieri si accavallavano confusi nella mia testa, erano intrappolati, trattenuti da una barriera invisibile, prima di poter fare vibrare le mie corde vocali.
«Jordan ha fatto la sua scelta. In pista» disse il presentatore.
Jordan Levi. L'odioso Levi, mia sciocca cotta adolescenziale. Mi guardai attorno, il fascio di luce di un faretto era puntato su di noi, abbassai gli occhi e mi accorsi che stavo stringendo la sua rosa gialla tra le mani.
Quando l'ho accettata? Non l'ho accettata. Ci deve essere un errore.
Jordan mi prese delicatamente l'altra mano e mi accompagnò al centro della pista. Sorrideva, sorrideva senza sosta e per una volta quel sorriso era rivolto a me. Avevo sempre trovato i sorrisi dei ballerini falsi, ma non quello, perché gli brillavano gli occhi e quelli non potevano mentire. Erano il riflesso di quanto amasse quella sua insospettabile passione.
Mi ritrovai con un'espressione stupida dipinta sul volto in mezzo al palazzetto, con ancora più luci e più sguardi fissi su di noi. Il giudice arrivò accanto a noi e mi sfilò la rosa di mano.
«Musica prego» disse allontanandosi e schioccando le dita.
Non avevo ancora detto una parola. Una melodia, scelta a caso dal dj, si diffuse nell'ambiente. Ero paralizzata, inchiodata al suolo, ma colta da vertigini.
Cadrò. Cadrò. Cadrò.
Mi aggrappai a quel sorriso che non sembrava avere intenzione di spegnersi.
Impossibile rendere a parole ciò che successe su quella pista.
Iniziammo a muoverci, avvolti dalle note di una ballata country, che non conoscevo. I nostri passi erano semplici, ma precisi e le nostre mani si trovavano come se ci conoscessimo da una vita, come se il passato di attriti non contasse più nulla. Mi lasciai guidare da lui, assecondando i suoi movimenti fluidi.
Non so quanto tempo passò, probabilmente solo una manciata di minuti, poi la musica si arrestò e gli applausi risuonarono nel palazzetto, risvegliandoci come da un sogno.
Lo guardai intensamente e realizzai che non l'avevo mai odiato, odiavo solo il fatto di non essere all'altezza delle sue aspettative. Così come non odiavo le rose gialle, ma solo il fatto che nessuno me ne avesse mai offerta una.
Ancora oggi, quando ripenso a quella serata, riesco a ricordarmi ogni dettaglio di quel sorriso contagioso che gli illuminava il volto. Lui ama ripetermi che odiavo lui e le rose gialle, ma che quella sera accettai la sua e quel ballo, contro ogni aspettativa.
Balliamo ancora io e Jordan, la nostra pista preferita rimane il pavimento della cucina. Mai e poi mai riuscirà a trascinarmi ancora su una vera pista da ballo.
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