Come un terremoto


La nostra casa al mare era stata costruita dal mio papà, che ormai era un architetto abbastanza famoso. Era una grande struttura che si trovava quasi sulla spiaggia, bastava percorrere un breve sentiero tra la vegetazione per sbucare sulla sabbia. Ma prima del sentiero, tutto intorno all'abitazione c'era un giardino verde, con un gazebo e una vasca idromassaggio. 

Anche all'interno era spaziosa, aveva un salotto con immense vetrate, una cucina che ospitava un grande tavolo, tre bagni, due camere matrimoniali e tre camere con i letti singoli, per questo motivo spesso Rebecca, Stefano e Elda venivano a trovarci spesso e passavano qualche settimana estiva insieme a noi.

Io e Elda dividevamo la stanza e spesso stavamo sveglie a chiacchierare, la camerata più piccola era riservata a mio fratello Fabio, mentre l'ultima camera singola era da sempre di proprietà di Alessandro.

Lui veniva al mare insieme a noi ogni volta che ne aveva occasione e ormai aveva un suo gruppo di amici anche qua, cosa che non mi rendeva particolarmente felice, dal momento che ogni volta usciva la sera e andava a ballare con loro fino a tardi, combinando chissà che cosa.

Alessandro era un bel ragazzo (bellissimo per me) e sapevo che aveva avuto diverse ragazze serie, e diverse ragazze meno serie, ma la cosa che mi irritava particolarmente era che io non avevo mai fatto parte di nessuna delle due categorie. Maledetto Alessandro!

Quella sera però, non sarebbe andato da nessuna parte, perché come ogni anno, c'erano i fuochi d'artificio alla spiaggia, e noi organizzavamo sempre una grigliata in giardino e poi ci sdraiavano sul prato ad osservare quello spettacolo tutti insieme.

Prima di cena, mi piazzai in camera davanti allo specchio, cercando di decidere cosa mettere, volevo attirare l'attenzione di Alessandro, ovviamente! Osservai attentamente la mia immagine riflessa, il fisico asciutto con poche curve (sfortunatamente), la pelle chiara, gli occhi scuri e i capelli castani che scendevano oltre le spalle.

La genetica mi aveva giocato un brutto scherzo, mia madre bionda, mio padre occhi azzurri, e io dovevo nascere così... anonima, o almeno era quello che mi sembrava di essere.

Per questo motivo cercavo di compensare il mio aspetto ordinario con un abbigliamento fuori dal comune. Mi piaceva farmi notare, avevo un carattere espansivo e solare, forse un po' troppo ottimista, ma almeno ero sempre circondata da tanti amici.

Afferrai una canottiera gialla fluo aderente e la abbinai con un paio di pantaloncini verde lime, infine indossai un paio di scarpe da ginnastica rosa acceso. Per finire mi legai i capelli in una coda alta, con un elastico dello stesso colore delle mie calzature. Misi un po' di lucidalabbra perché truccarsi per me era ancora un'impresa che richiedeva troppo tempo, date le mie capacità limitate.

Uscii in giardino e subito sentii la voce di mia madre: "Tommi! Stai bruciando gli hamburger!"

Mi fermai sul patio, prima di scendere gli scalini che portavano al prato e rimasi qualche secondo ad osservare la mia famiglia, cabinista ma insostituibile. Mi sentivo fortunata ad averla.

Mamma stava cercando di strappare dalle mani di papà le pinze, con la speranza di salvare la carne bruciata sulla griglia, mentre Stefano voleva intervenire per fermare entrambi dal rovinare totalmente la cena. Non capivo perché i miei genitori si ostinavano a cimentarsi con la cucina, erano irrecuperabili!

Rebecca era seduta al tavolo di pietra con un bicchiere di spritz in mano e rideva divertita osservando la lotta per la conquista del barbecue, mentre Fabio aveva approfittato del momento di distrazione degli adulti e stava afferrando la ciotola piena di patatine per andare a mangiarsele tutte di nascosto. Elda era impegnata nella lettura di un libro, sdraiata in mezzo al giardino su uno dei teli che poi avremmo utilizzato per osservare il cielo e infine, eccolo lì: il mio Alessandro. Era sdraiato sull'amaca fissata ai due alberi all'estremità del giardino, poco distante da tutti gli altri.

Mi avviai determinata verso di lui, ignorando il richiamo di Zia Becky che probabilmente voleva farmi assaggiare il suo spritz, la bevanda del coraggio diceva lei. Io non ne avevo bisogno, se c'era una cosa che non mi mancava era proprio il coraggio.

Marciai verso Alessandro e quando fui in piedi davanti a lui, mi fermai e rimasi in silenzio con un sorriso ebete sulla faccia. La sua bellezza mi rapiva ogni volta.

"Cosa vuoi scricciolo?" mi chiese lui senza staccare gli occhi dallo schermo del cellulare. Odiavo quando usava questi nomignoli che sottolineavano la mia inferiorità.

"Posso sdraiarmi con te?" domandai, ma prima che lui potesse rispondermi, mi ero già aggrappata al bordo e stavo cercando di guadagnami il mio spazio al suo fianco.

Lui sospirò sconfitto e mise un braccio dietro la mia testa per stare più comodo, ma con la coda dell'occhio notai che era divertito dalla mia esuberanza. Poteva anche sembrare uno stronzo, ma lo sapevo che mi voleva bene... anche se io, da lui, volevo proprio l'amore, quello con la a maiuscola. Il vero amore.

"Sei come un terremoto" commentò lui ironicamente, riponendo nella tasca dei pantaloni il cellulare e restando con gli occhi rivolti verso il cielo che iniziava a farsi scuro.

"Anche tu sei come un terremoto...per il mio cuore" dichiarai, fissando a mia volta quella distesa azzurra infinta.

Alessandro rimase tanto spiazzato dalla mia risposta che si strozzò con la sua saliva e cominciò a tossire. Tosse che poi si trasformò in una risata e infine, quando smise di emettere suoni confusi, riuscì a dire: "Cosa?"

"Sai, io ti amo, Ale" ripetei per la seconda volta in vita mia, mentre le mie guance si coloravano di rosa. Spostai lo sguardo su di lui e mi ritrovai ad osservare i suoi occhi azzurri, che cercavano di capire quanto fosse seria la mia dichiarazione.

Restammo a fissarci per un tempo che mi sembrò infinto e bellissimo. Stava guardando me, solamente me! Trattenni il respiro finché gli suoi occhi di Alessandro si staccarono dai miei e tornarono verso il cielo.

"È un po' difficile non accorgersene" affermò lui mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso divertito "ma, per me, sei come una sorellina. Lasciami perdere"

Stavo per dire che in realtà non lo ero e che non avrei mai rinunciato a lui, ma la voce di mia madre ci chiamò per andare a tavola e Alessandro approfittò subito di questa scappatoia per alzarsi e andare a sedersi a tavola. Accidenti!

Per tutta la cena fece del suo meglio per ignorarmi e io feci del mio meglio per attirare la sua attenzione. 

Quando arrivò il momento migliore della serata, ci sdraiammo uno vicino all'altro sui teli posizionati sul prato e osservammo estasiati lo spettacolo dei fuochi d'artificio.

Pensai a quanto il mio amore fosse simile a quella scintille nel cielo: cresceva nel mio cuore fino ad esplodere, ma quando poi esprimevo i miei sentimenti a voce, le mie parole si perdevano nel buio dell'indifferenza di Alessandro. Ma, come questi fuochi che si ripetevano uno dopo l'altro, cercando di raggiungere il cielo, nonostante fossero destinati a sparire, anch'io averi continuano a dichiarare il mio amore, cercando di raggiungere il cuore di Alessandro, indipendentemente dal risultato, perché anche se poi cadeva nell'oblio, al momento dell'esplosione, le sensazioni che provavo erano meravigliose.

Finito lo spettacolo, mentre tutti gli altri si alzavano per tornare in casa, io mi avvicinai a gattoni ad Alessandro che era ancora sdraiato in contemplazione e mi chinai sul suo orecchio, sussurrando: "Io sono un fuoco d'artificio, continuerò a provarci" 

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