Epilogo pt. 2
🌜Non aver paura di sognare 🌛
“Walk me home in the dead of night
I can't be alone with all that's on my mind
So say you'll stay with me tonight”
-Pink
*
Ascoltate la canzone Walk me home fino alla fine*
Mi giro verso di lui quasi a rallentatore e quando i nostri occhi si incrociano vedo le sue labbra schiudersi leggermente e io sento il mio cuore perdere mille battiti in un secondo.
Nascondo le mani quasi sotto la tovaglia del tavolo, perché sto iniziando a tremare e mi sta venendo da piangere. Aaron è rimasto immobile, sembra più sconvolto di me.
Poi trovo il coraggio di percorrere con gli occhi la sua figura e sto cercando di contenere le emozioni, perché altrimenti so che finirei per fare una figuraccia davanti a tutti.
Pensavo non fosse possibile per lui diventare ancora più bello, ma a quanto pare mi sbagliavo. I suoi capelli sono sempre all'insù, come lo erano anche prima, ma adesso sembrano leggermente più chiari e un po' arruffati. I suoi occhi azzurri hanno assunto una sfumatura più scura adesso e, mio Dio, quel viso non ha nemmeno una misera imperfezione. Nemmeno un brufolo. O almeno il naso storto. Niente di niente. Più lo guardi, più ti viene voglia di tracciare le linee che rendono il suo sguardo duro in questo momento, passare il dito sul suo viso e sentire la ricrescita della sua barba oppure sfiorare le sue labbra piene.
Prima che prenda posto anche lui, noto la camicia a righe che sta indossando, con le maniche arrotolate fino ai gomiti, e indossa un paio di jeans con degli strappi alle ginocchia.
«A-», provo a dire. «Aa-», ritento.
«B, c, d», mi asseconda Amy, scoppiando a ridere, poi mi fulmina con lo sguardo, perché ha capito che qualcosa non va.
«Aaron», riesco a dire finalmente.
«Jace», dice lui, invece, con un sorriso forzato. «Tua sorella non era in California, a godersi le spiagge?».
Jace guarda lui, poi me, e infine sbuffa. «E quindi, come la prendete la pizza?», interviene Amy.
«Amore, voi due vi conoscete già?», gli chiede la ragazza e sento il mio stomaco stringersi. Amore. Oddio, è la sua ragazza!
Ma certo... Entrambi siamo andati avanti. C'era da aspettarselo. Nonostante io non mi sia fatta più sentire, è davvero assurdo che Jace mi abbia tenuto nascosto la sua amicizia con Aaron. Cosa diavolo gli costava dirmi la verità?
Ormai non riesco più a parlare, ma a peggiorare la situazione è Harry, che esclama dal nulla: «Ariel, che piacere rivederti!», mi giro verso di lui e lo vedo con dei piatti tra le mani. Oh, fantastico, qualcosa mi dice che lavora qui...
«E tu chi saresti?», chiede Jace, con il solito atteggiamento da fratello protettivo.
«Eh, che domande fai, Jace», dice Amy, dandogli una gomitata scherzosa.
Potrebbe andare peggio di così?
«H-Harry», dico quasi balbettando.
«Non posso fermarmi a parlare con te perché sto lavorando, ma devo darti una cosa. A quanto pare ieri notte qualcosa di tuo è rimasto attaccato alla cintura, non si sa come», sorride e mi fa cenno di aspettare.
Io nel frattempo penso di essere diventata pallida peggio di un cadavere. Non provo nemmeno un briciolo di vergogna, questa situazione mi ha prosciugato direttamente tutte le emozioni.
«Uh, questo è stato... Strano», dice la ragazza di Aaron. È davvero meravigliosa. Capelli castani che le arrivano a metà schiena, ondulati, labbra tinte di rosso e viso che sembra perfetto da ogni angolazione, anche se so che il trucco fa la sua parte.
«Abbastanza», conferma lui.
Vedo Harry venire verso di me velocemente e mi posa una cosa sul palmo della mano, dopodiché si piega per sussurrarmi all'orecchio: «Ci sentiamo, bellissima», e torna al lavoro. Apro il palmo della mano e vedo la collana che avevo dato per dispersa.
«Ma non mi dire, secondo me l'ha presa lui con la scusa di rifarsi vivo», dice Amy, sempre più allegra. Poverina, non sa quello che sta succedendo, anche se le ho accennato qualcosa riguardo Aaron, non ha mai visto una sua foto e adesso sta rovinando proprio tutto senza saperlo.
«Amy», sibilo, nascondendomi la faccia dietro le mani.
«Sì, Amy, piantala», la rimprovera mio fratello.
«Cosa vuoi? Non è colpa mia se a tua sorella piace divertirsi ogni tanto. Come se nessuno di noi l'avesse mai fatto, tsk», muove una mano davanti al viso e per poco non mi cade la mascella. Così mi fa passare per una che se la fa con uno diverso ogni settimana.
«Ordiniamo?», dice Aaron cambiando discorso e sollevo lo sguardo verso di lui, che adesso sembra più rigido di una pietra.
Abbasso lo sguardo sulla collana che stringo tra le mani e sorrido tristemente. Non ce la faccio. Un'ondata di ricordi mi investe all'improvviso e mi vedo costretta ad alzarmi dal tavolo e scusarmi con loro, dopodiché mi rifugio nel bagno delle donne.
Mi appoggio contro il muro e cerco di fare dei respiri profondi. Guardo verso l'alto per impedire alle lacrime di cadere giù, ma è un po' impossibile. Con un fazzoletto tampono gli angoli degli occhi e mi concentro sulla respirazione.
Ce la puoi fare, Ariel. Dì che ti senti male, e poi vai via.
Torno al tavolo, cercando di sembrare sicura di me, e mi siedo. La ragazza di Aaron mi sorride in modo così gentile, che sembra davvero fatta apposta per lui; il genere di ragazza che io in passato non ero.
«Non te la metti, quella collana?», mi chiede lei, vedendo il modo in cui la stringo tra le dita.
«Oh... Ehm... Sì, dopo», mi giro verso Amy, in cerca d'aiuto.
«Rischi di farti male alle dita se la stringi così forte. Dammi qui, te la metto io», si offre gentilmente.
«Piccola, se non vuole-» interviene Aaron. Piccola.
Un altro pugno nello stomaco. Mio fratello ha la faccia di uno che sta per avere un esaurimento nervoso.
«Io sono Veronica, comunque», si presenta, sorridendo sia a me e sia ad Amy.
Resto in silenzio e lei mi prende delicatamente la collana dalle mani per metterla al collo. Quando il ciondolo sfiora la mia pelle, sento Aaron iniziare a tossire convulsamente.
«Oddio, Aaron», Veronica gli dà qualche pacca sulla schiena.
«Sto bene», la rassicura, prendendole la mano tra le sue.
«Mi sento a disagio», sbotta Jace. «E quello lì non fa altro che guardare verso il nostro tavolo», si riferisce a Harry.
«Se vuoi, possiamo cambiare ristorante», suggerisce Aaron.
«Cosa? No!» asserisce Amy, contraria.
«Penso sia meglio», insiste Aaron.
«No, tanto io penso di andare via», dico, sentendomi super a disagio.
«Te ne vai con Harry?», chiede Amy.
Vedo un muscolo guizzare sulla mascella di Aaron e mantiene lo sguardo puntato sulla mano con la quale stringe il bicchiere d'acqua. Le vene del suo braccio all'improvviso sembrano più grosse e sembra abbia voglia di stringere quel bicchiere fino a romperlo in mille pezzi.
«Come vi siete conosciuti, voi due?», Amy cerca ingenuamente di fare conversazione con Veronica e Aaron.
«Oh, lui e mio padre hanno lo studio vicino. Aaron fa l'avvocato. Cioè è soltanto all'inizio, a volte dà una mano a mio padre e lui impara qualcosa in più», ci tiene a specificare. Ma io lo sapevo già. Sapevo che ce l'avrebbe fatta. E sono immensamente orgogliosa di lui. Quando ho iniziato il college a diciott'anni avevo ben chiare le mie idee, e adesso che non sono nemmeno assunta davvero, ma sono soltanto in prova, mi sento sempre più felice del percorso che ho scelto. Spero un giorno di essere una professoressa a tutti gli effetti.
Nel momento in cui sento le mie labbra distendersi in un piccolo sorriso, i suoi occhi scattano su di me e mi becca.
Divento di nuovo seria e ascolto com'è nata la loro storia d'amore. Veronica sembra così felice e mi chiedo se anche io avrei raccontato di noi, un giorno, allo stesso modo. Lo racconta con così tanto amore, che cattura subito la tua attenzione.
«Poi mi ha portato a visitare il Museum of modern art a New York, e siamo rimasti quasi mezz'ora ad ammirare una delle opere di Van Gogh, quello con le stelline», appena lo dice corrugo la fronte e sento Aaron emettere un colpo di tosse.
«Stelline?», ripeto, incredula. L'ha portata a visitare quel museo e lei non sa nemmeno il nome di una tra le opere più importanti di Van Gogh? Ad Aaron non frega nulla dell'arte... Mi ricordo ancora quando cercò di impressionarmi con il Ramo di mandorlo fiorito e adesso frequenta i musei?
«Non ricordo il nome al momento», ammette con un punta d'imbarazzo. «Ma è stato romantico, perché è stato lì che mi ha chiesto di mettermi insieme a lui».
«Oh», rispondiamo io, mio fratello e Amy all'unisono.
«La mia amica qui ama da impazzire l'arte. Casa sua sembra un museo. Talento sprecato», dice Amy, guardandomi male. Secondo lei potrei usare questo mio talento per guadagnare qualcosina in più.
«Non sono nulla di che», dico a bassa voce. Ma mi ricordo di tutte le volte che ho dipinto il viso di Aaron per non dimenticarlo un giorno. Non ho nessuna foto sua.
«Siete così carini insieme», dice la mia amica.
Sono a tanto così dal mettermi a piangere davanti a loro.
«Grazie mille», risponde educatamente Veronica.
«Mi dovete scusare un attimo», sussurro, alzandomi e dirigendomi verso l'uscita, con la vista appannata.
Appena sono fuori alzo lo sguardo verso il cielo e guardo le stelle, mentre una lacrima mi scorre sul viso. E non intendo nemmeno fermarla, perché quella è destinata a cadere.
Ciondolo su me stessa, sorridendo come una scema, mentre piano inizio ad allontanarmi. Mi fermo e guardo una ragazza in sella alla sua bici, superarmi sul marciapiede.
L'amore è una grande presa in giro. Io sono andata via. È colpa mia. E stavo dannatamente bene! E nonostante lui mi abbia ripetuto ben due volte che mi avrebbe aspettata, dentro il cuore mio ci speravo. Ma realisticamente parlando, sarebbe stato impossibile, soprattutto perché io non lo sento da tanto, troppo tempo. Ha tutto il diritto di rifarsi la vita.
E io sono diventata abbastanza forte da non permettermi di crollare davanti a loro. Anzi, si tratta del ragazzo che mi ha fatto sentire amata. Quindi io devo essere felice per lui, perché finalmente ha trovato qualcuno in grado di dargli l'amore di cui probabilmente aveva bisogno.
Mi asciugo le lacrime e decido di tornare indietro, con il petto in avanti, la testa alta e un sorriso sulle labbra.
Appena mi siedo, Aaron mi lancia uno sguardo che non riesco nemmeno a decifrare. Forse è stato uno sbaglio guardarlo, ma come faccio se lui è il primo a non staccarmi gli occhi di dosso?
«Veronica ci stava dicendo che spera di sposare a breve Aaron. Una cosa che a me e te non ci succederà mai, olè!», intanto Amy si è pure riempita il bicchiere con del vino e sta sicuramente ripensando al fatto che è stata mollata da poco e sta per affogare il dispiacere nell'alcool.
«Perché?», finalmente Aaron azzarda a chiedere qualcosa.
«Be', a me il tipo ha fatto le corna e l'ho mollato da poco, Ariel invece sembra un caso disperato», si limita a dire. Grazie a Dio.
«In che senso?», ride Aaron, guardandola attentamente, come se non vedesse l'ora di ascoltare qualcosa in più sul mio conto.
«Lei è una grande sognatrice. Dico davvero, sogna di tutto, anche ad occhi aperti, ma penso che il suo sogno più grande non si realizzerà mai, e poi questa qui è più innamorata dell'arte che di qualsiasi altra cosa al mondo, insomma», Amy inizia a straparlare di nuovo e mio fratello ridacchia a bassa voce, con un'espressione soddisfatta.
«Sogna?», domanda Aaron, mentre un piccolo sorriso s'insinua sul suo viso; un sorriso che non vorrebbe mostrare, ma che si lascia sfuggire. Mi chiedo se abbia raccontato di me a Veronica, ma penso di no...
«Sì, tanto», conferma Amy.
Dentro di me sento che questo è il mio momento. Quello in cui mi sento fiera di me e dei miei progressi, perché soltanto io e lui sappiamo a cosa pensiamo quando parliamo di sogni.
Lo guardo da sotto le ciglia, ma mi sembra di intravedere un'espressione fiera sul suo volto.
«Be', tutti abbiamo dei sogni», Veronica interrompe il momento.
Aaron guarda nella mia direzione, ma non guarda in viso me. Guarda la collana e sorride malizioso un'altra volta, abbassando lo sguardo. Aspetta, ha sorriso in modo malizioso?
Intanto le nostre pizze sono arrivate. Non ricordo nemmeno di aver ordinato, ma probabilmente Amy l'ha fatto per me.
Mangiamo e io non apro più bocca, perché non ho più nulla da dire.
A fine serata, usciamo fuori e quando Aaron prende dalla tasca la chiave della macchina, il mio occhio scatta sul ciondolo appeso al portachiavi.
È quello che io ho dipinto per lui. Nontiscordardime.
«Ariel, andiamo?», mi dice Amy. Guardo Aaron con la vista appannata, per la centesima volta nella stessa serata, e noto che anche i suoi occhi sembrano malinconici, come se volessero dirmi qualcosa. Stringe il portachiavi tra le mani senza distogliere lo sguardo dal mio, poi mi avvicino a lui e Veronica e abbraccio lei per prima, dicendo: «È stato un piacere conoscerti».
«Anche per me, Ariel», mi accarezza la schiena poi si stacca da me.
Mi sposto davanti ad Aaron e gli sorrido lievemente, poi stringo le braccia intorno al suo busto e mi si mozza il respiro quando per pochi secondi ricambia, anche se incerto all'inizio. Mi stringe forte, e sento il suo desiderio di piegarsi verso di me per appoggiare la guancia sulla mia spalla e strofinare il naso sul mio collo, come faceva tempo fa, ma non lo fa. Mi scappa un singhiozzo, che spero non abbia sentito nessuno, poi abbasso lo sguardo e mi allontano.
«Vi auguro di essere felici», dico, voltandogli le spalle e andando dritto verso la mia amica, con la mano davanti al viso pronta a scoppiare.
Lei mi guarda quasi intontita, ma quando siamo in macchina scoppio finalmente a piangere e butto fuori tutto quello che ho trattenuto per tutta la serata. «Fa male», dico tra i singhiozzi, mentre la mia amica mi abbraccia e basta, confusa e spaventata.
«Ti senti male? Devo chiamare Jace? Cosa ti sta succedendo, Ariel?», mi prende il viso tra le mani e mi asciuga le lacrime, ma non riesco a parlare, nonostante apra la bocca più e più volte.
«Aaron», riesco a dire.
«Ti ha fatto qualcosa? Lo ammazzo quel bastardo», sta per uscire dalla macchina, ma la trattengo e la abbraccio ancora più forte.
Non riuscendo a smettere, Amy si stacca da me e impreca a bassa voce, poi esce come una furia dalla macchina e grida: «Ehi tu, Arnold o come ti chiami, vieni immediatamente qui», sa benissimo il suo nome, ma cosa diavolo sta combinando?
«Amy, torna dentro», dico adirata, ricacciando indietro le lacrime.
«Che succede?», sento la voce di Aaron e mi ricompongo, sedendomi al mio posto e facendo finta di niente.
«Che cosa hai fatto alla mia amica?», chiede in tono aggressivo.
«Io? Niente», risponde lui. E come dargli torto! In fondo, non ha fatto proprio nulla di male.
«E perché sta-»
«Amy, andiamo!», intervengo, ma Aaron si abbassa verso il finestrino e sbircia dentro. Apre lo sportello e si allunga di poco verso di me. «Ehi, tutto a posto?», domanda premurosamente.
Annuisco impercettibilmente, ma senza guardarlo.
«Ariel», appena dice il mio nome sento le lacrime pronte a scendere di nuovo.
«Sto bene», gracchio.
«Va bene... È stato un piacere rivederti, Ariel. Sono felice di sapere che tu stia meglio», poi si tira indietro e Amy continua a dirgli qualcosa, ma Aaron si inventa una scusa per andare via. Quando la mia amica sale in macchina, grido: «Portami a casa, maledizione!».
«Ariel», sta per farmi la ramanzina.
«È Aaron. Il ragazzo del college. Quello...»
«Che ti ha fatto riscoprire l'amore dopo l'altro coglione? Sei seria?», grida così forte che per poco non mi si spaccano i timpani.
«Già».
«Oh merda», accende il motore, sconvolta. «Oh merda, merda, merda», continua a dire mentre ci allontaniamo.
«Oh, Maria Vergine», accosta la macchina dopo circa una cinquantina di metri. «Mi sento male».
«Amy, smettila di fare la drama queen e portami a casa», borbotto inespressiva. La mia amica però scende dall'auto e vomita proprio ad un metro più in là.
«Amy!», scendo anche io e vado verso di lei.
«Pensavo stessi scherzando».
«I maschi sono proprio stronzi», dice, scoppiando a piangere. «Come hai fatto a stare per tutto il tempo lì, ferma, a trattenere le lacrime, mentre l'unico amore della tua vita raccontava di come ha conosciuto il suo attuale amore? Come, Ariel?», si pulisce la bocca con il dorso della mano e poi viene ad abbracciarmi. Vorrei scansarmi perché ha appena vomitato, ma insomma...
«È stata Veronica a raccontare, comunque...», dico mentre le accarezzo la schiena.
«Ma tu non hai avuto nemmeno l'occasione di parlare con lui, non vuoi dirgli qualcosa di diverso da ciao?», mi chiede, guardandomi con occhi sconvolti e pieni di confusione.
«È felice, Amy. Li hai visti?».
«No, ho visto lui che non ti staccava gli occhi di dosso e la sua ragazza che raccontava con aria sognante la loro storia d'amore. Io non capivo il perché del suo sguardo, Ariel. Pensavo fosse tipo incuriosito da te, ma lui ti stava quasi contando i respiri, cazzo!», dice, aprendo le braccia e guardando il cielo, arrabbiata.
«È felice», ripeto.
«Come fai a saperlo?», mi chiede.
«L'ho visto sorridere», rispondo subito.
«Uno sorride anche quando in realtà vorrebbe buttarsi davanti ad un treno», incrocia le braccia al petto, alzando un sopracciglio.
«Non intendo intromettermi nella loro relazione, Amy. Anzi, portami a casa, ho voglia di andare in giro in bici».
«Non capirò mai come fai ad andare in giro in bici di sera, ma se è ciò che vuoi». Saliamo in macchina e finalmente mi porta a casa.
Mezz'ora più tardi sono in sella alla mia nuova bici, anche se mi sarebbe piaciuto tenere la vecchia, ma era così malmessa che ho preferito comprarne una nuova, inoltre non ho potuto portarla con me.
Infilo le cuffiette nelle orecchie e mi lascio andare alla sensazione del vento che mi sfregia il viso e fa fluttuare i miei capelli. Nonostante siamo quasi a inizio giugno, di sera fa freschetto.
Pedalo quasi fino alla zona periferica della città. Mi fermo e scendo dalla bici, poi inizio a camminare verso uno spiazzo e prendo dallo zaino il ritratto arrotolato, che ho portato con me.
Lo srotolo e prendo l'accendino, illuminando lo sguardo di Aaron. Ho dipinto l'espressione che aveva quando mi ha aspettato fuori dalla stazione di polizia.
“Fallo, Ariel. Brucialo.”
Rimango con l'accendino a pochi centimetri lontano da esso, ma non ho il coraggio di dargli fuoco.
Sento il mio cellulare vibrare e sbuffo, leggendo il nome di Amy sullo schermo. Decido di rispondere, perché altrimenti so che inizierebbe a dare di matto.
«Sto bene, Amy», le dico sin da subito.
«Ma dove sei?», chiede, preoccupata.
«In giro».
«Tuo fratello dice che non devi stare in giro in queste condizioni», mi rimprovera, come se le avessi nascosto qualcosa. Be', diciamo...
«Hai parlato con mio fratello? Ma che diavolo, Amy!», mi lamento.
«Ero in pensiero per te! Mi dici dove sei, così poi potrò stare tranquilla?».
«Ho raggiunto la periferia. Sono in uno spiazzo, vicino ad una vecchia fabbrica, e stavo per bruciare un dipinto».
«Cosa? Perché dovresti bruciare i tuoi dipinti?» urla e sono costretta ad allontanare di poco il cellulare dall'orecchio.
«Sono ricordi, Amy... Ci sentiamo domani, ti voglio bene».
«No, no, no, Ariel! Non osare!», ma le chiudo il telefono in faccia.
Riprendo l'accendino e alzo lo sguardo verso le stelle, poi mi tocco il ciondolo dell'acchiappasogni e sorrido.
«Sto soffrendo anche io, Aaron...», sussurro, poi do fuoco ad un angolo del dipinto e lo guardo bruciare lentamente sotto il mio sguardo. Mi siedo a terra e lascio che il dipinto prenda fuoco del tutto, poi una volta finito posso la mano su ciò che è rimasto di esso, sporcandomi le dita di nero.
Striscio verso la mia bici, che ho lasciato a terra, appoggio lo zaino sulla ruota e poi mi sdraio appoggiando la testa ad esso, incrociando le braccia sotto la nuca.
Il cellulare continua a vibrare incessantemente, ma non rispondo. Rimango così, con lo sguardo puntato verso il cielo e i ricordi che mi passano davanti agli occhi come una sequenza di fotografie.
«Rimango sveglio con te», mi aveva detto.
Sento le lacrime scorrere sul mio viso, ma sorrido, perché lui è, e rimarrà probabilmente per sempre, il mio sogno più irrealizzabile. Ma nonostante ciò, non ho più paura di sognare.
Dopo un paio di minuti a fissare il cielo e a contare le stelle, vedo due fari in lontananza. Dalla macchina scende qualcuno e strizzo gli occhi per mettere a fuoco la figura, ma è buio e non vedo nulla.
Quando è abbastanza vicino, si siede accanto a me senza dire nulla e io rimango imbambolata a fissarlo.
«Ciao di nuovo», mi dice, sollevando lo sguardo anche lui verso il cielo.
«Cosa ci fai qui?», gli chiedo, ormai stanca anche di mettermi a piangere.
«Pensavo volessi un po' di compagnia in questa bellissima serata», dice, sdraiandosi accanto a me.
«Aaron, cosa ci fai qui?», insisto, sentendo una stretta al cuore.
«Una tale Amy, che stranamente adesso mi chiama Arnold, ha chiamato tuo fratello, si è fatta dare il mio numero, poi mi ha chiamato e dopo avermi vomitato addosso una decina di insulti a detta sua del tutto innocenti, tra cui "testa di cazzo", "stronzo", "bastardo"», inizia ad elencarli sulle dita. «Mi ha detto che non si trattano così i vecchi amori e mi ha detto che avrei dovuto scusarmi, anche se non capisco perché», dice, girando lo sguardo verso di me.
«Non devi, infatti».
«Eppure lei sostiene il contrario. Perché?».
Mi stringo nelle spalle e vedo che si sistema meglio accanto a me; la sua testa adesso sfiora la mia.
«Puoi andare via, se vuoi», gli dico.
«Nah, per stasera ho voglia di restare sveglio con te, qui, sotto un vero cielo stellato», dice ridendo. Allunga il braccio verso di me, invitandomi ad appoggiare la testa sopra di esso.
«Non penso sia giusto», dico, deglutendo. È tremendamente sbagliato, infatti.
Lui non dice niente, ma lascia il braccio disteso: «Semmai cambiassi idea...».
«Perché lo fai?», gli chiedo con voce spezzata.
«Perché non è così che si trattano i vecchi amori, giusto?», riporta le parole di Amy e scoppio a ridere.
«Sono vecchi amori per un motivo, Aaron. Torna dalla tua ragazza», gli dico, chiudendo gli occhi e ispirando il suo profumo.
«I vecchi amori non si dimenticano. Soprattutto quelli veri», ribatte e io riapro gli occhi; il bagliore fiocco della luna illumina il suo volto.
Rimango in silenzio, non sapendo cos'altro dire. Poco dopo gira di nuovo lo sguardo verso di me e a questo punto io lo giro verso di lui; sorridiamo brevemente e poi torniamo a fissare il cielo.
Dopo pochi secondi poso la testa sul suo braccio e mi attira a sé, appoggiando la sua testa alla mia. «I vecchi amori a volte non diventano mai vecchi», sussurra nel buio della notte.
«Aaron», dico, intenta a dire tutta un'altra frase, ma per non rovinare il momento dico invece: «Metto un po' di musica?».
«Fai pure».
Gli passo una cuffietta e restiamo sotto un vero cielo stellato, mezzo abbracciati, come due amanti che sono scappati dagli occhi degli altri, mentre ascoltiamo Walk me home, di Pink.
«L'hai messa apposta?», dice con un sorriso.
«Mi piace».
«Lo vedo».
Tamburella le dita sul mio braccio e ripete: «Questa sera sogno insieme a te, sirenetta».
«Cosa sogni?», sussurro,
«Quello che sogni tu», risponde.
Forse non c'è bisogno di ulteriori spiegazioni, e non so nemmeno cosa intende dire, ma decido di accontentarmi di questa risposta e di sorridere tra me e me.
«Ora mi aspetto che tu faccia come Van Gogh e dipinga i tuoi sogni, sappilo».
«Ne ho bruciato uno poco fa», ammetto, storcendo il naso.
«Scommetto che il prossimo varrà la pena tenerlo e realizzarlo», ci guardiamo negli occhi e anche se in questo momento vorrei fargli un sacco di domande, ci limitiamo a sorridere, senza sapere in realtà quello che mi aspetterà domani.
Dopo un bel po' di tempo, vedo Aaron chiudere gli occhi e io gli dico all'orecchio: «Rimango sveglia per te».
Lui si mette a ridere e risponde: «Sto soltanto cercando di sognare, Ariel. Cos'è, tu hai paura, adesso?», mi stuzzica.
Avvicino di più la testa alla sua e con il naso sfioro la sua guancia. «No, Aaron. Non ho più paura di sognare».
Fine.
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